I movimenti anticoloniali fra le due guerre

Lo svilupparsi delle lotte al colonialismo, in Cina, India e Vietnam; dal colonialismo al neocolonialismo; il sionismo.


I movimenti anticoloniali fra le due guerre Credits: http://www.tribpub.com/gdpr/nydailynews.com/

Link al video della corrispondente lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci

Segue da Il decisivo contributo della Rivoluzione d’ottobre allo sviluppo dei movimenti anticoloniali

La rottura in Cina della collaborazione, in funzione anticoloniale, tra le forze nazionaliste e le comuniste

Gli ottimi rapporti con il partito comunista e l’Unione sovietica, che si erano stabiliti quando le forze nazionaliste democratiche erano guidate da Sun Yat-Sen, subiscono un radicale mutamento dopo la morte di quest’ultimo nel 1925. Gli succede come nuovo leader del Kuo-Min-Tang il generale Ciang Kai-Scek, un militare su posizioni decisamente più conservatrici del suo eminente predecessore. Tale svolta è favorita dal fatto che negli anni della collaborazione il partito comunista da piccolo partito di quadri intellettuali, aveva conosciuto una imponente e costante espansione dotandosi di una base di massa, essendo i suoi membri capaci di suscitare e dare una direzione consapevole a movimenti sociali che dal basso si battevano nel modo più conseguente e radicale contro le vecchie e corrotte classi dominanti e i loro alleati invasori imperialisti. In tal modo il partito comunista si era dimostrato in grado di contendere l’egemonia dei nazionalisti sul movimento indipendentista e, in particolare sulle sue componenti più radicali e rivoluzionarie. Spaventato da tali successi, che sembravano inarrestabili, Ciang Kai-Scek porta avanti una politica sempre più apertamente anti-comunista, conducendo con sempre maggiore decisione una dura lotta contro le organizzazioni sindacali e della sinistra. Così, sebbene i comunisti davano ormai un contributo decisivo alla lotta per l’unificazione nazionale contro i signori della guerra e il colonialismo, obiettivi da sempre prioritari per il Kuo-Min-Tang, il suo leader Ciang Kai-Scek non esita a perpetrare, non appena ne ha la possibilità, veri e propri massacri ai danni di comunisti e sindacalisti, pur di mantenere saldamente nelle sue mani la guida del movimento anti-coloniale, evitando che esso potesse conoscere degli sviluppi in senso rivoluzionario, che rimettessero in questione i rapporti di proprietà.

I comunisti dalle loro basi di massa nelle città sono costretti a cercar rifugio, ripiegando, nelle campagne

Così nel 1926 Ciang Kai-Scek, anche grazie al sostegno dei comunisti, sconfiggeva le forze tradizionaliste e i signori della guerra, prendendo il controllo del paese. Già nel 1927, lanciò di sorpresa una politica di annientamento nei confronti di tutti coloro che erano considerati, negli ampi territori da lui controllati, comunisti o loro sostenitori o anche semplici simpatizzanti. Così Mao Tze-Tung, alla guida del Partito comunista cinese, con i pochi superstiti dovette spostare l’attività del partito dai grandi centri urbani, dove i comunisti erano stati in gradi di divenire egemoni nel proletariato moderno, nelle campagne dove erano non solo poco conosciuti ma considerati con sospetto dai contadini quasi tutti analfabeti e succubi dell’ideologia dominante anticomunista. Tuttavia il livello di sfruttamento e oppressione delle masse di braccianti agricoli privi di terra e degli stessi contadini poveri era tale che i comunisti, battendosi immediatamente per una radicale riforma agraria, che desse il pieno controllo della terra e delle risorse agricole a chi la lavora e le produce, seppero ben presto conquistarsi la fiducia, la simpatia e, infine l’appoggio di masse sempre più ampie nelle comunità di villaggio di lavoratori della terra.

L’India e la tattica della resistenza passiva al violento dominio colonialista

In India il movimento indipendentista e anti-colonialista era egemonizzata dal Partito del congresso, un partito nazionalista progressista e democratico. Grande risalto ebbero, soprattutto nel mondo occidentale, le campagne di resistenza passiva organizzate e promosse da uno dei suoi più carismatici dirigenti: Gandhi. Non avendo la forza né la volontà di scontrarsi in modo diretto con il potere coloniale britannico, Gandhi spingeva i militanti anti-colonialisti a farsi reprimere senza reagire, in modo da far emergere sul piano nazionale e ancora di più internazionale la brutalità del dominio coloniale.

I limiti della posizione di Gandhi

Per quanto significative, le campagne di disobbedienza civile lanciate da Gandhi avevano dei limiti, dovuti in primo luogo alla sua concezione tradizionalista induista, che rendeva impossibile unire in un unico grande movimento di liberazione nazionale i membri e i rappresentanti delle altre religioni presenti nel subcontinente indiano, a partire dai musulmani che costituivano nettamente la più significativa minoranza religiosa di questo enorme paese. Inoltre, tale concezione portava Gandhi ad assumere anche posizioni conservatrici, quando non decisamente reazionarie, come ad esempio il rifiuto dell’industrializzazione, considerata un frutto avvelenato del colonialismo, che rendeva impossibile la collaborazione con il movimento socialista e comunista indiano che acquisivano una crescente importanza nel paese. Proprio per questi motivi la sua egemonia nello stesso partito del Congresso era messa in questione da esponenti più progressisti come Jawaharlal Nehru.

Il movimento anticolonialista indocinese e il suo più influente esponente: il comunista Ho Chi Minh

Anche in Indocina il movimento indipendentista, sorto dopo la Prima guerra mondiale e la Rivoluzione d’ottobre, aveva come principali protagonisti i democratici del Partito nazionale del Vietnam e il Partito comunista, fondato nel 1925 da Ho Chi Minh. La chiusura francese a ogni concessione alle forze anticolonialiste e la dura repressione dei comunisti, porta a diverse rivolte militari e contadine, che per il momento i francesi riescono a domare con un crescente ricorso alla violenza, ma che rafforzano la credibilità delle forze comuniste nelle masse popolari, in quanto le più radicali, intransigenti e, perciò anche le più perseguitate fra coloro che si battevano per l’indipendenza nazionale di questa regione del sud-est asiatico.

La nascita della Turchia moderna nella lotta contro il tradizionale assolutismo religioso e le potenze imperialiste

Più in generale negli anni venti il movimento anticoloniale, pur non riuscendo ancora a imporsi nella lotta per l’indipendenza nazionale, mette in larga parte dell’Asia in grande difficoltà le potenze colonialiste e imperialiste. Ciò, infatti avviene non solo, come abbiamo visto nell’estremo oriente, ma nello stesso Medio Oriente, una regione resa sempre più importante a seguito dell’apertura del Canale di Suez, che metteva in contatto il Mediterraneo con l’Oceano indiano e per la scoperta di un’enorme quantità di pozzi di petrolio, divenuta la principale risorsa energetica, ossia una materia prima essenziale e strategica per le società industrializzate.

A questo proposito va ricordata, in primo luogo. l’importante figura storica di Mustafa Kemal cui fu assegnato in esclusiva il cognome di Atatürk, ovvero padre dei turchi, in quanto è considerato il fondatore della Turchia moderna. In effetti, dopo la disastrosa sconfitta dell’impero turco ottomano – schieratosi con gli imperi centrali nella prima guerra mondiale – capeggiando una rivoluzione democratica Atatürk rovesciò il tradizionale assolutismo religioso, che aveva da sempre governato l’impero, consentendo al contempo una non più rinviabile modernizzazione e laicizzazione del paese e la difesa dello Stato nazionale turco dai tentativi dell’imperialismo di smembrarlo, per meglio dominarlo. Galvanizzato dalla rivoluzione il popolo turco popolo fu guidato da Atatürk nella riscossa contro la Grecia che, istigata dalle potenze imperialiste, in primo luogo dalla Gran Bretagna, aveva aggredito il paese stremato dopo la guerra e la rivoluzione strappandogli tutti i possedimenti residui in Europa e mettendo in discussione lo stesso decisivo controllo sugli stretti. In tal modo, Atatürk fu in grado di rimettere almeno parzialmente in questione le condizioni di pace punitive e decisamente troppo onerose imposte dai vincitori all’Impero turco ottomano allo scopo di smembrarlo e spartirlo fra le potenze imperialistiche uscite vincitrici dal conflitto. In tal modo, Atatürk riconquistò il decisivo controllo sugli stretti, la Tracia a ovest e il Kurdistan a est della penisola anatolica [1]. In seguito Atatürk proclama la repubblica spostando la capitale dall’ormai decentrata Istanbul ad Ankara gettando le basi per la formazione di un moderno Stato laico e liberaldemocratico, che per altro mantenne fino alla morte di Mustafa Kemal, in funzione antimperialista, ottimi rapporti con l’Unione sovietica.

Le rivolte nella zona del Medioriente passata sotto il controllo dell’impero coloniale francese dopo lo smembramento dell’Impero turco

Sfruttando il tracollo dell’Impero turco ottomano, da anni in crisi, dopo la completa sconfitta nella prima guerra mondiale, le principali potenze imperialiste europee vincitrici si spartirono il possesso delle diverse province dell’impero. Il tentativo di imporre il proprio dominio alle popolazioni arabe, che nell’impero turco in crisi avevano goduto di ampie autonomie, creò movimenti di protesta e poi anticoloniali che misero da subito in difficoltà le potenze imperialiste occupanti. In particolare in notevoli difficoltà si trovò ben presto la Francia che, per mantenere il controllo sulla porzione di Medioriente conquistata, puntò sul divide et impera, sfruttando l’opposizione latente fra la minoranza cristiana presente soprattutto lungo le coste dell’attuale Libano e la popolazione musulmana largamente maggioritaria nell’attuale Siria. In tal modo, alleandosi con la minoranza cristiana, l’impero coloniale francese puntò a separare e contrapporre la zona costiera del Libano, al resto della Siria – che naturalmente più animatamente si ribellava all’occupazione francese – mirando a lasciarla senza sbocchi sul mare Mediterraneo. Tale tattica, oltre a rendere difficili i rapporti sino ai nostri giorni fra la minoranza cristiana e la maggioranza araba di Libano e Siria, creando così un’altra zona di costante instabilità e di divisione su basi confessionali e religiose, ha favorito il sorgere in Siria di forti movimenti antimperialisti che allora si battevano contro il colonialismo e ancora oggi si battono contro il neocolonialismo francese


Note:

[1] In tal modo, però, impedì la realizzazione dello Stato kurdo, promesso dalle potenze imperialiste sulla base dell’antico principio del divide et impera. Ciò creò un nuovo conflitto destinato a perpetuarsi sino ai nostri giorni, dal momento che una parte significativa dei kurdi, non riconosciuti come minoranza nazionale e spesso considerati degli strumenti delle potenze imperialiste per smembrare il paese, hanno dato vita a un movimento che ha come programma massimo l’indipendenza, come programma minimo l’autonomia del Kurdistan.

13/01/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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