È noto che l’espressione battaglia delle idee viene già utilizzata da Marx negli anni ’40 dell’’800 e successivamente da Gramsci allo scopo di sottolineare che la lotta per la costruzione di un nuovo modello di società tocca in maniera profonda anche la coscienza degli individui e il loro modo di concepire la vita collettiva.
Negli anni ’80, all’epoca dello scontro con gli Stati Uniti per la restituzione al padre del piccolo Elián González, Fidel Castro rilancia questo termine e dà impulso ad una serie di importanti misure, il cui scopo è quello di elevare il livello intellettuale dei cubani; tra queste cito lo sviluppo di un programma educativo volto ad estendere la preparazione universitaria, la creazione di un canale televisivo educativo (Universitad para todos), che si è mostrato molto utile in questa fase di confinamento per l’insegnamento a tutti i livelli, l’universalizzazione dell’università; quest’ultima, il cui scopo era quello di consentire l’accesso all’università di tutti i lavoratori sociali con l’aiuto dell’impegno volontario dei docenti, purtroppo non ha dato buoni risultati.
Successivamente, dopo il dissolvimento del blocco dell’est, e quindi con l’impossibilità di contrapporre il capitalismo ad un altro modello di società, il governo cubano decise di incrementare questa politica, passando da un atteggiamento difensivo ad uno aggressivo, colpevolizzando con insistenza l’attuale sistema economico-sociale dei gravi problemi con cui si deve confrontare l’umanità. In questo contesto nel 2003 si costituì ad opera di intellettuali cubani e messicani la Rete degli intellettuali in difesa dell’umanità, che ha avuto un illustre antecedente nell’Alleanza internazionale degli scrittori, il cui primo Congresso si tenne a Parigi nel 1935. La Rete è animata dalla volontà di opporsi alla barbarie, all’ingiustizia, a difendere la pace, la dignità umana e a preservare ciò che caratterizza l’essere umano in quanto tale.
A mio parere e non solo, l’ideologia non è semplicemente falsa coscienza, per la ragione, esposta nell’Ideologia tedesca, che se le idee che gli uomini si fanno derivano dalle condizioni storiche in cui vivono, anche gli errori debbano derivare inevitabilmente da esse. Con ciò voglio dire che hanno una base reale che dà impulso all’elaborazione di idee inefficaci per comprendere l’effettiva dinamica dei fenomeni sociali e generalmente in contraddizione con gli interessi di coloro che le fanno proprie. D’altra parte, se non fosse così come mai disvelare l’errore non è mai sufficiente a che un individuo abbandoni la sua falsa credenza ed anzi persista spesso ciecamente in essa e talvolta non solo in modo passivo, attivando movimenti politici ad essa ispirati?
Faccio rapidamente un esempio, per poi soffermarmi dettagliatamente più avanti parlando dell’egemonia statunitense stabilitasi sul mondo immediatamente dopo la seconda guerra mondiale. Il cosiddetto postmodernismo, con il suo accento sull’individualismo esasperato, con il suo rifiuto degli schemi interpretativi generali, con il suo particolarismo ha sicuramente a che fare con l’individualismo neoliberale, la precarizzazione lavorativa, l’attacco ai contratti nazionali in nome dell’accordo sempre più personalizzato tra le parti. Naturalmente questa relazione non è né diretta né meccanica, e deve essere ricostruita in tutti i suoi passaggi per disvelarne la mistificazione, la quale viene sottilmente rielaborata, presentata come accettabile, trasformata in pensiero quotidiano da intellettuali che, consapevolmente o no, si mettono al servizio delle classi dominanti.
Come osservava uno studioso marxista, Raymond Williams, le idee non sono entità vaporose ed evanescenti; per essere efficaci e pervasive debbono incarnarsi in una base materiale, ossia in istituzioni concrete come sono per esempio gli edifici religiosi con le loro opere d’arte, i palazzi dell’aristocrazia che celebrano la superiorità di questo ceto rispetto agli altri. Attraverso questi processi di incarnazione e trasformazione dell’ideologia dominante in prassi quotidiana certe idee si impongono e diventano naturali, anche perché non appaiono immediatamente in contraddizione con l’esperienza.
Per comprendere questi meccanismi analizzerò un caso concreto, ossia sulla base della riflessione di alcuni storici contemporanei, ricostruendo rapidamente come si è affermata a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale l’egemonia statunitense soprattutto nei suoi aspetti culturali, facendo sì che l’american way of life sia penetrato sempre più non solo nella vita intellettuale, ma anche nella vita quotidiana di larghe masse della popolazione mondiale.
Nel giugno del 2004, 60° anniversario dello sbarco in Normandia, alla domanda: quale nazione ha dato il maggiore contributo alla sconfitta della Germania? Il 58% dei francesi indicava gli Stati Uniti, il 20% l’Unione sovietica; il risultato dell’inchiesta fatta nel maggio 1945 era esattamente l’inverso: per il 57% i sovietici, per il 20% gli americani.
Questa indagine registrava gli esiti del processo, pianificato sin dal 1942 dagli Stati Uniti e sostenuto dal Vaticano, che si basava sull’idea di appoggiare la ricostruzione della Germania e dare vita ad un’Unione europea come baluardo antisovietico. Infatti, dopo la battaglia di Stalingrado (1942-1943), era chiaro che sarebbe stato difficile contenere i sovietici, i quali conquistarono i territori dell’ex cordone sanitario nell’Europa orientale e centrale, attraverso i quali i nazisti erano passati per scatenare l’Operazione Barbarossa. Il primo risultato di questo progetto è stata la falsa epurazione e addirittura l’arruolamento di intellettuali e scienziati nazisti nelle istituzioni statunitensi. Un caso italiano clamoroso è rappresentato dalla vicenda di Guido Leto, che diresse dal 1938 al 1945 la polizia politica fascista (OVRA) e che, pur arrestato nel 1945, fu successivamente incaricato nel 1948 dal Ministero degli interni di riorganizzare i servizi segreti italiani.
Il processo di consolidamento dell’egemonia statunitense e capitalistica si è accelerato dopo l’apertura del muro di Berlino (1989), dissolvendo i risultati che Mosca aveva rivendicato nel 1941 e ottenuto nel 1944 e 1945 e arrivando a circondare di basi militari la nuova Russia. Il progetto statunitense avanzava così velocemente che Armand Bérard, diplomatico della Francia di Vichy e, dopo la liberazione, consigliere di ambasciata a Washington (dicembre 1944) poi a Bonn (agosto 1949); nel febbraio del 1952 predisse: «i collaboratori del cancelliere (Adenauer) sono convinti che il giorno in cui gli Americani saranno in grado di mettere in campo una forza superiore, l’Unione sovietica accetterà un nuovo accordo, in base al quale abbandonerà i territori dell’Europa centrale e orientale che attualmente domina».
Evento che si è realizzato e che Alessandro Natta considerò amaramente come la rivincita di Hitler, e che in effetti ha dato vita alla colonizzazione di quei territori da parte della Germania riunificata, generando nello stesso tempo conflitti interimperialistici tra quest’ultima e gli Stati Uniti.
Ora questi eventi storici sono stati accompagnati da un’aspra battaglia per le idee, il cui scopo era quello di convincere le masse europee che il socialismo sovietico non era per loro vantaggioso e che il capitalismo e il sistema liberal-democratico garantivano una vera libertà e un effettivo miglioramento delle condizioni sociali. Aspetti non del tutto falsi se pensiamo all’uguaglianza formale e alla redistribuzione delle briciole delle spoliazioni coloniali e al Piano Marshall (già nel 1892 Engels parlava di aristocrazia operaia priva di velleità rivoluzionarie), processo che determinò la scissione dei partiti socialisti in riformisti e rivoluzionari.
I mezzi per sviluppare dettagliatamente questa battaglia ideologica da parte degli Stati Uniti e dei loro paesi satelliti, confluiti nella NATO, sono bene illustrati nel libro della studiosa britannica Frances Stonor Saunder (Gli intellettuali e la CIA. La strategia della guerra fredda culturale, pubblicato in inglese nel 1999).
Qui mi limiterò a ricordare alcuni elementi salienti che hanno costruito un’immagine idilliaca degli Stati Uniti e delle democrazie occidentali, mostrando la differenza tra questa rappresentazione e quella che, in analogia e contrapposizione al cosiddetto socialismo reale, potremmo chiamare democrazia reale. Termine che dovremo usare proprio allo scopo di svelare gli aspetti occultati di questo tipo di organizzazione politica e totalmente in contraddizione con i principi sui quali dichiara di fondarsi. Questo deve costituire uno dei punti fondamentali su cui basare la nostra critica al sistema politico dominante e alle sue diverse ramificazioni culturali che mirano alla celebrazione dello stesso. Tuttavia, dobbiamo tenere conto che, se nell’antica Unione sovietica, le attività repressive si svolsero in maniera più aperta, come i processi di Mosca che decapitarono la vecchia guardia rivoluzionaria, le democrazie reali hanno sempre usato metodi più nascosti e surrettizi, ma ugualmente volti a far tacere in maniera anche violenta le voci del dissenso. E non si creda che ciò avvenne solo nel periodo della caccia alle streghe. Per esempio, lo storico G. Stocking, noto e affermato studioso dell’Università di Chicago, che aveva aderito al Partito comunista dal 1949 al 1956 e si era opposto alla Guerra in Corea, fu sorvegliato fino al 1984 e inserito nella lista di coloro che dovevano essere arrestati nel caso di una guerra contro l’Unione sovietica. Nella stessa condizione si trovarono circa 350 accademici statunitensi, senza contare gli artisti, gli intellettuali, che furono perseguitati per le loro simpatie comuniste o semplicemente libertarie, senza che l’Unione sovietica, stremata dalla guerra, costituisse una vera minaccia per gli Stati Uniti. Anzi un aspetto della guerra psicologica volta alla conquista degli strati intellettuali europei, per l’influenza che potevano esercitare sulle masse, è stato proprio l’esagerazione della pericolosità sovietica.
Lo stesso atteggiamento caratterizzò i servizi segreti britannici (SIS), che tennero sotto sorveglianza per decenni uomini come Eric J. Hobsbawm, e quelli italiani che nel secondo dopoguerra operarono sotto la direttiva di quelli degli angloamericani, adoperandosi per la vittoria democristiana del 1948. In base ad una direttiva del National Security Council era previsto l’intervento statunitense anche nel caso in cui Il PCI avesse vinto legalmente le elezioni. Questa è la democrazia reale italiana, che può spiegare anche la politica sempre più arrendevole del PCI.
Tutte queste organizzazioni si servirono di ex-comunisti, spesso di provenienza trotskista, come nel caso famoso di George Orwell (il cui vero nome era Eric Blair), che denunciò molti intellettuali e il cui successo editoriale della Fattoria degli animali fu promosso dalla CIA.
In Francia opera un partito che si definisce PCR de France, il quale, ispirandosi a quanto c’è scritto su tutte le scatole di sigarette, ha elaborato questo slogan: il capitalismo fa danno alla salute e lo applica nelle sue analisi, mostrando – a differenza di quanto vogliano farci credere – gli stretti legami tra il sistema capitalistico e la democrazia reale da un lato, e i problemi che gravano oggi l’umanità compresa l’attuale pandemia, dall’altro.
Tornando alla CIA e alle sue attività culturali (come è noto essa opera in molti campi come per esempio la pratica degli omicidi selettivi), fu fondata nel 1947 e durante la Guerra fredda assunse il ruolo di Ministero della cultura degli Stati Uniti, che altrimenti non sarebbe mai esistito. Il suo obiettivo era ed è quello di sconfiggere ovunque il comunismo nel mondo ricorrendo senza scrupoli alla menzogna necessaria. In questa prospettiva, secondo la studiosa britannica menzionata, la CIA ha sviluppato una virulenta battaglia delle idee, una battaglia per la conquista delle menti.
La CIA finanziava più di 50 riviste intellettuali e scientifiche, tra le quali Encounter (che definì Sarte un servo del comunismo), presentate come completamente indipendenti ed espressione del pensiero libero ma che senza il suo denaro non avrebbero potuto sopravvivere. Molti intellettuali sapevano cosa c’era dietro le riviste o i congressi cui partecipavano ma accettavano questo vincolo che garantiva loro un certo prestigio e una certa fama. Come Stonor Saunders sottolinea ironicamente, si trattava di un matrimonio a tre, in cui il terzo membro occulto era rappresentato appunto dalla CIA.
Uno degli eventi più importanti organizzati dalla CIA e in particolare da un suo abile agente, tal Melvin Lasky, fu il Congresso per la libertà culturale, celebrato a Berlino nel 1950, di cui per un certo tempo furono presidenti onorari sia B. Russell che B. Croce; in quell’occasione il congresso fu dedicato ai seguenti temi: scienza e totalitarismo, arte, artisti e libertà, la difesa della pace e della libertà etc. Per l’Italia tra gli altri parteciparono al Congresso Ignazio Silone, in precedenza al servizio dell’OVRA, Altiero Spinelli e Guido Piovene.
Naturalmente questo breve articolo dovrebbe essere completato dall’esame dei tratti caratterizzanti il pensiero ideologico, noto ai filosofi e analizzato in tempi recenti dai semiologi. Mi limito qui a ricordare la cosiddetta naturalizzazione, che consiste nella dissoluzione della storia praticata per esempio dal pensiero cattolico e liberale che considera la proprietà privata un attributo naturale dell’uomo. A ciò aggiungo il criterio dell’associazione, impiegata per esempio negli Stati Uniti per affermare la natura cinese del COVID 19 per pubblicizzare barattoli dell’inesistente zuppa cinese al pipistrello. Con questi meccanismi mentali si indirizza il pensiero verso certe direzioni prestabilite ed utili allo status quo o all’acquisizione di un vantaggio in un conflitto.
L’analisi del ruolo culturale della CIA mostra quanto sia importante la funzione degli intellettuali per la costruzione dell’egemonia e per rendere accettabile un certo sistema economico-sociale, la cui positività e validità debbono penetrare nel pensiero quotidiano ed essere continuamente ribadite sino a diventare indiscutibili.