MILANO. Francesco Postorino è un filosofo e saggista. Ha avuto l’opportunità di approfondire le sue ricerche a Parigi presso l'Università della Sorbona, incontrando studiosi che come lui si occupano in particolare di neoidealismo italiano ed europeo, di esistenzialismo, di socialismo liberale e del pensiero liberal.
In pochi mesi il giovane studioso Francesco Postorino ha pubblicato due volumi dedicati alla filosofia italiana del Novecento, nello scenario del rifiorire dell’attenzione nei riguardi dell’Italian Theory. Grazie all’incontro con Roberto Esposito, Postorino ha saputo riaccendere i riflettori su Carlo Antoni, pensatore neoidealista d’impronta liberale, ignorato dalle accademie e dalla cultura in generale. “Carlo Antoni. Un filosofo liberista”, con la prefazione di Serge Audier, pubblicato da Rubbettino nel 2016, è un’analisi critica e ben ragionata su un importante allievo di Benedetto Croce, distintosi in molti campi del sapere. Il libro su cui ci soffermiamo è il più recente – “Croce e l’ansia di un’altra città” – che ha la prefazione di Raimondo Cubeddu ed è stato pubblicato quest’anno da Mimesis. “L’ansia di un’altra città” è la trama che fa da sfondo a un saggio originale, dove alcune correnti di pensiero già ampiamente affrontate dagli specialisti - neostoricismo, socialismo liberale, marxismo italiano di fine ottocento - ritornano in una veste inedita. Filosofi del calibro di Croce, Calogero, de Ruggiero, Bobbio, Calamandrei, Gobetti e Capitini non andrebbero, per Postorino, visitati con la lente stanca della storiografia, oppure con l’occhio scientifico e neutrale. Secondo l’autore, infatti, i protagonisti della cultura politica del secolo scorso continuano a parlare, sono “vivi” nel dibattito, meglio, dovrebbero esserlo. Perché continuano a farlo in un’epoca che dimentica facilmente, che si ostina a vivere “nell’eterno presente” del disincanto, che premia le molteplici offerte populiste, che si nutre di sofismi e, soprattutto, che ha ucciso Dio. Postorino, in particolare nell’introduzione e nel capitolo su Bobbio, insiste sugli effetti nocivi che scaturiscono dalla celebre sentenza preannunciata da Nietzsche.
“La morte di Dio”, a suo parere, è il punto di approdo del nichilismo assoluto, un fenomeno che si affaccia sulla scena ogni volta che si attenua o scompare la tensione normativa o “l’ansia di un’altra città”. Far resuscitare Dio, per il giovane filosofo, sottende la riabilitazione della cornice dialogica delineata da Calogero, la dialettica fra l’eterno e la storia nel senso indicato da de Ruggiero, la religione del dovere di Gobetti, il rigore morale di Calamandrei e la lezione nonviolenta di Capitini. Tutti accomunati dal bisogno di non chiudere i ponti con gli ideali. Entrano in campo gli “azionisti” che tengono un piede nella vita reale e un altro “nell’altrove”. Non hanno, insomma, alcuna intenzione, contrariamente allo storicismo hegeliano di Croce, di ripudiare i principi illuministi dell’ ‘89, quel Sollen kantiano che enuncia il valore laico della trascendenza. Per Francesco Postorino la famiglia politica dell’azionismo si colloca al confine tra l’immanenza e l’assoluto, tra il tempo e la rêverie, tra il liberalismo puro e il socialismo. Si tratta di un pensiero inserito nella stagione della modernità, che a suo parere non produce un messaggio “ateo”, non racconta il nulla o il “niente” – tipologia degli esistenzialisti francesi e tedeschi. Un pensiero legato alla sensibilità cristiana, che affonda le radici sul concetto del “divino” che per l’autore è stato “cancellato dai tempi bui dell’oggi”.
Con più precisione e andando controcorrente rispetto alla vulgata dominante, Postorino sostiene che “questi pensatori costituiscono l’ultima resistenza al postmoderno”. Ovvero, la loro ricetta della modernità è rispettosa di alcuni canoni puntualmente travolti dai nuovi sacerdoti del nichilismo. Ciò vale, in particolare, se si prende in considerazione la cultura politica della sinistra.
La sinistra del nuovo millennio ha compiuto un atto di “parricidio” perché si è slegata violentemente dalla tradizione del socialismo liberale e naviga con piacere nelle terre del capitale. Si trova a proprio agio nei circuiti della globalizzazione, insegue i racconti delle destre e non pensa più al disagio degli sfruttati. Il bersaglio di Postorino è soprattutto il nuovo liberal,: chi con una mano sventola la bandiera della fratellanza e con l’altra firma il suo successo. “Il liberal che soffre per il popolo, ma non sopporta il tetto al suo stipendio, difende gli immigrati, eppure non li vuole vicino casa; insomma quel sedicente progressista che ha sostituito dio con il denaro, il potere e la chiacchiera heideggeriana del si dice”.
Quando Dio viveva, la sinistra politica e intellettuale si ispirava all’ideale egualitario, alla solidarietà e al bene pubblico. “Adesso è divenuta «atea», radical chic, indifferente, assuefatta all’imperativo capitalista e sposa surrettiziamente il paradigma dell’homo homini lupus”. Ritornare con occhio avveduto ai fautori del neoidealismo di seconda generazione e alla prospettiva azionista significa, quindi, per Postorino “recuperare una narrazione autentica e di lungo respiro, offesa di continuo dagli interpreti del nulla”. Potrebbe aprirsi un dibattito.