Gramsci e il sistema parlamentare

a giusta convinzione che le decisioni fondamentali non sono prese dagli organismi elettivi, favorisce le classi dominanti che cercano di sfruttare tale discredito degli organismi elettivi per propagandare l’esigenza di un governo e uno Stato autoritari.


Gramsci e il sistema parlamentare

Gramsci osserva a ragione che la “instabilità di direzione” che mina dall’interno i partiti politici e li porta a disgregarsi e a moltiplicarsi esponenzialmente si ripercuote tanto nel parlamento quanto “nella sempre crescente difficoltà di formare i governi e nella sempre crescente instabilità dei governi stessi” [1]. Ciò favorisce la propaganda delle forze eversive volta a screditare il parlamentarismo e la democrazia che tende a divenire senso comune di massa [2]. Dalla corretta convinzione che le risoluzioni principali non sono prodotte dagli “organismi politici derivanti dal suffragio universale ma, o da organismi privati (società capitalistiche, Stato maggiore, ecc.) o da grandi funzionari sconosciuti al paese” (6, 137: 801), non se ne deduce il peso crescente della società civile nella vita statuale ma l’esigenza di uno Stato-governo forte. In altri termini l’affermarsi nello stesso senso comune della convinzione che le decisioni fondamentali non sono prese dagli organismi elettivi favorisce le classi dominanti che cercano di sfruttare tale discredito degli organismi elettivi per propagandare l’esigenza di un governo e uno Stato autoritari. Ciò favorisce la tendenza del potere esecutivo a porsi “al disopra dei partiti non per armonizzarne gli interessi”, ma “per disgregarli, per staccarli dalle grandi masse e avere «una forza di senza partito» legati al governo con vincoli paternalistici di tipo bonapartistico-cesareo” (3, 119: 387) [3]. 

Il distacco dei gruppi sociali dai loro partiti tradizionali [4] lascia il campo “aperto alle soluzioni di forza, all’attività di potenze oscure rappresentate dagli uomini provvidenziali o carismatici” (13, 23: 1603). Si affermano, così, ideologie volte a contrapporre al metodo meramente quantitativo che assicura il potere per via elettorale, il metodo qualitativo, le azioni di forza di minoranze di “grandi caratteri” che disdegnano di fondare il proprio potere sulla maggioranza dei “piccoli caratteri”, ovvero i colpi di mano di minoranze che disdegnano di fondare il proprio potere sulla maggioranza. Tali ideologie si basano, per Gramsci, su meschini calcoli economici: “spesso questi grandi caratteri si arruolano con poche lire al giorno, cioè spesso la «fucilata» è più economica dell’elezione, ecco tutto. Dopo il suffragio universale, corrompere l’elettore è diventato caruccio; con venti lire e un fucile si sbandano venti elettori” (15, 7: 1761). La critica al sistema elettivo di formazione degli organi statali, in quanto dominato dal principio meramente quantitativo, per cui il voto di un qualunquista abbia lo stesso peso di quello di un militante politico è considerata da Gramsci un banale luogo comune.

 Tuttavia, come nota Gramsci, la quantità di voti resta “un semplice valore strumentale” che fornisce la misura dell’efficacia e della “capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, (…) cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta” (13, 30: 1625). Solo chi pretende fare del proprio particolare un universale tende a contestare il meccanismo elettivo, pretendendo di divenire “élite per decreto”. Quest’ultima è solo la boria di essere dirigente per decreto divino, tanto da pretendere di “togliere all’uomo “qualunque» anche quella frazione infinitesima di potere che egli possiede nel decidere sul corso della vita statale” (ibidem).

Le tendenze bonapartiste-cesaree regressive tendono ad affermarsi qualora si produca un equilibrio fra le principali classi sociali urbane in lotta, “che impedisce il gioco della democrazia «normale», il parlamentarismo” (13, 23: 1609).

Le soluzioni regressive della crisi variano a seconda del livelli di sviluppo del paese. In Stati arretrati, in cui le masse agricole sono passive, gli agrari si serviranno dell’esercito per imporre il dominio aperto della classe dominante. In paesi mediamente industrializzati, in cui più avanzata è la consapevolezza di classe nelle masse, “l’esercito deve rimanere neutrale poiché è possibile che altrimenti esso si disgreghi orizzontalmente (rimarrà neutrale fino ad un certo punto, s’intende)” (ibidem). La sua funzione sarà svolta dalla classe “militare-burocratica” che ristabilisce l’ordine con la violenza “privata”, benevolmente tollerata e coperta dagli organi repressivi dello Stato [5].

Tuttavia la dittatura aperta della classe dirigente segna un regresso a una fase “economico-corporativa”, che presenta notevoli svantaggi per la classe al potere, in quanto essendo il Parlamento espressione diretta di essa perde “la sua funzione di mediazione politica e ogni prestigio” (10, 41: 1306). Il parlamento perde la sua funzione principale di confronto e di superamento dei caratteri particolaristici delle diverse applicazioni della linea politica generale operata dai partiti nella società civile. La disgregazione dei partiti lascia scoperta una funzione determinante dell’organismo statuale che non può essere colmata da una “soluzione burocratica” che “di fatto maschera un regime di partiti della peggiore specie in quanto operano nascostamente, senza controllo; i partiti sono sostituiti da camarille e influssi personali non confessabili: senza contare che restringe le possibilità di scelta e ottunde la sensibilità politica e l’elasticità tattica” (15, 48: 1809). Il parlamentarismo non può esser superato per decreto o con un’azione di forza, se non riproducendo un “parlamentarismo implicito” notevolmente meno funzionale di “quello esplicito, perché ne ha tutte le deficienze senza averne i valori positivi” (14, 74: 1742). La forma parlamentare non può essere superata se non togliendo al contempo il contenuto corrispondente: “l’individualismo, e questo nel suo preciso significato di «appropriazione individuale» del profitto e di iniziativa economica per il profitto capitalistico individuale” (ibidem) [6]. 

Per tali motivi, nei paesi economicamente più avanzati anche il bonapartismo regressivo tende progressivamente a porre in secondo piano l’azione militare, il colpo di Stato. I “mezzi finanziari incalcolabili” di cui dispone la classe dominante gli consente di corrompere i dirigenti delle grandi organizzazioni politico-sindacali evitando gli inconvenienti di uno scontro aperto o di una palese dittatura di classe. 

Del resto, è lo stesso esponenziale rafforzamento dell’apparato di consenso del potere statuale, “delle forze organizzate dallo Stato e dai privati per tutelare il dominio politico ed economico delle classi dirigenti” (13, 27: 1620) a rendere superflua l’azione di forza [7]. Si ha così una soluzione cesarista anche senza un Cesare” (13, 27: 1619), un rafforzamento dell’accentramento del potere senza privarsi delle funzioni del parlamentarismo, ma anzi giovandosi di esse [8]. 

 

Note:

[1] Gramsci, A., Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1977, p. 1639. D’ora in poi citeremo quest’opera fra parentesi tonde direttamente nel testo, indicando il quaderno, il paragrafo e il numero di pagina di questa edizione.

[2] Osserva a tal proposito Gramsci: “che gli interessati a che la crisi si risolva dal loro punto di vista, fingano di credere e proclamino a gran voce che si tratta della «corruzione» e della «dissoluzione» di una serie di «principii» (immortali o no), potrebbe anche essere giustificato: ognuno è il giudice migliore nella scelta delle armi ideologiche che sono più appropriate ai fini che vuol raggiungere e la demagogia può essere ritenuta arma eccellente. Ma la cosa diventa comica quando il demagogo non sa di esserlo ed opera praticamente come fosse vero nella realtà effettuale che l’abito è il monaco e il berretto il cervello. Machiavelli diventa così Stenterello” (13, 37: 1638-39).

[3] Tendono, così, a rafforzarsi gli “indirizzi politici «antistorici»” (14, 53: 1712) dei partiti controllati dagli agrari o più in generale dai rentiers, che impongono la loro egemonia non solo alla parte più arretrata della popolazione, ma agli stessi ceti medi i cui partiti tendono a disgregarsi.

[4] “Cioè – chiarisce Gramsci – i partiti tradizionali in quella data forma organizzativa, con quei determinati uomini che li costituiscono, li rappresentano e li dirigono non sono più riconosciuti come loro espressione dalla loro classe o frazione di classe” (13, 23; 1602-3).

[5] Come ricorda a tal proposito Gramsci: la classe “militare-burocratica “con mezzi militari soffoca il movimento in campagna (immediatamente più pericoloso), in questa lotta trova una certa unificazione politica e ideologica, trova alleati nelle classi medie urbane (medie in senso italiano) rafforzate dagli studenti di origine rurale che stanno in città, impone i suoi metodi politici alle classi alte, che devono farle molte concessioni e permettere una determinata legislazione favorevole; insomma riesce a permeare lo Stato dei suoi interessi fino ad un certo punto e a sostituire una parte del personale dirigente, continuando a mantenersi armata nel disarmo generale e prospettando il pericolo di una guerra civile tra i propri armati e l’esercito di leva se la classe alta mostra troppe velleità di resistenza” (Q 13, 23: 1609-10).

[6] “L’autocritica ipocrita è appunto di tali situazioni. (…) Tutto l’argomento è da rivedere, specialmente quello riguardante il regime dei partiti e il parlamentarismo «implicito», cioè funzionante come le «borse nere» e il «lotto clandestino» dove e quando la borsa ufficiale e il lotto di Stato sono per qualche ragione tenuti chiusi” (ivi: 1743).

[7] “La corruzione-frode (che è caratteristica di certe situazioni di difficile esercizio della funzione egemonica, presentando l’impiego della forza troppi pericoli) cioè lo snervamento e la paralisi procurati all’antagonista o agli antagonisti con l’accaparrarne i dirigenti sia copertamente sia in caso di pericolo emergente, apertamente, per gettare lo scompiglio e il disordine nelle file antagoniste” (13, 37: 1638-39). “Si riproduce in questo campo la stessa situazione esaminata a proposito della formula giacobina-quarantottesca della così detta «rivoluzione permanente». La tecnica politica moderna è completamente mutata dopo il 48, dopo l’espansione del parlamentarismo, del regime associativo sindacale e di partito, del formarsi di vaste burocrazie statali e “private” (politico-private, di partiti e sindacali) e le trasformazioni avvenute nell’organizzazione della polizia in senso largo, cioè non solo del servizio statale destinato alla repressione della delinquenza, ma dell’insieme” (13, 27: 1620).

[8] “Senza una grande personalità «eroica» e rappresentativa. Il sistema parlamentare ha dato anch’esso un meccanismo per tali soluzioni di compromesso. I governi «laburisti» di Mac Donald erano soluzioni di tale specie in un certo grado, il grado di cesarismo si intensificò quando fu formato il governo con Mac Donald presidente e la maggioranza conservatrice. Così in Italia nell’ottobre 1922, fino al distacco dei popolari e poi gradatamente fino al 3 gennaio 1925 e ancora fino all’8 novembre 1926 si ebbe un moto politico-storico in cui diverse gradazioni di cesarismo si succedettero fino a una forma più pura e permanente, sebbene anch’essa non immobile e statica. Ogni governo di coalizione è un grado iniziale di cesarismo, che può e non può svilupparsi fino ai gradi più significativi (naturalmente l’opinione volgare è invece che i governi di coalizione siano il più «solido baluardo» contro il cesarismo)” (13, 27: 1619-20).

05/03/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

L'Autore

Renato Caputo

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: