La lotta di classe impone, secondo Domenico Losurdo, il trascendimento degli interessi particolari, ma trascendere gli interessi particolari non è una cosa semplice: è necessaria la coscienza di classe. Losurdo insiste sul fatto che la coscienza rivoluzionaria di classe non è qualcosa di immediato: il proletariato non è immediatamente cosciente dello sfruttamento e, soprattutto, non è immune dall’essere influenzato dall’ideologia dominante. E se era vero ai tempi di Marx, quando il proletariato era influenzato dalla propaganda sciovinista e razziale che giustificava l’espansione coloniale dell’Occidente, lo è ancora di più oggi, visto che la classe dominante ha un apparato propagandistico decisamente più potente di allora grazie ai mezzi di comunicazione di massa che veicolano il falso, la menzogna al fine di costruire il consenso [1].
Questo originale ampliamento del concetto di lotta di classe apparirebbe sicuramente eccessivo agli occhi di un marxista ortodosso; indubbiamente questa interpretazione della teoria di Marx ed Engels sviluppata da Losurdo in questo suo recente libro è quella, potremmo dire, più eretica, quella che più si allontana dal marxismo tradizionale. Delle forme che assume la lotta di classe, Losurdo riserva maggiore spazio alla lotta per l’indipendenza nazionale, tema a lui molto caro. Mentre in un articolo precedente si è parlato in particolar modo della critica, da parte di Losurdo, al marxismo occidentale che tenderebbe a sottovalutare la questione nazionale, vogliamo invece qui sviluppare più a fondo l’equazione di Losurdo tra lotta di classe e lotta per l’indipendenza nazionale, mettendola a confronto con l’interpretazione che Lenin dà di questo tema. Si è scelto, in particolar modo il confronto con Lenin, in quanto lo stesso Losurdo, in altri suoi testi, considera Lenin più avanzato di Marx ed Engels rispetto alla questione nazionale.
Uno degli aspetti che Losurdo sottolinea, riguardo alla lotta per la liberazione nazionale, è che quest’ultima non coinvolge solo il proletariato, ma anche altre classi sociali; come ricorda lo stesso Engels in un articolo della “Nuova Gazzetta Renana” del 3 Settembre del 1848 riguardante la Polonia: “la Polonia […] divenne la parte rivoluzionaria della Russia, dell’Austria e della Prussia. La sua opposizione contro i suoi oppressori era allo stesso tempo l’opposizione contro l’alta aristocrazia nella stessa Polonia. Persino la nobiltà, che in parte si trovava ancora su un terreno feudale, si unì alla rivoluzione democratico-agraria con uno spirito di sacrificio senza precedenti” [2].
Anche Lenin, nel saggio Sul diritto di autodecisione delle nazioni del 1914, ricorda come Marx ed Engels considerassero “come un obbligo assoluto per tutta la democrazia occidentale europea, e ancor più per la socialdemocrazia, l’appoggio attivo alle rivendicazioni dell’indipendenza della Polonia” [3]. Tuttavia Lenin aggiunge anche che la posizione di Marx ed Engels era giusta negli anni Quaranta e Sessanta dell’Ottocento, quando la “maggioranza dei paesi slavi” dormiva e non c’erano movimenti democratici di massa e, quindi, “il movimento di liberazione della nobiltà della Polonia aveva un’importanza gigantesca” [4]. Nel XX secolo, invece, la succitata posizione di Marx riguardo la Polonia non è adeguata, infatti nei paesi slavi si sono sviluppati “movimenti democratici indipendenti e persino un movimento proletario indipendente”, mentre “la Polonia nobiliare è scomparsa e ha ceduto il posto alla Polonia capitalistica” [5], perdendo la sua importanza rivoluzionaria.
Ovviamente ciò non significa, secondo Lenin, che bisogna essere contro il “principio di autodecisione politica delle nazioni” [6], contro il loro diritto di separarsi. I partiti proletari hanno infatti un duplice fine: da una parte riconoscere il diritto di autodecisione per tutte le nazioni, “poiché la trasformazione democratica borghese non è ancora terminata”, e dall’altra “l’unità indissolubile della lotta di classe dei proletari di tutte le nazioni di uno stesso Stato, in tutte le vicende della sua storia” [7]. Quindi non c’è contraddizione, per Lenin, tra l’internazionalismo e il riconoscere il diritto di autodecisione e di separazione delle nazioni oppresse, perché in quest’ultimo non c’è nulla di sciovinista: “nel riconoscimento del diritto di autodecisione a tutte le nazioni vi è il massimo della democrazia e il minimo di nazionalismo” [8].
Inoltre, ricorda Losurdo, oltre alla Polonia, Marx ed Engels sono interessati anche alla liberazione dell’Irlanda e insistono principalmente sull’appoggio che gli operai inglesi dovrebbero dare alla lotta di liberazione nazionale di questo popolo: “essa dovrebbe vedere come protagonisti da un lato gli operai inglesi, dall’altro la nazione irlandese in quanto tale. I primi sono chiamati ad appoggiare la «lotta nazionale irlandese» e a prendere le distanze dalla politica che «aristocratici e capitalisti» inglesi conducono «contro l’Irlanda» nel suo complesso” [9].
Continuando il nostro confronto con il testo di Lenin, anche quest’ultimo sottolinea l’immensa importanza che per Marx ed Engels ha la questione irlandese, così come l’appoggio degli operai inglesi al retail, cioè all’abrogazione dell’Unione con l’Inghilterra e, quindi, di fatto all’indipendenza dell’Irlanda. Anzi, continua Lenin, Marx “pensava dapprincipio che l’Irlanda non sarebbe stata liberata da un movimento nazionale, ma dal movimento operaio della nazione che l’opprimeva” [10]; solo quando la classe operaia inglese si fa influenzare dai liberali e, di contro, il movimento borghese in Irlanda diventa rivoluzionario, Marx muta la sua opinione a riguardo. Il fatto è che, continua Lenin, per Marx “la classe operaia, in Inghilterra non si libererà finché l’Irlanda non si sarà liberata dal giogo inglese. L’asservimento dell’Irlanda rafforza e alimenta la reazione in Inghilterra” [11]. Infatti, a parere di Lenin, se il capitalismo fosse stato superato in Inghilterra, “non vi sarebbe stato posto per un movimento nazionale democratico borghese in Irlanda” [12]; Marx consiglia, quindi, agli operai inglesi di sostenere il movimento irlandese solo perché in Inghilterra il capitalismo non era ancora stato superato e, dunque, appoggiare il movimento nazionale irlandese era nell’interesse della loro libertà, visto che un popolo che ne opprime un altro non può essere libero.
Anche in questo caso Lenin fa vedere come per Marx l’appoggio ai movimenti nazionali non è un assoluto, ma dipende dalle circostanze storiche e che, quindi, tali movimenti vanno sostenuti solo nella misura in cui risultano funzionali all’emancipazione del proletariato.
Note: [1] Riguardo tale tema cfr. l’interessante libro di Vladimiro Giacchè: La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea, DeriveApprodi 2011.
[2] Marx Karl, Engels Friedrich, Opere Complete, Editori Riuniti, Roma 1972-90, vol. VII, p. 385. La posizione di Engels è piuttosto complessa, perché la realtà storica che analizza è contraddittoria. Da una parte la lotta nazionale si inserisce nella lotta fra progresso e reazione ed è, quindi, una lotta contro l’alta aristocrazia, baluardo dell’Ancien Régime; dall’altra parte essendo la dominazione straniera una forma di oppressione di un’intera popolazione, la componente progressiva della stessa nobiltà finisce per unirsi e cercare di guidare il movimento nazionale, nonostante la sua forte componente democratica e quindi antiaristocratica. Questa complessità e contraddittorietà tende a dileguare nella concezione di Losurdo in cui la lotta nazionale prende sostanzialmente il posto del conflitto sociale, per cui non si considera come la lotta per l’indipendenza sia comunque segnata dalla lotta quanto meno per l’egemonia al suo interno fra i diversi gruppi sociali, pur tatticamente alleati contro il comune nemico straniero.
[3] Lenin, Vladimir I., Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1955-70, vol. XX, p. 412.
[4] Ibidem.
[5] Ivi, p. 413.
[6] Ibidem.
[7] Ivi, p. 414.
[8] Ibidem. Lenin, come nota lo stesso Losurdo nella sua Introduzione al Manifesto [cfr. Marx, Karl, Engels, Friedrich, Manifesto del partito comunista, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. XXXIII-IV], supera su questo punto Marx ed Engels, in quando comprende la necessità di un’alleanza strategica fra comunisti e movimenti anti-coloniali – ma non nazionali –. Al contrario, come nota più volte Losurdo, Engels e Marx danno in più di un’occasione un giudizio storico che tende in modo piuttosto unilaterale a sottolineare gli aspetti inconsapevolmente progressivi, dal punto di vista della filosofia della storia, del colonialismo. Allo stesso modo, piuttosto unilaterale appare il giudizio che danno di alcuni movimenti anti-coloniali della loro epoca, di cui accentuano i limiti storici e teorici, non evidenziando a dovere gli aspetti progressivi di personaggi storici come Simón Bolívar.
[9] Losurdo, D., La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Laterza, Bari 2013, p. 11. Marx, quindi, insiste sul fatto che i proletari inglesi, anche su questa questione particolare, devono sviluppare un punto di vista opposto ai loro avversari di classe, ossia la borghesia e l’aristocrazia. Quindi non si tratta tanto di sostenere una lotta indipendentista in quanto tale, ma di sviluppare una visione del mondo autonoma e generalmente contrapposta a quella delle classi dominanti. Così Marx ed Engels non avranno difficoltà, in un altro contesto storico, a invitare i lavoratori inglesi a opporsi alla lotta indipendentista delle colonie del sud degli Stati Uniti, in quanto più importante della lotta per l’indipendenza era da considerare la lotta di classe per il superamento della schiavitù. Senza contare che la borghesia e aristocrazia inglesi si dimostravano generalmente favorevoli a tale movimento indipendentista.
[10] Lenin, V., Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1955-70, Vol. XX, p. 419.
[11] Ivi, p. 420.
[12] Ibidem.