Le vicende storiche dell’Unione Sovietica e il loro impatto sull’America Latina

L’influenza della storia sovietica sul continente latinoamericano


Le vicende storiche dell’Unione Sovietica e il loro impatto sull’America Latina Credits: Colombiaopina's Blog

Nel 2012 la casa editrice Ocean Sur ha pubblicato un’interessante antologia intitolata La izquierda latinoamericana a 20 años del derrumbe de la Unión Soviética, la cui recensione reperibile in Cubadebate mi permette di riflettere in maniera concisa e rapida su tre temi distinti, ma tra loro intrecciati: l’impatto della Rivoluzione d’Ottobre sull’America Latina, le ripercussioni del derrumbe (crollo) dell’Unione Sovietica, i caratteri del marxismo latinoamericano. Tema quest’ultimo a cui la Storia del marxismo, progettata da Eric J. Hobsbawm, Georges Haupt, Franz Marek, Ernesto Ragionieri, Vittorio Strada, Corrado Vivanti (1981), dedica un articolo contenuto nel terzo volume scritto da José Aricó.

Naturalmente sono del tutto consapevole della complessità dei temi su indicati, ma mi sembra utile fare dei brevi cenni ad essi per fornire qualche elemento di riflessione, da cui partire per comprendere anche la difficile partita che si sta giocando in America Latina.

In primo luogo, comincio col dire che, al tempo della Rivoluzione russa, la Russia era un paese pressoché sconosciuto, misterioso, enigmatico di cui si sapeva assai poco. In particolare, in Perù, il 30 dicembre 1917 José Carlos Mariátegui, considerato il primo marxista latinoamericano, scriveva che la Russia continuava a essere considerata una leggenda. A Lima si diffuse la notizia che il potere autocratico dello zar era collassato e che il governo era finito nelle mani dei massimalisti o bolscevichi capeggiati da Lenin. E ciò benché in Europa autorevoli giornali tranquillizzassero i loro lettori, scrivendo che si trattava di un evento effimero destinato ad esser spazzato via rapidamente senza tanti complimenti.

In quel momento storico operavano attivisti sindacali di ispirazione anarchica, che si agitavano per ottenere la giornata lavorativa di otto ore, la costituzione di organizzazioni sindacali, e attizzavano il fuoco dei primi scioperi operai, delle prime manifestazioni di piazza. È proprio in questo contesto che Mariátegui si dichiara nauseato della politica creola [1] e decisamente orientato verso il socialismo .

E successivamente, insieme ad altri intellettuali, darà vita alla rivista Amauta [2], nella quale come scrive lui stesso “Studieremo tutti i grandi movimenti di rinnovamento, politici, artistici, letterari, scientifici.

Tutto ciò che è umano ci appartiene” . La rivista, fondata nel 1926, cui collaborarono autori come Andrè Breton, Miguel de Unamuno, Jorge Luis Borges, esprimeva la volontà di modificare radicalmente la società – nella prospettiva aperta dall’Ottobre –, dischiudendosi a tutte le sollecitazioni innovatrici sia europee, come la psicoanalisi, il cubismo, che latinoamericane come l’indigenismo [3].

Mariátegui fu del tutto consapevole che la Rivoluzione di Ottobre significò il momento più alto della lotta delle classi lavoratrici nel XX secolo, tanto che nel 1921 scrisse <<Con la Rivoluzione russa è cominciata la Rivoluzione sociale>>, ossia un cambiamento radicale delle condizioni di vita che doveva ripercuotersi sulla dimensione economica, politica culturale.

Il suo avvicinamento al socialismo lo sollecitò a entrare in contatto con i lavoratori, sostenendoli nelle loro lotte politiche e sindacali, a legarsi al movimento degli studenti e alle avanguardie intellettuali. In seguito al colpo di Stato del 1919 di Augusto B. Leguía, fu costretto a lasciare il paese agevolato dalla concessione di una borsa di studio, che gli permise di viaggiare in molti paesi europei come la Francia, l’Italia, la Germania. Qui entrò in contatto con Romain Rolland, Henri Barbusse, autore del celebre libro sul massacro della prima guerra mondiale, e in Italia visse i tragici eventi del biennio rosso che si conclusero con l’ascesa del fascismo. Sempre in Italia con il console peruviano a Roma fondò la prima cellula comunista del Perù, avendo come obiettivo l’estensione della Rivoluzione russa e l’applicazione concreta della sua strategia e tattica alla realtà effervescente del suo paese.

Tornando al libro su menzionato, esso sottolinea che la Rivoluzione di Ottobre costituì il riferimento di tutte le rivoluzioni socialiste del XX secolo e fonte di ispirazione di tutti i partiti rivoluzionari, che in quella fase lottarono per la conquista del potere. Il modello unico di Stato socialista imposto da Stalin fu utilizzato come schema in tutti quei paesi che si definirono socialisti, anche se ovviamente furono necessari adattamenti alla specifica realtà sociale nazionale. Secondo gli autori del libro oggi dovrebbe essere chiaro che è impossibile procedere secondo questa linea, e che bisogna invece applicare in maniera creativa il metodo di Marx come fece Lenin a suo tempo, per dar vita a società socialiste – ovviamente in via di transizione - nel secolo che stiamo vivendo. Da questa consapevolezza sorge l’appello alla costruzione del socialismo del secolo XXI.

Con il derrumbe della Unione Sovietica e del blocco socialista giunge inesorabilmente la fine della “rivoluzione inserita”, ossia innestata in un ambiente ostile, nel quale per sopravvivere aveva bisogno di un sostegno militare, politico, economico extracontinentale.

Il richiamo al referente sovietico avvenne in due modi diversi: da un lato, i partiti comunisti fecero proprio il prototipo del partito-Stato di matrice sovietica, dall’altro in alcuni casi si seguì la strategia dei frentes amplios electorales. Adottando tale tattica, si allontanarono dall’idea della rivoluzione violenta concretatasi nell’Ottobre e si trovarono a muoversi in spazi politici sempre più limitati a causa degli interventi repressivi degli Stati.

Un caso particolare è rappresentato dalla Rivoluzione cubana, lanciata dal Movimento 26 di luglio, non di ascendenza comunista, non disponibile ai fronti popolari elettorali; Rivoluzione che solo due anni dopo aver conquistato il potere dichiarò il suo carattere socialista. Successivamente negli anni Settanta costruì la propria società in transizione verso il socialismo [4], richiamandosi al prototipo sovietico riproposto così a tutta l’America Latina .

Naturalmente ciò si verificò per ragioni del tutto oggettive e che hanno a che fare con il sistema complessivo delle relazioni internazionali, nel quale la realtà era costituita da due blocchi in forte ed aperto conflitto, che si scontravano con l’intermediazione di paesi terzi. Tuttavia, era ben noto già a Mariátegui che il socialismo non può essere un calco, una copia, ma deve essere una creazione eroica, che tenga presente delle specificità dei diversi paesi e in America Latina, in particolare, del problema indigeno, legato al mondo contadino, risultato di secoli di spoliazione e di sfruttamento. Ciò nonostante, osservo che talvolta l’accento esagerato posto sul tema della specificità possa portare a profonde deviazioni, che finiscono con il ripudio e la liquidazione della tradizione socialista e comunista. Basti pensare alla parabola del PCI e al suo protagonismo nell’eurocomunismo.

Che comunque il problema sia arduo e complesso è cosa ben conosciuta ed è ben messa in risalto dalle parole di Fidel Castro, pronunciate il 17 novembre del 2005, che traduco di seguito: “Dopo molti anni sono arrivato ad una conclusione: tra i tanti errori che tutti abbiamo commesso, il più importante era credere che qualcuno sia esperto di socialismo, o che qualcuno sappia come si costruisce”.

Per quanto riguarda, invece, le ripercussioni sull’America Latina del dissolvimento dell’Unione Sovietica e dei suoi alleati, ciò ha determinato un cambiamento nel sistema delle relazioni internazionali, nel quale però in alcuni paesi le forze progressiste latinoamericane hanno conquistato una certa agibilità politica, giacché gli Stati Uniti erano occupati su altri fronti nella cosiddetta “guerra al terrorismo”. Tuttavia, esse sono sempre sotto minaccia come mostrano i rivolgimenti politici degli ultimi anni, nel corso dei quali l’impero in decadenza ha cercato di riconquistare la capacità di ingerenza. Inoltre, la scomparsa del “socialismo reale” e la vittoria della “democrazia realizzata” occidentale, quale modello universale, ha generato un senso di smarrimento e disorientamento, da cui non è facile venir fuori.

Ciò nonostante, il marxismo latinoamericano sembra essere ancora vivace e percorso da accesi dibattiti, animati dall’idea-forza della specificità della realtà latinoamericana. Come scrive José Aricó nel saggio su menzionato, sottolineare il carattere originale e unitario della realtà latinoamericana – come faceva Mariátegui - implicava mettere in discussione la visione unilineare del percorso storico dominante nel marxismo ufficiale e riprendere le riflessioni di Marx sulla comunità rurale russa sviluppate nella lettera a Vera Zasulič (1881). Da questo punto di vista, riferendosi ancora alla riflessione di Mariátegui, scrive ancora Aricó: “Lo sviluppo economico e sociale latinoamericano si scostava da quello dell’Europa occidentale, per il fatto che in nessun modo quest’ultimo poteva venir riconosciuto come prefigurazione e modello universale. Era necessario riconoscere la presenza di una nuova tipologia storica che ammettesse quanto appariva come anomalia nel suo autentico carattere di tipicità” (“Il marxismo latinoamericano” in Storia del marxismo, vol. III, p. 1044). Tema questo che fu ampiamente ripreso negli anni Settanta del Novecento, quando il marxismo esercitava, anche negli ambienti accademici, una certa egemonia culturale.


Note

[1] Intendendo per creoli i nati sul suolo americano discendenti dei peninsulares (gli iberici).

[2] In quechua “amauta” vuol dire saggio, maestro. Titolo attribuito ai maestri dei figli della nobiltà incaica.

[3] Movimento culturale e letterario che si sviluppò in America Latina tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, che pone al centro del suo interesse la figura dell’indigeno, sulla quale dovrebbe fondarsi sia la specificità del subcontinente sia la sua possibilità di emanciparsi.

[4] La quale, secondo Beppe Severgnini, dovrebbe con suo grande piacere presto trasformarsi nel <<parco divertimenti>> degli Stati Uniti (Corriere della sera, 9 febbraio 2017, p. 23).

18/02/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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