Ha spento il fornellino della pipa e ha chiuso gli occhi. Se ne va Zygmunt Bauman, lasciando un’eredità culturale ricchissima a chi lo ha seguito, stimato, letto e amato. Sì, anche affetto e riconoscenza per questo signore minuto, elegante, discreto, dalla buffa capigliatura. Un uomo che forniva immediata simpatia ed empatia, a detta di chi lo ha incontrato, conosciuto e con lui interloquito. Zygmunt è uno degli intellettuali che ha saputo analizzare nel modo più credibile e attraente il periodo storico, antropologico e socio economico, ma anche psico-affettivo che sta attraversando l’uomo, e i motivi della deriva dell’umanità nel periodo del postmoderno, termine che spesso compariva su molti suoi testi. Che sostituì poi con modernità liquida, idea di cui è stato il promotore. Bauman, “the big man” della società liquida (leggi), idea a cui è da attribuire la sua enorme notorietà.
Visione di una società disfatta, non più solida come quella del welfare state e del lavoro a vita presso aziende che non conoscevano crisi e che offrivano lavoro a più generazioni. Nei tempi della società liquida avviene il contrario. Non c’è più la permanenza. Si sbaracca da un giorno all’altro, si cambia lavoro e si smontano le tende dal precedente. Progetti azzerati, orizzonti brevissimi. Subentra l’incertezza e sparisce l’idea di comunità lasciando il posto ad uno sfrenato individualismo. L’uomo liquido si chiude nella sua “scorza”, aborrendo l’idea di solidarietà, come strategia di organizzazione sociale che un tempo era l’input della lotta di classe operaia. E questa incertezza l’uomo liquido la porta anche nel suo privato, negli affetti e nelle relazioni, anche nell’amore che anch’esso diventa liquido. E l’incertezza del vivere in una società che non offre continuità, in uno Stato senza un welfare, la compensa aggrappandosi all’eden del consumismo. I mercati della globalizzazione diventano il trionfo della vacuità, un’arma di distrazione per un mondo di nomadi erranti. Né comunitàné comunicazione nella società liquida che non sia quella virtuale della rete, in cui ognuno è nessuno o centomila, mai se stesso.
E mi piace, tanto più oggi, ripercorrere le orme degli insegnamenti e delle pillole di sapienza sull’analisi della società postmoderna di cui Zygmunt, con franca lucidità e estrema oculatezza, riusciva a dare una visione quantomeno originale, soprattutto realistica e credibile. E rispolvero Society under siege un saggio che il sociologo scrisse nel 2002 . “Esiste ancora la società nel senso tradizionale del termine? Ovvero: vicinanza, prossimità, aggregazione, legami reciproci tra le persone? Siamo soli, in ansia cronica, ipercompetitivi. Siamo sotto assedio”.
Così scrive Bauman nella prefazione del saggio: “Viviamo oggi in un pianeta condiviso da tutti, come non mai nella storia dell’umanità. Come non mai gli abitanti del pianeta hanno l’opportunità di conoscere meglio le reciproche abitudini e attitudini. Ma abbiamo anche affilato le armi, tanto da poter distruggere tutto ciò che abbiamo costruito. Più che mai oggi abbiamo motivo di dialogare gli uni con gli altri, anziché combatterci. Dobbiamo assolutamente cogliere questa opportunità”.
Una sfida che non si riesce a cogliere. Giocano in perdita alcuni fattori quali l’insicurezza nel sentirsi riconosciuti, nel vedere la nostra dignità e i nostri modi di vita riconosciuti e rispettati. “Mancano soprattutto le pari opportunità e le pari possibilità di godere dei frutti dei nostri comuni successi”.
Secondo Bauman la responsabilità maggiore è da attribuirsi al disordine mondiale che emerge dal deregolamentato processo di globalizzazione. Il passo seguente che induce alla violenza, invece che al negoziato, è brevissimo. In una società liquida anche le condizioni sono liquide e quindi si possono “riplasmare” a esclusivo personale beneficio, sì da spaventare l’avversario. Non più nostro interlocutore, ma nemico fastidiosissimo da eliminare o da sottomettere a un potere creato ad hoc. Mentre un mondo globale, scrive Bauman, potrebbe essere possibile se “il desiderio di responsabilità morale e gli interessi della sopravvivenza coincidono e si fondono”.
La globalizzazione, secondo il sociologo, è soprattutto “una sfida etica”, ma già persa in partenza. Perché è così tremendamente difficile da attuare? Le persone, in questo processo, non ne sono parte attiva, ma sconfinate al ruolo di spettatori di una società in cui non ci si riconosce e ci si sente impotenti. E non solo “le persone comuni relegate alla cura dei propri problemi privati, ma anche chi occupa alte cariche pubbliche, chiamate ad occuparsi del benessere e della sicurezza comune, “restano attonite e confuse” nella consapevolezza che tutti gli strumenti sono inadeguati alle nuove condizioni della società liquida e mutevole”. In questa agonia di impotenza e in quel “territorio extraterritoriale” al di sopra del mondo familiare della legge terrestre “potrebbe accadere di tutto, ma non si può fare nulla”, perché tutto è ingestibile.
Una via di fuga dalla società liquida della globalizzazione? Fuggire da un mondo senza autorità e senza padroni e rifugiarsi sotto il potere di “arcigni, ma risoluti manager che conoscono il loro lavoro”. Utopia. Non esistono soluzioni locali a problemi globali. Anche Marx imputò di utopismo i fautori di una società più giusta e equa che tentarono di fermare il capitalismo e sognavano di tornare “all’epoca delle famiglie allargate e alle officine familiari”. Non si torna al passato e a Marx la storia ha dato ragione. Un possibile ripristino di una società in cui si radichino principi di equità e giustizia, deve partire “dal punto in cui le irreversibili trasformazioni hanno già condottola condizione umana”. Quindi il “torniamo all’epoca del telefono a muro” e “distruggiamo la rete internet” non funzionerebbe. La ritirata di massa dalla globalizzazione della dipendenza umana e dalla tecnologia non avrebbe effetto, non è opzione risolutiva. “La questione - scrive Bauman - non è come invertire il fiume della storia, ma come combattere l’inquinamento delle sue acque prodotto dalla miseria umana e come incanalarne il corso verso una più equa distribuzione dei vantaggi che esso arreca”.
E non posso che rispolverare anche l’ultimo saggio letto, Il demone della paura (leggi). Il tema ci coinvolge pienamente nella società liquida in cui siamo sprofondati, in cui imperano nel nostro vissuto incertezze e fragilità. “La paura ci spinge ad un atteggiamento difensivo…ormai ci è entrata dentro,saturando le nostre abitudini quotidiane. Non ha quasi più bisogno di altri stimoli dall’esterno, bastano le azioni che ci spinge a compiere giorno dopo giorno a fornire tutta la motivazione e tutta l’energia di cui ha bisogno per riprodursi”. E la paura si fa carne viva quando investe la sfera del lavoro. Nella società liquida nessun progetto, nessuna sicurezza, nessuna tutela, nei rapporti capitale-lavoro e nella difesa dei diritti del lavoratore. “Nella fabbrica fordista l’impegno con la controparte nei rapporti capitale-lavoro era reciproco e a lungo termine, e ciò rendeva entrambe le parti dipendenti l’una dall’altra, ma al tempo stesso le metteva in condizioni di fare progetti, di impegnarsi e di investire nel futuro…La fabbrica fordista era un luogo di aspri conflitti, ma era anche un riparo sicuro, da cui guardare al futuro con fiducia e che di conseguenza permetteva di contrattare, scendere a compromessi e ricercare una modalità consensuale di coabitazione”.
Nella modernità solida i legami danneggiati erano “riparati” dalle associazioni, dai sindacati e da collettività, in cui regnava la solidarietà in base al principio di appartenenza. Con la post modernità o società liquida viene smantellato il principio di solidarietà e di appartenenza. A questa fase di deregulation non hanno avuto seguito nuove forme societarie di gestione della paura, delle incertezze derivanti dalla precarietà dello stato sociale che è stato smantellato.
Oggi non avere un posto di lavoro viene sempre più percepito come uno stato di “esubero”, inteso come scartati, come superflui, invece che come la condizione di disoccupazione, ovvero un disagio temporaneo a cui porre urgentemente rimedio. “Non avere un lavoro oggi vuol dire essere smaltiti una volta per tutte, non essere più utili alla società, perché la produzione è comunque assicurata ma con meno personale e con i costi del lavoro più bassi che in passato”. Le persone così diventano socialmente invisibili, perché il loro apporto alla vita sociale è nullo. Infine la società ne guadagnerebbe sbarazzandosene. E avanza nell’individuo, già “liquido” di suo, il demone della paura che azzera le minime certezze e aumenta il senso di precarietà della vita.
Nella società liquida anche l’amore è compromesso nella stabilità. L’abitante della società liquida non può avere legami solidi, sarebbe un ossimoro. L’eroe di Amore liquido, saggio che l’autore scrisse nel 2003, è un uomo senza legami fissi. L’abitante della società liquida non può costruirli, aderendo a qualsiasi legame convenga usare quale ponte di collegamento con il resto dell’umanità. Vincoli allentati, così da potersi sciogliere in qualsiasi momento in cui lo scenario cambi. E nella società liquida lo scenario cambia continuamente. Ciò che l’uomo liquido cerca nella relazione è appagamento, gioia senza amarezze da ingoiare. Prendere senza dare, chiedere senza offrire. L’uomo liquido in amore “vuole la botte piena e la moglie ubriaca”. Non ci riesce, e si rivolge all’esperto per sentirsi dire come far quadrare il cerchio fra attrazione e repulsione in un legame amoroso. Beati gli esperti che godranno a vita di una fonte di guadagno inestinguibile, in quanto nessuno di loro potrà mai trasformare un cerchio in un quadrato. Un aspetto della liquidità che assume aspetti anche esilaranti.
Zygmunt, trattando della liquidità nei “love affairs”, ha il potere di farci sorridere. E ben venga in questa valle di liquidità da cui dobbiamo tentare di uscire. Non si torna indietro, questo è chiaro. Non c’è bisogno di affilare ancora le armi, sono già troppo affilate. Non ci si serra nel nostro “tabernacolo” privato. Si lavora insieme per purificare quel fiume della storia che ha inghiottito la solidità e la solidarietà tentando riportare questi valori nelle nostre vite. E lo dobbiamo fare senza inventarci la paura. Per Zygmunt, che ci ha indicato la strada da percorrere, bando alla paura e grazie…
Fonti
Z. Bauman:
La società sotto assedio, Roma-Bari, Laterza, 2003
Il demone della paura, Roma-Bari, Laterza-la Repubblica, 2014
Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Roma-Bari, Laterza, 2004