1956 Il versante israeliano della crisi di Suez

Gli avvenimenti bellici sul terreno durante la crisi di Suez fra Egitto e Israele. Le pressione esercitate dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica bloccano l'avanzata dello stato sionista supportata dalla Francia e dalla Gran Bretagna.


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Il rafforzamento israeliano post-bellico e i tentativi di ritorno dei palestinesi. (1949-1950)

Gli armistizi del 1949 e le infiltrazioni palestinesi

Dopo gli armistizi firmati nel 1949, le linee di confine tra Israele e gli stati arabi vicini divennero fonte di conflitti. Questi confini si trovavano in alcune zone molto vicini alle principali vie di comunicazione di Israele. Tagliavano villaggi arabi a metà o li separavano dalle loro terre. La Nakba, che aveva costretto centinaia di migliaia di palestinesi a lasciare le loro case, spinse molti di loro a tentare di attraversare il confine per recuperare beni o tornare nei loro villaggi abbandonati. Spesso però i villaggi erano stati distrutti o trasformati in insediamenti israeliani. I coloni israeliani e l'esercito risposero con attacchi armati, a volte letali. Israele introdusse leggi severe, autorizzando l'uso della forza contro i "ritornanti" palestinesi, e minò ampie porzioni di confine per prevenire le infiltrazioni. Secondo stime, circa 600 palestinesi furono uccisi mentre cercavano di attraversare il confine.

Rappresaglie israeliane e l'Unità 101

Negli anni '50, la situazione si aggravò con la creazione dell'Unità 101 (agosto 1953), guidata da Ariel Sharon, che condusse attacchi contro villaggi palestinesi e basi arabe da cui provenivano infiltrazioni. L'escalation delle incursioni militari, come il Piano Freccia Nera del 1955, un'operazione contro Gaza che si concluse con perdite per entrambi i lati ma rafforzò la determinazione israeliana a punire l'Egitto.

L’ascesa di Nasser e la crisi di Suez (1956)

L’operazione Kadesh

Gli obiettivi principali di Israele erano: Sbloccare lo Stretto di Tiran, fondamentale per il commercio attraverso il porto di Eilat. Distruggere le basi egiziane da cui partivano attacchi dei fedayyin. Dimostrare la forza militare israeliana agli Stati arabi.

Nonostante i successi militari, come la conquista di Sharm el-Sheikh e la presa del Sinai, l'intervento anglo-francese e israeliano incontrò una forte opposizione internazionale, in particolare da parte degli Stati Uniti e dell'URSS. Sotto pressione internazionale, Israele fu costretto a ritirarsi dal Sinai nei mesi successivi.

La guerra cominciò con la parziale decapitazione dello stato maggiore egiziano, che morì nell’abbattimento proditorio da parte israeliana dell’aereo che lo trasportava da Damasco al Cairo. Il primo attacco fu diretto contro la Striscia di Gaza. La resistenza fu forte, ma i singoli reparti, non coordinati tra loro, non riuscirono a fermare l’avanzata israeliana.

Gli egiziani, colti di sorpresa, non riuscirono a organizzare una resistenza efficace, soprattutto per la mancanza di coordinamento sul terreno. Molti dei loro reggimenti si ritirarono verso il Canale di Suez, abbandonando equipaggiamenti e posizioni strategiche. In questo frangente entrarono in combattimento le armi che l’URSS aveva venduto all’Egitto, in particolare il famoso caccia multiruolo sovietico MiG-15, che aveva già dato prova della sua efficienza nei cieli della recentissima guerra di Corea.

La decina di MiG-15 stazionati nel Sinai vinse non poche battaglie e mitragliò i Dakota che trasportavano i paracadutisti israeliani verso il Canale di Suez. Lo riporta il generale Moshe Dayan nelle sue memorie, smentendo la storiografia ufficiale che nega questi fatti. Purtroppo, per l'esercito egiziano, l'intervento anglo-francese distrusse a terra la maggior parte dei 200 MiG-15 posseduti dallo stato arabo, rendendo più facile l'avanzata israeliana verso il canale.

Dopo la presa di Gaza, due brigate, una di fanteria e una corazzata, avanzarono verso il Canale di Suez, trovando poca resistenza e attestandosi a poche decine di chilometri dalle coste del Mar Rosso. Durante l'avanzata verso il canale, il punto più controverso della campagna fu l’attacco al caposaldo egiziano di Um Katef. La Settima Brigata corazzata israeliana attaccò il caposaldo senza avvisare Dayan. Fu respinta con numerose perdite e resistette ai successivi attacchi. Solo quando fu accerchiata, Um Katef si arrese.

L'avanzata intanto proseguiva, puntando al passo di Mitla, la chiave del Sinai. Dopo aspri combattimenti, il 1° novembre Mitla cadde, ma le forze israeliane soffrirono un centinaio di perdite. Intanto, dopo l'ultimatum, le forze anglo-francesi distruggevano a terra l’aviazione egiziana e i paracadutisti delle due potenze europee conquistavano la sponda africana del canale.

Che il bombardamento a terra dei circa 200 caccia MiG-15 sia stato una fortuna per l'esercito israeliano lo si evince dalle memorie del generale Moshe Dayan, che scrive le testuali parole: “Il bombardamento anglo-francese dei campi d'aviazione egiziani rimosse le possibilità dell'aviazione di operare contro di noi.”

Mentre avvenivano questi fatti, la Terza Brigata paracadutisti israeliana, partendo dal confine giordano, si mosse verso il sud del Sinai e lo liberò dalla presenza delle forze armate egiziane, conquistandolo quasi per intero il 2 novembre.

La parte conclusiva della campagna fu la presa di Sharm el-Sheikh, nel punto più a sud della penisola del Sinai. Dayan ideò una manovra a tenaglia: da nord la città sarebbe stata investita dalla Nona Brigata di fanteria e da sud-ovest da un forte raggruppamento di paracadutisti lanciati poco distanti dal porto nella cittadina di Tor. I paracadutisti lanciarono forti attacchi contro la città: vi furono molte perdite tra gli egiziani e numerosi soldati disertarono.

Moshe Dayan, che si era mosso verso la città con una forte scorta, scoprì che essa era ancora in mano egiziana. Dayan temeva che da un momento all'altro gli fosse ordinato di fermarsi perché Israele aderiva alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che, sotto forte pressione americana e sovietica, ordinava di fermare qualsiasi combattimento.

La "perla del Sinai" rischiava di non essere presa e la campagna sarebbe diventata un fallimento. Tutto era nelle mani della Nona Brigata di fanteria, che non poteva essere né rifornita né rinforzata. Le avanguardie della brigata avevano raggiunto in quel momento la cittadina di Dahab, presa con relativa facilità. Un primo attacco nella notte fu respinto e alcuni comandanti di compagnia persero la vita. Alle prime luci dell'alba l'attacco fu reiterato.

Gli egiziani, dopo una serie di combattimenti nella periferia della città, si arresero. Gli israeliani scoprirono che erano privi di armi pesanti e che molti di loro erano coscritti di leva con poca voglia di combattere.

La sera del 5 novembre Sharm el-Sheikh era in mano israeliana e Ben Gurion accettò l'ordine dell'ONU di fermare i combattimenti.

Conclusione

La guerra era finita: Israele aveva occupato il Sinai e sperava di mantenerlo nelle sue mani. Tuttavia, il presidente americano Dwight Eisenhower non era dello stesso parere e, dopo lunghe e forti pressioni sul governo israeliano, lo costrinse al ritiro dal Sinai, un raro esempio di presidente americano che non soggiaceva alla lobby filoisraeliana.

Bibliografia:

  • Pappe I., Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli, Einaudi, Torino 2004;
  • Morris B., Vittime. Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001, Rizzoli Milano 2003
  • Pineau Chr., 1956, Suez, Edition Robert Laffont Paris 2012;
  • Dayan M., La campagna del Sinai, 1956, Milano, Mondadori, 1967.

Sitografia

https://www.nigrizia.it/notizia/il-canale-delle-spie-storia-della-crisi-di-suez-1956

https:/ https://archives.mod.gov.il/sites/English/Exhibitions/pages/operation-kadesh.aspx/storiadisraele.blogspot.com/2010/12/la-seconda-guerra-arabo-israeliana-la.html

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L'Autore

Orazio Di Mauro

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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