Hegel, la religione popolare e il cristianesimo

Non solo la nostalgia della Grecia si fonda sulla scoperta della tragicità presente nella moderna epoca dei lumi, ma la sua praticabilità nel e per il presente è intimamente connessa ai tentativi storici, altrettanto utopistici, che proprio in quegli anni si sperimentavano per dotare la modernità di una nuova religione popolare, in grado di sanare, sul modello dell’antica, l’abisso che si era venuto creando – e intorno a cui ruoterà tutta l’analisi della tragedia della modernità – tra individuo, società civile e Stato.


Hegel, la religione popolare e il cristianesimo Credits: https://www.lacittafutura.it/unigramsci/hegel-illuminista-e-laico

Con uno scarto – l’unico veramente rilevante – rispetto alla concezione della religione della filosofia critica, il giovane Hegel affianca all’opposizione di un’ideale di religione sovrasensibile rispetto all’esistente, la contrapposizione di due diverse forme di religione popolare. In altri termini, al dover essere di una religione puramente razionale si affianca l’idealizzazione di un passato storico: il mondo greco, in cui la religione era non solo più adeguata alla ragione pratica, ma soprattutto maggiormente in grado di condizionare, anche attraverso l’immediatezza del sentimento, la coscienza etica dei cittadini. Tuttavia, negli stessi scritti di Tubinga, il modello offerto dal mondo greco si configura sulla base di una concezione tutta moderna, trascendentale nei riguardi del piano storico, di una religione ripensata entro i limiti della sola ragione: “di tutti i concetti che i Greci ebbero dei loro dèi, benché ci appaiano così assurdi, così in contraddizione con il nostro ideale (Mendelssohn, Gerusalemme, pag. 101) così umilianti, si deve considerare che erano legati nel modo più stretto con l’universale concetto del destino, teoria veramente umana. Risibile è al contrario l’argomentazione che Dio permetta alcuni avvenimenti, come risibile è la motivazione di questo permettere, con il quale si crede di salvare la provvidenza” [1]. Da notare nel brano citato la contrapposizione tra la concezione cristiana della provvidenza e quella greca del destino, che trova la sua origine nella tragedia greca, un’opposizione che avrà larga fortuna nel prosieguo della riflessione hegeliana, non solo per ciò che riguarda la concezione del tragico e della tragedia, ma per lo stesso sviluppo della dialettica, della filosofia della storia, che permetterà a Hegel di oltrepassare, per la prima volta, la prospettiva della filosofia trascendentale.

La critica del cristianesimo in vista di una religione popolare più adeguata all’esigenza storica di una mitologia della ragione è, dunque, condotta da un duplice punto di vista, destinato a entrare in una contraddizione estremamente produttiva negli sviluppi ulteriori del pensiero hegeliano [2]. A ben guardare si tratta di una contraddizione che si innesta sulla già richiamata aporia presente nella critica della modernità, che Hegel deriva dalla tradizione illuminista, costantemente oscillante tra passato storico e un ideale puramente razionale, ambedue determinati dal tentativo di risalire a uno stadio più originario, capace di sanare le contraddizioni del mondo moderno [3]. Tuttavia, in entrambi i casi, si tratta di un modello puramente ideale, irrevocabilmente contrapposto tanto alla positività dell’esistente, quanto più in generale al mondo storico. Il che comporta una notevole idealizzazione di questo passato storico, da cui debbono essere espunte tutte le contraddizioni; un mondo ellenico come lo pensava allora la tradizione neoclassica, costruito sul modello plastico della statuaria e ancora ben lontano da quello che sarà prodotto dall’analisi hegeliana della tragedia greca.

Hegel appare ancora distante sia dal rilevare quanto di dionisiaco, di tragico si celi dietro la maschera neoclassica di serenità della statuaria classica, sia dal cogliere come il dualismo della filosofia della riflessione [Reflexionsphilosophie], la sua insanabile opposizione tra ideale e reale, non sia altro che il portato della dissociazione che caratterizza la modernità cristiana. Tuttavia, proprio dalla crescente consapevolezza dell’insoddisfazione che gli procura l’insanabile contrapposizione tra piano dell’ideale e piano storico – costretto ad adeguarsi al suo modello, pur nella consapevolezza tragica di non poterlo mai raggiungere – nascerà in Hegel l’esigenza di un’analisi più attenta all’aspetto fenomenico e, dunque, destinata a problematizzare l’esemplarità della Grecia. Hegel si renderà conto che solo andando a fondo nella contraddizione celata dietro il velo di serenità della statuaria classica sarà possibile delineare un assetto socio-politico e culturale non aprioristicamente irrealizzabile nel mondo storico.

Per il momento la costituzione dell’ideale classico permette a Hegel di storicizzare il cristianesimo stesso, di sottrarlo a ogni soprannaturalismo, per restituirlo a quella modernità di cui viene scoprendo la tragica lacerazione, in prima istanza proprio tramite l’impietosa analisi storico-fenomenologica delle sue rappresentazioni religiose [4]. Dall’altra, però, non solo la nostalgia della Grecia si fonda sulla scoperta della tragicità presente nella moderna epoca dei lumi, ma la sua praticabilità nel e per il presente è intimamente connessa ai tentativi storici, altrettanto utopistici, che proprio in questi anni si sperimentavano per dotare la modernità di una nuova religione popolare [Volksreligion], in grado di sanare, sul modello dell’antica, l’abisso che si era venuto creando – ed intorno a cui ruoterà tutta l’analisi della tragedia della modernità – tra individuo, società civile e Stato.

Tra il non ancora della realizzazione intramondana dell’ideale e il non più dell’idealizzata comunità etica greca si porrà, allora, la necessità di trovare soluzioni di mediazione valide per il qui e ora del mondo storico-positivo. Ecco così delineata un’altra invariante della filosofia hegeliana, vale a dire l’indissolubile connessione che lega la riflessione sul mondo antico con quella sul moderno, per cui, come abbiamo cominciato ad intendere, non è affatto un astratto ideale del mondo classico a determinare la visione del cristianesimo e, più in generale, della modernità da parte di Hegel, ma è piuttosto la progressiva consapevolezza delle contraddizioni di quest’ultima: sono i tentativi messi in opera storicamente per risolverle a configurare in maniera decisiva l’ideale dell’antichità [5], che si verrà trasformando nella direzione di una progressiva tragicizzazione proprio in relazione a questo tipo di problematica [6]. In qualche modo, la nota concezione hegeliana della filosofia come comprensione della propria epoca storica attraverso il pensiero è presente, in nuce, persino in queste riflessioni giovanili, apparentemente così distanti da quelle della maturità.

Note:

[1] Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Gesammelte Werke, In Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft, a cura della Rheinisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften, Hamburg, Meiner dal 1968, vol. I, p. 75, Id., Scritti giovanili I, tr. it. di Mirri, E., Guida, Napoli 1993, p. 159.

[2] A proposito del ripresentarsi di tale aporia, presente nella riflessione hegeliana di questi anni anche nel concetto di spirito del popolo, ha osservato acutamente Finelli: “la prima concezione hegeliana dell’intero – quale spirito di un popolo – si connota così di due caratteristiche fondamentali: un’immagine ontologica organicistica, priva di differenza tra singolo e totalità, da un lato e dall’altro l’identità e l’origine più profonda di quell’«intero» riposta in una dimensione che, se non vuole essere astratto-speculativa, pure attiene al razionale, quale ambito, nell’affrancamento da ogni determinazione esteriore, di coincidenza e trasparenza con sé” Finelli, Roberto, Mito e critica delle forme. La giovinezza di Hegel (1770-1801), Roma, Editori Riuniti 1996, p. 49.

[3] Sul legame tra la ripresa dell’ideale trascendentale della religione naturale e razionale, con il modello rinvenuto nel mondo greco, ha scritto – pur riducendo un po’ troppo il secondo momento al primo – Mirri: “in fin dei conti – si sa – nella grecità pagana Hegel proietta le dottrine dell’«Aufklärung» [illuminismo], che costituiscono così il suo vero metro di giudizio della religione cristiana. Il brano finale perciò, nostalgico del «genio» greco (…) in fin dei conti non è che un inno, in stile neoclassico, che Hegel scioglie allo spirito dell’«Aufklärung», da Rousseau a Kant” Hegel, G.W.F., Scritti giovanili I, tr. it. di Mirri, E., Guida, Napoli 1993, p. 150-51.

[4] Come ha ben compreso Mirri: “un simile modello di religione popolare, che non è delineato dallo Hegel con un mero intento utopistico, ma che anzi gli permette di valutare il cristianesimo come espressione compiuta dell’epoca moderna, un simile modello, corrispondente a un alto grado di civiltà, è indicato con fermezza (e anticipando un’argomentazione che troverà poi ampio sviluppo, dai successivi frammenti bernesi alla Positività della religione cristiana e allo Spirito del cristianesimo) nella religione e nella civiltà greca (…)” ivi p. 40.

[5] Come ha giustamente osservato Mirri, a proposito dei primi manoscritti in cui appare l’opposizione tra concezione moderna della religione e concezione greca, “i testi successivi, numerati da 13 a 15, hanno in comune lo svolgimento di alcuni aspetti di uno dei temi più caratteristici del giovane Hegel: quello dell’opposizione tra grecità e cristianesimo. Il quale tema poi, a ben considerare, è del tutto parallelo, o addirittura coincidente, con il tema del conflitto tra l’«Aufklärung» [l’illuminismo] e il cristianesimo.” Ivi, p. 141. Mirri, tuttavia, omette di tracciare la genealogia di questa tematica ricorrente nel giovane Hegel, che ha la sua fonte proprio nell’adesione alla Rivoluzione Francese, da cui deriverà l’esigenza di una nuova religione popolare da sostituire al cristianesimo, che non è in grado di diffondere tra le masse quell’ideale di una ricomposizione tra cittadino e stato, di cui la polis greca ha costituito appunto l’ideale.

[6] Da questo punto di vista appare doppiamente fallace quanto scrive Janicaud: “i Frammenti di Tubinga permettono di affermare che alla fine del periodo di Tubinga l’ideale greco è costituito (…) la sorprendente costruzione di questo ideale non è praticamente possibile ricostruirla. (…) È a partire dall’ideale greco che si organizzano i primi pensieri di Hegel” Janicaud, Dominique, Hegel et le destin de la Grèce, Paris, Vrin 1975, p. 27. Per un verso non è a partire dall’ideale greco che si organizzano le riflessioni hegeliane sulla sua epoca, ma, come abbiamo mostrato, il contrario; per altro verso l’ideale greco non deve venire considerato come definitivamente costituito in quest’epoca. Esso appare, infatti, in continua trasformazione proprio sulla base del modificarsi della concezione hegeliana della modernità.

16/06/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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