Gramsci e la questione meridionale

Mentre i partiti antifascisti combattevano il fascismo, Antonio Gramsci, dalla sua cella, meditava e scriveva le analisi storico-filosofiche e politiche dalle quali il marxismo italiano avrebbe tratto nuova linfa dopo la sconfitta del fascismo: i Quaderni del carcere. La cui originaria ispirazione va rinvenuta proprio nel saggio Alcuni temi della quistione meridionale, iniziato nel 1926 e rimasto incompiuto.


Gramsci e la questione meridionale

Mentre i partiti antifascisti combattevano il fascismo, Antonio Gramsci, dalla sua cella, meditava e scriveva le analisi storico-filosofiche e politiche dalle quali il marxismo italiano avrebbe tratto nuova linfa dopo la sconfitta del fascismo: i Quaderni del carcere. La cui originaria ispirazione va rinvenuta proprio nel saggio Alcuni temi della quistione meridionale, iniziato nel 1926 e rimasto incompiuto.

Nel mese di ottobre del 1926 Gramsci inizia la stesura di un saggio, rimasto incompiuto, intitolato Alcuni temi della quistione meridionale, che sarà poi pubblicato per la prima volta a Parigi nel gennaio del 1930 su «Lo Stato operaio»1. Questo scritto ha un duplice significato nell’ambito della produzione gramsciana: da un lato è il punto di arrivo di uno studio avviato negli anni precedenti, dall’altro è il primo scritto che si presenta in forma di saggio e non di articolo da destinare a un quotidiano o a un periodico. Che Gramsci avesse maturato un interesse specifico per la questione meridionale è un fatto non solo di natura politica ma anche personale ed esistenziale: era un uomo del Meridione, cresciuto fra le contraddizioni di una terra, la Sardegna, fra le più esposte alle politiche protezionistiche delle classi proprietarie continentali. E, se questo poteva sembrare un punto di vista provinciale e quasi scissionista, Gramsci proprio nel saggio del 1926 maturò e manifestò esplicitamente la consapevolezza, mai più abbandonata, che la questione meridionale non potesse essere risolta con rimedi specifici, quasi fosse un caso a sé; essa rappresentava invece un aspetto della questione nazionale e doveva essere affrontata attraverso l’assunzione di una politica generale del Paese. Già negli articoli de «Il Grido del popolo» Gramsci aveva messo in evidenza questo suo punto di vista sulla questione meridionale2. Ancora ne «L'Ordine Nuovo» quello del Mezzogiorno era diventato uno dei problemi nazionali prioritari che il futuro stato socialista avrebbe dovuto affrontare: “la borghesia settentrionale ha soggiogato l’Italia meridionale e le isole, e le ha ridotte a colonie di sfruttamento; il proletariato settentrionale, emancipando se stesso dalla schiavitù capitalistica, emanciperà le masse contadine meridionali asservite alla banca e all’industrialismo parassitario del Settentrione”3. Perciò il deputato che alla Camera, durante l’unico intervento di Gramsci il 16 maggio del 1925, lo accusò di non conoscere il Meridione, evidentemente poco sapeva del leader comunista: di sicuro ignorava le sue ricerche teoriche e politiche, e ancor più le sue origini4. Il discorso in Parlamento è un momento decisivo della biografia politica di Gramsci e molti spunti teorici saranno sviluppati, come è stato notato5, nelle sue riflessioni successive: nel saggio sui problemi del Mezzogiorno (di cui qui ci stiamo interessando), nell’analisi del fascismo ripresa nelle Tesi di Lione, nella critica del capitalismo post-risorgimentale e nei suoi rapporti con il sistema imperialistico mondiale nei Quaderni del carcere. Il discorso parlamentare di Gramsci fu definito da Togliatti stesso come “un primo abbozzo, qua e là non ancora finito nei particolari, della sintesi storica che in modo magistrale sarà espressa nel capolavoro politico di Antonio Gramsci, lo scritto sulla Quistione meridionale”. “Risulta del resto (…) - continua ancora Togliatti - che mesi prima dell’arresto già Gramsci lavorava a quello scritto, il cui punto di partenza fu forse precisamente questo intervento parlamentare”6.

Il saggio Alcuni temi della quistione meridionale7 rappresenta una delle riflessioni più acute dal punto di vista marxista sulla vita politica italiana dall’età giolittiana all’avvento al potere del fascismo, con incursioni di carattere polemico nei confronti di quel ceto intellettuale-borghese che aveva diffuso presso gli operai, soprattutto del Nord, l’idea che il Mezzogiorno fosse la palla di piombo “che impedisce più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia” (p. 140); sconfiggere questi pregiudizi anti-meridionalisti sarebbe stato già un passo in avanti notevole per far nascere le condizioni dell’alleanza della classe operaia con le masse popolari del Mezzogiorno.

Le scelte di Giolitti all’inizio del XX secolo, nota Gramsci, sono per un blocco sociale capitalistico-operaio, per l’accentramento statale, per un riformismo dei salari e delle libertà sindacali. In questo contesto i socialisti diventano uno strumento della politica giolittiana. Quando il proletariato mostra insofferenza per tale politica, Giolitti si rivolge ai cattolici che rappresentano le masse contadine dell’Italia settentrionale e centrale. In quest’ottica il compito prioritario del proletariato è individuare le alleanze di classe che gli consentano la mobilitazione contro il capitalismo e la borghesia. Serve il consenso delle masse contadine, ma la questione contadina in Italia ha due connessioni particolari: con la questione meridionale e con quella vaticana; soltanto facendo proprie entrambe, comprendendo che cosa significhino dal punto di vista di classe, il proletariato potrà conquistare la maggioranza dei contadini. Quindi, come esercitare l’egemonia politica, cioè la direzione sugli alleati? La società meridionale è un blocco agrario costituito da tre strati sociali: la grande massa contadina, gli intellettuali della piccola e media borghesia, i proprietari terrieri e i grandi intellettuali. La grande massa contadina è totalmente sottoposta, nel campo politico, ai grandi proprietari e, in quello ideologico, ai grandi intellettuali. Dal punto di vista del prestigio ideologico, sottolinea Gramsci, spiccano Giustino Fortunato e Benedetto Croce, “le due più grandi figure della reazione italiana”(p. 150), il cui ruolo è fondamentale nella costruzione del sistema egemonico borghese. L’intellettuale meridionale, continua Gramsci, “è democratico nella faccia contadina, reazionario nella faccia rivolta verso il grande proprietario e il governo” (p. 151); quell’intellettuale lega il contadino al latifondista in un “mostruoso blocco agrario” (p. 153) che funziona “da intermediario e da sorvegliante del capitalismo settentrionale e delle grandi banche” (ibidem). Pertanto vi è un nesso stretto fra questione meridionale e questione degli intellettuali; sono proprio i Fortunato e i Croce a sottrarre al Meridione la gioventù colta, allontanandola dalle masse contadine meridionali, per collegarla agli interessi della borghesia nazionale ed europea. Autocriticamente Gramsci nota come anche i comunisti ordinovisti subirono il fascino del crocianesimo, ma precisa che, al tempo stesso, furono i primi a determinare un’inversione di tendenza, operando una prima mediazione fra strati di intellettuali progressisti e proletariato. In questo senso il leader comunista ricorda come Piero Gobetti volesse l’intesa con gli intellettuali meridionali che “ponevano la quistione meridionale su un terreno diverso da quello tradizionale introducendovi il proletariato del Nord: di questi intellettuali Guido Dorso è la figura più completa ed interessante” (p. 157). Comprendendo l’azione politica e sociale svolta dal grande intellettuale torinese, sarebbe stato possibile comprendere anche “la quistione degli intellettuali e la funzione che essi svolgono nella lotta delle classi” (ibidem). D’altronde, la natura stessa degli intellettuali prevede un loro sviluppo verso posizioni progressiste più lento rispetto a quello di qualsiasi altro gruppo sociale; infatti, non si può chieder loro una rapida rottura con le tradizioni con le quali hanno convissuto, per aderire ad una nuova ideologia. Perciò è necessario operare affinché fra gli intellettuali si determini “una frattura di carattere organico” (p. 158), nasca cioè “una tendenza di sinistra, nel significato moderno della parola, cioè orientata verso il proletariato rivoluzionario. L’alleanza fra proletariato e masse contadine esige questa formazione; tanto più la esige l’alleanza tra il proletariato e le masse contadine del Mezzogiorno” (ibidem). L’egemonia del proletariato avrà la possibilità di realizzarsi compiutamente soltanto dopo aver disgregato “il blocco intellettuale che è l’armatura flessibile ma resistentissima del blocco agrario” (ibidem), avviando così la formazione di un nuovo blocco storico. La questione meridionale è, dunque, uno dei tanti aspetti della questione nazionale; fra questi ce ne sono due cui Gramsci darà speciale risalto e sui quali porrà un’uguale attenzione nella stesura delle note carcerarie: il Risorgimento e, appunto, gli intellettuali.

E mentre i partiti antifascisti, nella clandestinità o nel fuoriuscitismo, combattevano il fascismo, Antonio Gramsci, dalla sua cella, meditava e scriveva le analisi storico-filosofiche e politiche dalle quali il marxismo italiano avrebbe tratto nuova linfa dopo la sconfitta dello stesso fascismo al termine della seconda guerra mondiale: i Quaderni dal carcere la cui originaria ispirazione va rinvenuta proprio nel saggio sulla questione meridionale stando a quanto Gramsci stesso scrive alla cognata Tatiana il 19 marzo del 1927 dal carcere milanese di San Vittore: “sono assillato (è questo fenomeno proprio dei carcerati, penso) da questa idea: che bisognerebbe far qualcosa für ewig secondo una complessa concezione di Goethe, che ricordo aver tormentato molto il nostro Pascoli … Ricordi il rapidissimo e superficialissimo mio scritto sull’Italia meridionale e sulla importanza di B. Croce? Ebbene, vorrei svolgere ampiamente la tesi che avevo allora abbozzato, da un punto di vista disinteressato, für ewig”8. Insomma, indicando in una ricerca sugli intellettuali italiani il primo soggetto di un piano di lavoro da svolgere in carcere, Gramsci ne poneva le basi nel suo saggio incompiuto sulla questione meridionale.

 

 

1 Il manoscritto gramsciano reca come titolo Note sul problema meridionale e sull’atteggiamento nei suoi confronti dei comunisti, dei socialisti e dei democratici. Il periodo di realizzazione è l’ottobre come Gramsci stesso fa presente alla moglie Giulia in una lettera da Roma del 20 ottobre 1926: «Io continuo a lavorare abbastanza alacremente: sto ultimando un lavoro di una certa lena, che forse riuscirà abbastanza interessante e utile» (A. Gramsci, Lettere 1908-1926, a cura di Antonio A. Santucci, Einaudi, Torino, 1992, p. 468; nella nota di commento, il curatore fa presente che, «con tutta probabilità» (ivi, p. 469), l’allusione è allo scritto sulla questione meridionale).

2 Si legga, come esempio, l’articolo del 1° aprile del 1916 intitolato Il Mezzogiorno e la guerra in A. Gramsci, Cronache torinesi 1913-1917, a cura di S. Caprioglio, Einaudi, Torino, 1980, pp. 228-230.

3 A. Gramsci, La Settimana politica [XV] Operai e contadini in L’Ordine Nuovo 1919-1920, a cura di V. Gerratana e A. A. Santucci, Einaudi, Torino, 1987, p. 377.

4 Il testo del discorso pronunciato alla Camera dei deputati da Gramsci, pubblicato negli Atti parlamentari del 16 maggio 1925, pp. 3658-3663, fu riprodotto con il titolo Origini e scopi della legge sulle associazioni segrete nel discorso del compagno Gramsci alla Camera in “l’Unità” del 23 maggio del 1925. Nel corso del suo intervento Gramsci fu spesso interrotto sia da Mussolini sia da alcuni deputati fascisti uno dei quali, all’accenno del Segretario comunista ai metodi malavitosi usati dai mazzieri giolittiani nel Mezzogiorno per impedire agli oppositori di esprimere un libero voto, accusò Gramsci di non conoscere quella zona d’Italia. Gramsci rispose: «Sono meridionale!» (A. Gramsci, Odio gli indifferenti, Chiarelettere, Milano, 2011, p. 106). Per una lettura contestualizzata del discorso di Gramsci si veda G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Bari, 1966, pp. 224-228. Fiori riporta un episodio che, pur mancando di testimonianze dirette, la dice lunga sulla coerenza di Gramsci; dopo il suo discorso, sembra che Mussolini avesse incontrato Gramsci alla buvette della Camera e sembra che «gli andasse incontro con la mano tesa, per felicitarsi del suo discorso. Indifferente, Gramsci continuò a sorbire il caffè, ignorando la mano che gli veniva tesa» (Ivi, p. 228).

5 Antonio A. Santucci, Introduzione in A. Gramsci, Contro la legge sulle associazioni segrete, Manifestolibri, Roma, 1997 (la pubblicazione si inseriva all’interno della collana “I grandi discorsi”); l’Introduzione di Santucci, prematuramente scomparso nel 2004 e definito da Eric J.Hobsbawm «il massimo studioso dei testi gramsciani sul piano filologico», insieme a Valentino Gerratana (Eric J.Hobsbawm, Premessa, in Antonio A. Santucci, Antonio Gramsci 1891-1937, a cura di L. La Porta e con introduzione di Joseph A. Buttigieg, Sellerio editore, Palermo, 2005, p. 9), fu ripubblicata, con il titolo Gramsci, il parlamento e le scimmie ubriache, insieme ad ampi stralci del discorso di Gramsci, in “la Rinascita della sinistra”, 20 maggio 2005.

6 P. Togliatti, Introduzione al testo del discorso parlamentare di Gramsci in “Rinascita”, n. 6 del 9 giugno del 1962, ora in P. Togliatti, Scritti su Gramsci, a cura di G. Liguori, Editori Riuniti, Roma, 2001, pp. 289-295 con il titolo Gramsci e la legge contro la massoneria. La citazione è da p. 294.

7 Alcuni temi della quistione meridionale in A. Gramsci, La costruzione del Partito comunista 1923-1926, Einaudi, Torino, 1978. Tutte le citazioni del testo gramsciano sono seguite dall’indicazione delle pagine fra parentesi. 

8 A. Gramsci, Lettere dal carcere 1926-1937, a cura di Antonio A. Santucci, Sellerio editore, Palermo, 1996 in due volumi e 2013 in volume unico. In entrambe le edizioni la lettera citata è a pp. 55-56. Su cosa Gramsci intendesse per «disinteressato» e «für ewig» si può vedere il mio saggio, Il «für ewig» gramsciano: il senso di una ricerca «disinteressata», in “Critica marxista”, 1/2013, pp. 59-65.

31/01/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Lelio La Porta

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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