Domanda: In cosa consiste la carne sintetica, questo nuovo alimento tecnologico?
Risposta: Si tratta di far moltiplicare in bioreattori in condizioni definite le cellule del muscolo bovino, provenienti da cellule staminali (le cellule muscolari adulte difficilmente si moltiplicano). La massa ottenuta viene lavorata tecnologicamente per produrre consistenza, forma e gusto desiderato, non molto diversamente da come si fa con le proteine della soia.
Domanda: È presente oggi sul mercato la carne sintetica?
Risposta: Ad oggi siamo ancora in ambito di ricerca e comunque prima della commercializzazione si dovrà seguire un iter di approvazione per garantirne la non nocività alla salute, giacché essa rientra nella categoria dei Novel Food, ossia prodotti alimentari privi di una storia di consumo, quindi poco sperimentati.
Domanda: Gli animali non vengono, dunque, macellati? Quali vantaggi ne derivano?
Risposta: Attualmente la coltura delle cellule della carne sintetica avviene con l’impiego del siero di vitello, necessario per la crescita del tessuto, per cui la carne sintetica implica comunque l’abbattimento animale. È presumibile, tuttavia, che in un futuro prossimo sia possibile utilizzare un siero “sintetico”, con aminoacidi prodotti da idrolisati proteici di origine vegetale, con costi comunque elevati.
Domanda: Quindi, non c’è una diminuzione dei costi?
Risposta: Ad oggi il costo della carne sintetica è molto più alto di quello della carne di origine animale. Tuttavia, non è possibile escludere che in futuro sia possibile ridurre i costi e che la carne sintetica diventi competitiva.
Domanda: La carne sintetica sarebbe adatta per vegani?
Risposta: Ipotizzerei di sì, una volta che sarà eliminato l’impiego di siero bovino per la crescita dei tessuti. Tuttavia, rimane aperta la questione filosofica, ovvero se si tratti ancora di un prodotto di origine animale; infatti, pur essendo un prodotto del laboratorio, esso è costituito da cellule animali. Il vegano intransigente non mangia nemmeno il miele, perché prodotto dalle api, così come il latte che è prodotto dalla mucca.
Domanda: Perché si è intrapreso questo percorso?
Risposta: Perché la produzione di alimenti animali su larga scala, come conseguenza dell’alimentazione umana degli ultimi decenni, non è compatibile con l’ecosistema e crea problemi di zoonosi e di antibiotico-resistenza negli allevamenti intensivi. Nasce, quindi, un nuovo mercato per la ricerca e per la produzione della carne sintetica, per il quale si reperiscono finanziamenti privati, del terzo settore (es. Fondazione Veronesi); ne consegue una corsa frenetica per accaparrarli.
Domanda: La carne sintetica risolverà i problemi ambientali?
Risposta: Marco Springmann, scienziato ambientale dell’Università di Oxford, ha dichiarato in un’intervista che la quantità di energia necessaria per il processo di produzione della carne coltivata è tale che la sua impronta di carbonio risulta essere cinque volte superiore a quella del pollo. In futuro è possibile che l’energia spesa sarà minore, ma nessuno può dirlo. Personalmente sono molto scettico che possa mai avere un impatto energetico comparabile alle fonti proteiche vegetali (legumi in primis e cereali), se non altro perché per produrre la carne sintetica occorre partire da molecole quali aminoacidi, grassi e zuccheri che provengono dal mondo vegetale. Dette fonti nutritive vegetali, nel trasformarsi in carne sintetica richiedono aggiuntivo consumo di energia, mentre se fossero utilizzate direttamente per il consumo umano ci sarebbe un passaggio energetico in meno, con minor spreco di energia ed emissione di anidride carbonica. La produzione della carne sintetica prodotta in laboratorio (meglio definirla carne artificiale) è molto più impattante dal punto di vista ambientale rispetto a quella naturale proveniente dalla zootecnia tradizionale. Ad affermarlo lo studio “Environmental impacts of cultured meat: A cradle-to-gate life cycle assessment“, realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Davis, in California, e pubblicato sul portale bioRxiv.
Domanda: L’alimentazione umana non è solo un fatto alimentare, ma anche culturale. Possiamo cambiare le nostre abitudini?
Risposta: Esattamente. Essendo l’alimentazione umana non solo un atto, fisiologico, dettato dal bisogno biologico, ma anche culturale, legato al vissuto, al sapere, ipotizzando l’eliminazione dei piatti tradizionali e il passaggio ad una alimentazione sintetica (la pillola che contiene tutto!), si aprirebbero scenari inesplorati dal punto di vista psichico e sociale. D’altronde, l’alimentazione artificiale, praticata per necessità nei pazienti in gravi stati patologici (alimentazione enterale o parenterale totale), inducono gravi stati di sofferenza, sopportabili solo per tempi ristretti.
Domanda: Ma chi ci guadagna da questo cambiamento, direi, epocale?
Risposta: Come già avvenuto per l’OGM, essendo la ricerca e la produzione in mano a società private, lo scopo che ne determina l’orientamento è quello del profitto e non certo il bene comune. Gli OGM, potenzialmente una utilissima invenzione, tuttavia, in mano alle grandi Compagnie multinazionali (Monsanto, Novartis), non è stata orientata al bene comune, ma al profitto. A titolo di esempio, la pianta OGM più diffusa al mondo è la soia RR (Roudup Ready), brevettata dalla Monsanto, la quale ha la caratteristica di resistere all’erbicida glifosato, anch’esso brevettato e prodotto dalla Monsanto, e pertanto lo stesso erbicida può essere impiegato anche durante lo sviluppo vegetativo della soia. Il glifosato sarà quindi utilizzabile con disinvoltura, con danni alla salute dell’uomo che consuma la soia e danni all’ambiente. Il riso OGM ricco del precursore della vitamina A (riso GR2), vitamina la cui carenza in molti Paesi poveri determina morte e cecità, ha avuto uno sviluppo minimo per contrasti tra i produttori di brevetti. Certamente l’interesse per i fabbisogni nutrizionali della popolazione dei Paesi poveri non è stato altrettanto impellente per le multinazionali, per i minori profitti possibili in questo mercato.
È chiaro che la ricerca e la tecnologia in mano al capitale privato prende strade potenzialmente molto diverse da quelle che potrebbero essere orientate da scelte democratiche e obiettivi collettivi.
Discorso analogo, ovviamente, si potrebbe fare per l’industria del farmaco, la quale, ad esempio, oggi tende a fare meno ricerca di base e punta al profitto a breve, per cui anziché lavorare con obiettivi a medio e lungo termine nella ricerca di nuove categorie di antibiotici, oggi necessari, essendo gli antibiotici in uso resi poco efficaci dall’antibiotico-resistenza dei batteri, preferisce sviluppare nuove molecole di antiipertensivi o antistaminici o antiacidi, mediante minime modifiche chimiche, con poco o nessun reale beneficio sui pazienti, ma collocabili all’interno di un mercato enorme nei Paesi più benestanti.
Domanda: Chi sta investendo nella carne sintetica?
Risposta: Tra I principali ci sono Bill Gates, Sergey Brin (Google) –membri della WBCSD (associazione di oltre 200 imprese internazionali che si interessano di sviluppo sostenibile) – e Richard Branson (Virgin Group).
Domanda: Ci sono state forti manifestazioni degli agricoltori europei un po’ ovunque. Hanno ragione a lamentarsi dei bassi guadagni?
Risposta: I prezzi delle produzioni agricole e zootecniche pagate al produttore sono fondamentalmente governati dalle grandi catene distributive, che sono in una posizione di crescente oligopolio. Su questo punto non si sono visti né proposti interventi decisivi, in quanto essi impatterebbero con i profitti delle multinazionali della distribuzione.
Domanda: Che ci puoi dire sui pesticidi, che gli agricoltori vorrebbero continuare a usare?
Risposta: I vincoli sull’impiego dei pesticidi da parte della UE, ancorché parziali, si muovono in una direzione necessaria e fondamentale, in quanto questi ultimi, oltre ad essere dannosi a livello di introduzione cronica, alterano gravemente l’ecosistema. Le principali categorie di pesticidi sono: erbicidi, fungicidi, piretroidi sintetici, carbammati, organofosfati e organoclorurati. Essi presentano una tossicità di tipo cronico che contribuisce allo sviluppo di diverse patologie del sistema nervoso (morbo di Parkinson), cancro e altro. L’impiego diffuso in agricoltura determina inoltre gravi conseguenze ecologiche sulla catena alimentare. Ad esempio, la riduzione delle api e di altri insetti impollinatori, attribuita con certezza all’impiego di insetticidi in agricoltura (d'altronde le api sono insetti, imenotteri), riduce la riproduzione delle piante in natura e anche delle piante coltivate, come quella degli alberi da frutta e degli ortaggi. Purtroppo, l’unico risultato ottenuto dalle proteste degli agricoltori è stato proprio il ritiro o comunque l’attenuazione dei vincoli all’impiego dei pesticidi e non il contrasto agli oligopoli della distribuzione, che impongono i prezzi bassi. Ancora una volta si è visto che i governi all’interno dell’economia capitalistica non possono interferire con i profitti, che antepongono alla salute umana e all’equilibrio dell’ecosistema terrestre.
Sarebbe invece auspicabile la progressiva riduzione ed eliminazione dell’impiego dei pesticidi in agricoltura: per l’agricoltore questo significa il passaggio alla lotta integrata e alla sostituzione dei pesticidi con metodi di coltura diversi che potrebbero comportare un aggravio di spesa, almeno nel breve termine. In realtà, l’agricoltura con l'impiego dei pesticidi produce esternalità notevoli che paga la collettività.
Domanda: Cosa ci dici sugli insetti, altro novel food?
Risposta: Dal punto di vista ecologico bisogna considerare che anch’essi si nutrono di vegetali e quindi la loro efficienza nutrizionale è paragonabile agli altri animali e non alle piante. Tuttavia, essendo animali a sangue freddo, il loro metabolismo, in circostanze ottimali è generalmente inferiore a quello dei mammiferi e quindi in teoria richiedono meno energia per essere prodotti, impattando meno, a pari proteine prodotte, sull’emissione di anidride carbonica nel ciclo produttivo.
Domanda: Conosciamo il loro impatto sulla nostra salute?
Risposta: Gli insetti appartengono al phylum degli artropodi, lo stesso a cui appartengono i crostacei, che consideriamo molto prelibati e costituiscono una buona fonte di proteine, minerali ed oligoelementi. Il consumo di insetti è comunque tradizionalmente diffuso in molte aree del mondo, soprattutto in Africa equatoriale (locuste), nel sud est asiatico e nel Messico, ma non in Europa o in Nord America ed in generale nei Paesi a clima temperato. Pertanto l’eventuale introduzione in Europa di insetti come alimento, anche solo come ingrediente di prodotti alimentari in forma di farina, richiede verifiche di sicurezza analoghe a quelle assegnate ai Novel Food. Dal punto di vista della sicurezza nutrizionale non mi aspetto comunque particolari problemi, anche se gli insetti vanno necessariamente considerati allergeni alla stregua dei crostacei. Ovviamente per gli allevamenti di insetti a scopo alimentare sarà anche da creare una normativa ad hoc, per normare la fonte alimentare, l’igiene, l’impiego di farmaci, la struttura dell’allevamento, l’abbattimento ed il trasporto e probabilmente anche l’aspetto etico del benessere animale. Chiaramente non sarà facile l’accettazione degli insetti come fonte alimentare da parte dei cittadini occidentali, anche solo come farina impiegata come ingrediente per aumentare il tenore proteico di prodotti da forno, barrette, snack. Tuttavia a medio e lungo termine non si può escludere che possano essere proficuamente impiegati all’interno della nostra alimentazione ma non saranno certo gli insetti la soluzione di tutti i problemi ecologici.