Link agli articoli pubblicati su questo giornale in cui sono approfonditi i temi affrontati nella videolezione: “Parmenide e l’origine della scienza della logica” e “Zenone e la dialettica negativa”.
Per comprendere il ragionamento di Parmenide bisogna soffermarsi sull’utilizzo del verbo “essere”. Nell’uso comune il verbo essere ha una funzione esistentiva ad esempio “una mela è” nel senso che esiste, o copulativa, in quanto lega il soggetto a un nome o ad un aggettivo, ad esempio “la mela è rossa”. In entrambi i casi si ha a che fare con situazioni contingenti, in cui cioè è possibile il contrario (la mela non c’è perché la mangio, oppure è gialla o verde). Quindi sul piano dell’esistenza le cose sono e non sono. Perciò non sono oggetto di scienza.
Ma dov’è l’essere, dov’è l’essere dell’ente che non muta ed è sempre identico a sé? Sul piano sovrasensibile, ovvero sul piano universale dell’intelletto fondato sul principio di identità e non contraddizione, mentre sul piano sensibile le cose sono e non sono, vi è una mescolanza di essere e non essere. L’essere, quindi, non è quello contingente, ma quello necessario, quello cui solo l’intelletto può attingere, che a differenza di tutte le cose osservabili esclude la negazione. Quindi Parmenide lo designa con un sostantivo ricavato dal verbo essere (to on) da cui deriva il termine ontologia, ovvero la ricerca filosofica sull’essere.
Le caratteristiche fondamentali dell’essere
Quali sono gli attributi dell’essere? È chiaro che bisogna rifiutare tutto ciò che comporta il non essere, quindi l’essere è: 1) ingenerato, in quanto se fosse generato prima non era; 2) imperituro, in quanto se ammettessimo che in un certo istante finisse non sarebbe più, trapassando nel non essere; 3) unico, in quanto se ipotizzassimo che ci sia qualcos’altro oltre l’essere, dovremmo ammettere l’esistenza di un essere che non è l’essere; 4) omogeneo, perché se fosse in sé differenziato, ovvero diviso in parti, ciò implicherebbe intervalli di non essere, ovvero il vuoto; 5) immutabile e immobile, perché il mutamento implica il cambiamento, quindi sarebbe ciò che non è; 6) eterno, perché se fosse nel tempo implicherebbe un passato in cui non era e un futuro in cui non è ancora; 7) finito (e sferico), perché il finito rappresenta la compiutezza, la perfezione, come sostenuto già dai pitagorici; 8) necessario, perché non può non essere.
L’opposizione tra essere e non-essere
Partito dal riconoscimento logico e metodologico delle esigenze del pensiero e del discorso, Parmenide giunge al culmine della “via” a dichiarare, dunque, l’impensabilità, l’inesprimibilità e l’inesistenza del non-essere, e la parimenti assoluta esistenza dell’essere, che condiziona la possibilità di pensare e di dire il vero. All’Essere non potrà venir riferito – sempre per l’opposizione or ora accennata – alcun attributo, che possa in qualche modo diminuirne la positività, assimilandolo in tal modo al non-essere. Ci si dovrà limitare a dire che esso è uno, invariabile, immobile ed eterno. Prosegui la lettura dell’articolo al link: Parmenide e l’origine della scienza della logica.
Le direzioni opposte seguite dai continuatori di Parmenide
Parmenide ha due grandi continuatori: Zenone di Elea e Melisso di Samo. Il contributo da essi arrecato all’affinamento del pensiero parmenideo assicura loro un posto ragguardevole nella storia della filosofia. Entrambi si adoperano a difenderne le tesi, sia pure svolgendo in direzioni opposte la tensione che vi è implicita: Zenone approfondendo la problematica del logos nella sua crescente autonomia, Melisso invece sviluppando il tema dell’essere nella sua assolutezza sostanziale.
Zenone e la fondazione della dialettica
Il pensiero di Parmenide riscuote notevole successo nella cultura greca del V secolo, ma suscita anche diverse critiche. Gli avversari della concezione parmenidea insistono sull’evidenza per cui le cose che esistono sono molteplici e capaci di movimento, evidenza che contraddice l’unicità e l’immobilità dell’essere parmenideo. Contro queste critiche Zenone scrive un’opera in prosa di cui ci restano cinque frammenti.
Vita e posizione politica
Nato ad Elea all’inizio del V sec., più giovane di circa venticinque anni di Parmenide, Zenone è dotato di un ingegno acuto e vigorosamente polemico. Oltre che di logica, Zenone si occupa di politica e contribuisce notevolmente al buon governo di Elea. Muore con grande fierezza per aver cospirato contro il tiranno della città. Sulla sua fine si tramandano vari particolari che ne confermano l’eccezionale coraggio.
Dimostrazione per assurdo e paradossi
Zenone stesso leggerà in pubblico l’opera scritta a difesa di Parmenide, nel racconto di Platone, durante la sua visita ad Atene, impressionando il giovane Socrate per la sua abilità “nel negare con ogni sforzo la molteplicità delle cose”. Zenone si serve della dimostrazione per assurdo che consiste nell’ammettere in via ipotetica una tesi – nel suo caso quella dei critici di Parmenide – e dimostrare attraverso il ragionamento che porta a conclusioni assurde e, dunque, riconoscere che è falsa. Con questo procedimento dimostra che quanto sostengono i detrattori di Parmenide è falso, ovvero confuta le loro affermazioni. Poiché le opinioni confutate sono basate sul senso comune – l’evidenza della molteplicità e del movimento – i risultati delle confutazioni di Zenone sono dette paradossi, ossia, alla lettera, ciò che è “contro l’opinione comune”. Zenone dunque condivide con Parmenide non solo la tesi dell’unicità e immobilità dell’essere, ma anche il metodo d’indagine che consiste nell’utilizzare esclusivamente la ragione diffidando delle evidenze che derivano dall’osservazione e dall’esperienza.
Argomenti a difesa della filosofia di Parmenide
Per gli argomenti ideati a difesa dell’unità, intesa come omogeneità e continuità non divisibile in parti, e dell’immobilità dell’essere e per il suo metodo di discussione Aristotele se ne occupa a lungo, considerandolo il fondatore della dialettica formale, ossia del metodo confutatorio capace di mostrare l’infondatezza di una dottrina o di una tesi filosofica. L’originalità del metodo zenoniano consiste, in effetti, nell’assumere a punto di partenza la tesi da confutare e nel dedurne rigorosamente tutte le logiche conseguenze, per mostrarne la contraddittorietà e, di conseguenza, l’assurdità della tesi. I celebri argomenti di Zenone a difesa della filosofia di Parmenide mirano a provarci che se la negazione del movimento e della molteplicità può a prima vista apparire assurda, l’ammissione di essi conduce ad assurdità ancor più gravi, nascoste dal linguaggio ordinario. Il perno di tali argomenti consiste nella dimostrazione che, sia nella nozione di movimento, sia in quella di pluralità, si annida il delicato concetto d’infinito. Questi argomenti o confutazioni si dividono in due gruppi: 1) quelli in difesa dell’unicità dell’essere o “argomenti contro il molteplice”; 2) quelli in difesa dell’immobilità dell’essere o “argomenti contro il movimento”. Prosegui la lettura dell’articolo al link: Zenone e la dialettica negativa.
Melisso, l’uno-tutto e la parvenza del molteplice
Melisso, contemporaneo di Zenone, nasce a Samo che ha guidato nella sconfitta di Atene.
La sua operazione è opposta a quella di Zenone. Se quest’ultimo ha interpretato Parmenide in senso logico-dialettico, Melisso lo interpreta in senso fisico-cosmologico e per lui l’essere non è altro che l’universo. Tuttavia, questo essere, per poter esser unico, dovrà essere illimitato e infinito nello spazio e nel tempo.
Dal nulla non può nascere nulla
L’essere, coincidente con il cosmo, è ingenerato e incorruttibile, per dimostrarlo Melisso introduce una tesi che avrà importanza fondamentale nella storia della filosofia: “nulla può nascere dal nulla”. Scrive all’inizio del suo trattato Sulla natura: “Sempre era e sempre sarà, perché se fosse generato sarebbe necessario che, prima che fosse generato non fosse nulla, ma se prima era nulla, per nessuna ragione nulla si sarebbe potuto generare dal nulla”.
La lunga lotta tra Mileto e Samo può del resto contribuire a spiegare l’abbandono da parte di Melisso della tradizione ionica; una tradizione, tuttavia, che continua a operare indirettamente nel suo pensiero condizionando in senso realistico la sua riforma dell’eleatismo, in contrapposizione all’indirizzo prevalentemente logico che quest’ultimo ha assunto in Zenone.
Melisso offre inconsapevolmente il modo di superare la posizione di Parmenide
L’avere reso l’essere infinito nello spazio e tempo impedisce a Melisso di accettare la bipartizione parmenidea tra realtà atemporale e mondo sensibile temporale: a quest’ultimo deve venir negata qualunque, sia pur secondaria, sussistenza ed è infatti alla negazione dell’esistenza e della concepibilità delle cose sensibili che Melisso dedica alcune delle sue argomentazioni più suggestive.
Perché una cosa qualsiasi possa essere conosciuta, pensata ed esistere, essa dovrebbe, fa osservare Melisso, essere sempre identica a se stessa, assolutamente immobile e immutabile nello spazio e nel tempo, giacché una minima modificazione ne farebbe una cosa diversa; dovrebbe, dunque, avere le stesse caratteristiche dell’uno, ossia dell’essere. Proprio questo argomento, che Melisso intende come una sfida al pluralismo, sarebbe stato rovesciato e raccolto dalla corrente estrema del pluralismo, quella atomistica: si può dire infatti che l’atomismo attribuisce alle sue infinite unità fisiche proprio le caratteristiche dell’uno melisseo.
Il portato storico dell’eleatismo
L’eleatismo era comunque destinato a restare una pietra miliare nel pensiero greco, un imperativo richiamo alla soluzione di alcuni fra i più profondi problemi filosofici. La sua importanza è enorme anche nella storia del pensiero scientifico, soprattutto per quanto riguarda l’affinamento delle esigenze logiche. «Il tenore degli scritti filosofici subisce nel V secolo un brusco cambiamento: mentre nel VI secolo i filosofi affermano o preconizzano (o tutt’al più abbozzano vaghi ragionamenti, fondati su altrettanto vaghe analogie), a partire da Parmenide e soprattutto da Zenone essi “argomentano” e cercano di ricavare dei principi generali che possano servire di base alla loro dialettica: appunto in Parmenide si trova la prima affermazione del principio del “terzo escluso”; e le dimostrazioni “per assurdo” di Zenone sono rimaste celebri».