Il passaggio dal momento spirito al momento religione nella Fenomenologia

Dall’anima bella romantica e il perdono dei peccati alla religione naturale, quale comprensione di sé ancora aurorale di una civiltà storica


Il passaggio dal momento spirito al momento religione nella Fenomenologia Credits: http://www.brainfactor.it/il-cervello-hegeliano/

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su concetti analoghi

Segue da “Lo spirito del mondo nella Fenomenologia di Hegel

L’anima bella

Temendo di macchiare con l’unilateralità propria di ogni azione individuale la purezza della propria coscienza, lo spirito romantico è costretto a cercare rifugio nella celebre figura dell’anima bella (al centro dei romanzi filosofici di Friedrich Heinrich Jacobi), che si auto-condanna all’impossibilità di agire, per non ricadere nella lacerazione fra soggetto individuale e universale oggettivo. Tale attitudine arriva così al paradosso, che, non potendo realizzare – per la dimensione necessariamente individuale di ogni agire – l’ottimo universale, l’anima bella romantica non fa nemmeno nulla di buono, per il suo assurdo perfezionismo tutto interiore.

Si produce una nuova forma di alienazione della soggettività romantica nei riguardi della realtà, in cui non può riconoscersi, anche perché si nega la possibilità di agire su di essa al fine di razionalizzarla. D’altra parte questo posizione, come già sapeva Aristotele, entra necessariamente in contraddizione con se stessa, in quanto la decisione individuale di rifiutarsi di agire costituisco comunque un’azione soggettiva e, quanto mai, unilaterale. Di ciò è testimonianza l’esperienza storica del pietismo in Germania. Il pietista, in effetti, mirando a vivere secondo i dettami evangelici, finiva con l’estraniarsi dal mondo, per paura di esserne contaminato e veder compromessa la propria aspirazione alla purezza. In tal modo i pietisti non contribuivano in nessun modo, agendo secondo l’ideale cristiano di giustizia, a rendere più giusto il mondo in cui vivevano, abbandonandolo al cinismo proprio degli uomini del corso del mondo.

Il perdono dei peccati

Dall’impasse in cui necessariamente finiva, in quanto anima bella, lo spirito romantico (che per Hegel conosce il suo massimo sviluppo nella filosofia di Jacobi) è possibile venire fuori solo mediante il perdono reciproco dei peccati fra l’anima bella, che in nome della sua pura coscienziosità rifiuta di prendere attivamente parte alle vicende umane, e l’opposta posizione dell’uomo del corso del mondo che agisce senza interessarsi del valore morale della propria azione, dal momento che l’unica cosa che conta, in tale attitudine altrettanto unilaterale, è la riuscita dell’azione che solo la conformità con la direzione presa dal corso del mondo può, in una certa misura. garantire. Nel momento in cui entrambe queste posizioni contrapposte riconoscono la propria unilateralità, possono perdonare anche l’altrui unilateralità, riconoscendo vicendevolmente il valore positivo, per quanto necessariamente altrettanto parziale, della posizione dell’altro.

Si tratta, però, di una figura propriamente religiosa, centrale nel protestantesimo (considerato da Hegel il massimo punto di sviluppo della storia della religione), mediante cui lo spirito (storico dell’umanità) supera se stesso innalzandosi alla religione, quale sua autocoscienza. In tal modo della sfera della filosofia della prassi ci si eleva, secondo la concezione hegeliana, al momento della riflessione sul piano universale, mediante cui una civiltà, che ha contribuito allo sviluppo della storia universale, ha preso coscienza del portato storico-filosofico del proprio operare. Nel momento in cui una civiltà storica ha raggiunto il culmine del proprio sviluppo, dispiegando in pieno sul piano della storia le proprie potenzialità, giunge il momento del bilancio critico, sul piano teorico, di tale momento della storia universale. Ora è proprio la storia che ci insegna, secondo Hegel, che le civiltà storiche del passato, del mondo premoderno, hanno preso coscienza di sé sul piano della rappresentazione del mondo mitologico-religiosa, non avendo ancora pienamente sviluppato la comprensione sul piano del concetto del contributo offerto allo sviluppo della storia universale.

Con lo sviluppo della religione di una civiltà storica lo spirito, quale momento dell’azione storica, prende progressivamente coscienza di sé, in tre momenti fondamentali.

1. La religione naturale

In un primo momento lo spirito, la civiltà storica, prende se stessa come oggetto della propria riflessione collettiva in modo ancora naturale e, perciò, necessariamente immediato. Siamo nelle religioni naturali caratteristiche delle più antiche civiltà umane sviluppatesi nel mondo orientale prima dello sviluppo della civiltà ellenica. Dal punto di vista delle autorappresentazioni che hanno dato di loro stesse, della loro essenza, abbiamo innanzitutto l’antichissima religione dei Parsi, a parere di Hegel la prima e più antica rappresentazione religiosa di una civiltà storia. Quest’ultima tende a rappresentarsi ancora attraverso gli elementi più semplici del mondo naturale, ovvero divinizzando la luce quale fonte della conoscenza che, illuminando tutto, funge da decisivo principium individuationis. Seguono, secondo un ordine più logico che rigorosamente cronologico, le antichissime civiltà che si rappresentano e rappresentano l’assoluto nella forma delle piante. La conoscenza di quest’ultime è decisiva per le popolazione che vivono ancora essenzialmente della raccolta dei prodotti offerti dalla natura o che sviluppano le prime e più primitive forme di agricoltura. Questa forma di religiosità naturale si afferma e diffonde in particolar modo nella prima e più antica civiltà indiana.

Le civiltà, infine, che sviluppano modi di produzione fondati essenzialmente prima sulla caccia, poi sull’allevamento sviluppano una religione naturale che tende a divinizzare gli animali. L’ordine logico-cronologico di queste forme di religiosità sviluppatasi nelle più antiche civiltà riproduce l’evoluzione della natura, dalle forme più semplice della natura inorganica, come la luce, alla vita organica vegetale delle piante, per culminare nella vita organica animale. Tale processo storico e logico di sviluppo della visione mitologico-religiosa del mondo, tendente a divinizzare la natura da cui l’uomo ancora dipende quasi interamente per la propria stessa sopravvivenza e alla quale è ancora costretto, da diversi punti di vista, a dover imparare ad adattarsi, raggiunge il suo apice nel momento in cui le civiltà storiche cominciano a formare, trasformando il proprio habitat naturale, un mondo vieppiù antropizzato.

Così dalla raccolta e la caccia si passa allo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento. Dalla divinizzazione degli animali si tende a una progressiva creazione di una divinità antropomorfica, creata direttamente dall’uomo a propria immagine e somiglianza. Tale consapevolezza, che riesce almeno in parte, a superare l’alienazione religiosa propria della coscienza infelice e che diviene via via cosciente di essere lei stessa, quale civiltà storica, a creare la propria visione mitologico-religiosa a propria immagine e somiglianza, è la grande civiltà dell’antico Egitto. È proprio qui, in effetti, che le divinità acquisiscono secondo l’indagine storico-filosofica i proprio tratti antropomorfi, anche se tali caratteristiche, questa coscienza di sé ancora aurorale, tende ancora a mescolarli con caratteristiche proprie del mondo animale.

L’uomo, in effetti, non si è ancora affrancato dall’esigenza naturale di adattarsi al proprio habitat naturale, anche se ha cominciato in modo sempre più significativo ad antropizzare il proprio mondo. Ecco che nel corso del suo sviluppo la religione egizia dalla venerazione di rappresentazioni prettamente animali, inizia a mescolare al loro interno caratteristiche vieppiù antropomorfe. Abbiamo così dapprima divinità che hanno un corpo umano e una testa ancora appartenente al mondo animale, per poi arrivare, nel momento del suo massimo sviluppo, ad auto-comprendersi e a raffigurare la propria concezione dell’assoluto in un essere che ha il corpo animale, ma la testa umana, come nel caso emblematico della sfinge. In tale rappresentazione religiosa di sé e del proprio mondo permane ancora l’elemento simbolico, misterico, in quanto l’enigma dell’alienazione religiosa non è stato ancora svelato. Emblematico a questo proposito il mito della sfinge che poneva il fatidico enigma (il più antico della storia giunto fino a noi): “chi è contemporaneamente bipede, tripede e quadrupede”?. Solo Edipo, rappresentante della sorgente civiltà ellenica, sarà in grado di risolvere l’enigma, il mistero della religione naturale, indicando nell’uomo l’unico essere naturale adatto a rappresentare in modo compiuto e non solo allusivo il dio. Sono, dunque, i greci a individuare nell’antropomorfismo il mistero irrisolto della religione naturale orientale.

Continua nel numero 266 de La città futura, on line dal 28 gennaio

15/12/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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