Gran Bretagna e Francia fra le due guerre

Nel I dopoguerra prima in UK e poi in Francia i conflitti sociali vedono un grande sviluppo delle lotte dal basso, ma il mancato sbocco rivoluzionario finisce con il favorire le forze pronte a un accordo con i nazifascisti, pur di mantenere il proprio dominio sui ceti subalterni


Gran Bretagna e Francia fra le due guerre Credits: https://hannahabelhirsch.com/The-Rise-of-the-Front-Populaire

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su questo argomento
Il Regno unito di Gran Bretagna e l’impero coloniale inglese
La Gran Bretagna, dopo la Prima guerra mondiale, perde la preminenza economica e politica che aveva avuto, per quasi un secolo, a livello internazionale. Tale ruolo dominante aveva la sua origine nell’aver realizzato la prima rivoluzione borghese, già nel Seicento, in seguito alla quale aveva strappato all’Olanda il controllo del commercio internazionale e, in particolare, quello decisivo con l’oriente asiatico. Il suo potere a livello internazionale si accresce per aver realizzato per prima la rivoluzione industriale già a fine diciottesimo secolo. Il dominio a livello internazionale del Regno Unito inizia ad affermarsi con la sconfitta della Francia napoleonica e con le Guerre dell’oppio con cui, a metà Ottocento, sottomettendo persino la Cina, costruisce un enorme impero coloniale. Tale dominio si consolida in epoca vittoriana con le prime crisi di sovrapproduzione che portano la Gran Bretagna a sviluppare per prima la forma superiore o suprema del capitalismo: l’imperialismo. Il suo dominio si incrina a causa della crisi economica, delle enormi spese durante la Grande guerra e per lo sviluppo dei movimenti anticoloniali, sull’onda della Rivoluzione d’Ottobre e con il conseguente appoggio dei popoli in lotta da parte della Terza Internazionale. Per altro, già nel corso della Grande guerra, dinanzi alle difficoltà della Gran Bretagna nella lotta fratricida con i grandi Imperi centrali, era esplosa nel 1916 la rivolta nella più antica e importante colonia europea inglese: l’Irlanda. Nonostante i tentativi britannici di imporre con la forza la fine della rivolta, il Sinn Fein manteneva uno stato di costante guerra civile, al quale il Regno unito risponde con una cieca repressione.

I governi di Lloyd George e MacDonald

Eletto trionfalmente nel 1918, Lloyd George resta a capo di un grande governo di unità nazionale, alla guida del quale aveva condotto in porto la terribile impresa bellica. Ora, però, deve fronteggiare un riacutizzarsi e radicalizzarsi dei conflitti sociali dal basso, a lungo artificialmente compressi dalla guerra imperialista. Nonostante Lloyd George fosse riuscito a prevenire per quanto possibile il problema, coinvolgendo già nel corso della guerra il partito dei lavoratori britannici, i laburisti, unica forza potenzialmente rivoluzionaria, nel proprio governo in posizione subalterna, tali tattiche rischiano di saltare sull’onda della Rivoluzione d’ottobre. Così, il primo dopoguerra è caratterizzato anche in Gran Bretagna da grandi scioperi operai per la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore e per impedire all’impero britannico di rovesciare la Rivoluzione d’ottobre. Al contempo esplode la questione irlandese, tanto che nel 1921 Lloyd George si vede costretto dalla lotta di popolo armata per l’indipendenza dell’Irlanda a concedere un governo autonomo a eccezione dell’Ulster, ossia dell’Irlanda del nord, abitata da una maggioranza di coloni anglicani.

I sindacati, nel frattempo, hanno raddoppiano il numero dei loro iscritti raggiungendo una forza e una capacità d’influenza fino a quel momento sconosciuti. Questo fece sì che nel 1924 i laburisti arrivino a guidare il governo del paese con Ramsay MacDonald, grazie all’appoggio dei liberali. I laburisti sono riusciti a ottenere per la prima volta la leadership di un governo in una grande potenza imperialista a causa di una situazione sociale sempre più esplosiva, nelle quale le classi dominanti si vedono costrette a cedere il controllo del governo a un dirigente laburista con un orientamento anti rivoluzionario, l’unico che appare in grado, con una politica di rivoluzione passiva, di isolare e depotenziare le forze rivoluzionarie, mai così forti. La scommessa della borghesia si rivela vincente perché trovandosi alla guida del governo di un grande paese imperialista il dirigente laburista MacDonald dà prova della massima moderazione, contribuendo in modo significativo a normalizzare una situazione sociale che aveva rischiato di divenire esplosiva. La politica di rivoluzione passiva dei laburisti è a tal punto efficace che la loro direzione del governo diviene ben presto superflua per il blocco sociale conservatore dominante, tanto che ben presto i conservatori tornano al governo, anche per il forte malcontento dei settori più consapevoli della classe operaia che si sentono traditi e tendono a disertare le urne.

La sconfitta del movimento britannico dei lavoratori

D’altra parte, con l’imponente crescita del movimento dei lavoratori, il sistema politico britannico viene rivoluzionato in quanto a fronteggiare la destra conservatrice non vi sarà più il partito liberale, ma essenzialmente il partito laburista, in quanto rappresentante ufficiale dei lavoratori. Lo scontro sociale nel paese raggiunge il suo apice nel 1926 con uno sciopero generale di ben nove giorni, dopo i quali i lavoratori, traditi dalla burocrazia sindacale e dai riformisti alla guida del partito laburista sono costretti a cedere. A questo punto rimane in campo unicamente il settore più radicale del proletariato britannico, i minatori, che proseguono uno sciopero ad oltranza per ben sette mesi mirando alla socializzazione delle miniere. Isolata, anche questa eroica lotta viene costretta alla resa. La sconfitta del movimento dei lavoratori dipende dal fatto che i laburisti, per divenire partito dell’alternanza nel bipolarismo inglese, hanno progressivamente preso congedo da posizioni socialiste per assumere posizioni liberal-progressiste con MacDonald. Sul piano strutturale la sconfitta è dovuta al fatto che, con la crisi di sovrapproduzione, la disoccupazione è in rapido aumento e indebolisce le posizioni riformiste e tradeunioniste della maggioranza della sinistra britannica.

Dal secondo governo MacDonald al governo Chamberlain

MacDonald è chiamato di nuovo al governo, con il benestare del blocco sociale dominante, per gestire la difficilissima situazione venutasi a creare con l’esplodere della bolla speculativa nel 1929, che aveva procrastinato il pieno emergere della crisi. MacDonald, non volendo sperimentare strumenti rivoluzionari, non può che affrontare le tragiche conseguenze della crisi con dei palliativi che non gli permettono di conseguire quei significativi risultati, che il proletariato britannico aveva auspicato quando, con una massiccia mobilitazione elettorale, lo aveva riportato alla guida del governo. Il suo tradire, per la seconda volta, le aspettative degli elettori di sinistra fa sì che alle elezioni successive del 1931 i laburisti subiscono una vera e propria disfatta a causa della netta crescita dell’astensionismo fra le masse proletarie. MacDonald rimane a capo di un governo dominato dai conservatori sino al 1935, quando non avendone più ulteriore bisogno – avendo portato a termine la propria funzione di emblema della rivoluzione passiva – gli danno il benservito. Nel 1937 diviene capo del governo un altro conservatore: Neville Chamberlain – ammiratore dei governi di destra autoritari che, sul modello del fascismo italiano, si affermano nel mondo occidentale – il quale mira a favorire i piani hitleriani di guerra all’Unione Sovietica.

Nel frattempo nel 1931, per cercare di salvare – anche in tal caso con una rivoluzione passiva – l’impero coloniale britannico sempre più in crisi, si forma un Commonwealth, ossia una federazione di Stati sovrani e uniti per reciproca volontà che lega la Gran Bretagna alle colonie dove dominano – a prezzo di genocidi e politiche di apartheid – i discendenti dei coloni anglofoni, ovvero: Canada, Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa. In tal modo, in nome della classica tattica di dominio del divide et impera, la Gran Bretagna divide per sempre il possibile fronte comune dei popoli in lotta contro il suo dominio imperialista.

La Francia fra le due guerre mondiali

In Francia la Prima guerra mondiale ha lasciato alcune delle regioni più ricche del paese letteralmente in macerie, in quanto sono state teatro delle battaglie di diverse delle più cruente battaglie del conflitto. D’altra parte la ricostruzione consente di recuperare completamente la disoccupazione prodotta dall'esplosione della crisi di sovrapproduzione del 1929, portando quasi al pieno impiego della forza-lavoro. Dal 1919 si susseguono alla guida del paese governi moderati. D’altra parte vi è anche in Francia un grande sviluppo del movimento operaio, grazie alla spinta propulsiva della Rivoluzione d’ottobre, tanto che le grandi mobilitazione e lotte promosse dal sindacato CGT portano alla conquista dell’orario di lavoro di otto ore e del contratto nazionale di lavoro. In tal modo il lavoratore non si trova a dover trattare da solo con il padrone, il quale ha sempre il coltello dalla parte del manico. Il partito socialista si scinde e, su impulso della Terza internazionale, anche in Francia – rompendo con i riformisti – sorge un partito rivoluzionario con il nome di Sezione francese dell'Internazionale Comunista. Nel frattempo il paese vive una profonda crisi finanziaria dovuta agli oneri pesantissimi di cui è gravato lo Stato impegnato nel grande sforzo per la ricostruzione del paese. È, infine, sconfitto il governo di centro-destra, che aveva mirato a far pagare gli effetti negativi della crisi post-bellica quasi esclusivamente ai ceti subalterni.

Le misure sociali del governo di coalizione fra radicali e socialisti del 1924 sono bloccate dalla fuga all’estero dei capitali e dal rifiuto di credito allo Stato da parte dei grandi organismi finanziari. Esplode la crisi finanziaria quale ricatto della classe dominante egemonizzata dalla grande borghesia di contro a una classe dirigente allora guidata dal centrosinistra. Così nel 1926 con Raymond Poincaré, uomo del grande capitale, torna al governo il partito dell’ordine. Grazie allo sviluppo economico la situazione finisce con lo stabilizzarsi. Anche se il benessere della borghesia al potere tende a crescere mentre la condizione dei lavoratori resta stagnante.

Il fallito colpo di Stato della destra fascista

Dopo la crisi del 1929 si susseguono in Francia fino al 1936 ben venti governi, a dimostrazione che le tradizionali ricette liberaldemocratiche non hanno strumenti efficaci per affrontare i tragici risvolti della crisi, se non mirare a farne pagare i costi principalmente ai ceti sociali subalterni e ai paesi sotto l’egemonia dell’imperialismo francese. I governi di coalizione che si succedevano, orientati al centro, portavano avanti una politica deflazionistica per fronteggiare la crisi, che produsse disoccupazione e diminuzione dei salari, creando terreno fertile per il populismo di destra. In tal modo si accresce nel senso comune l’antiparlamentarismo e la propensione per soluzioni di rottura, tanto di sinistra, quanto di destra, bonapartiste e fasciste. Sull’esempio italiano e tedesco proliferano anche in Francia formazioni dell’estrema destra che mirano a conquistare il potere con la violenza. Così, il 6 febbraio del 1934, per anticipare i tempi più lunghi dell’organizzazione di una significativa alternativa di sinistra al disordine liberale costituito, l’estrema destra guidata dall’Action Francaise tenta un colpo di mano con una marcia sul parlamento allo scopo di realizzare un colpo di Stato per dare vita a uno Stato autoritario fascistoide. D’altra parte, a differenza che in Italia e in Germania, le forze intenzionate a realizzare il golpe di destra antidemocratico sono diverse e divise, perciò nessuna di essa ha il sostegno compatto dei poteri forti e delle classi dominanti. In questo clima di incertezza, al contrario di quanto avvenuto in Italia con la marcia su Roma, gli apparati repressivi dello Stato reagiscono e ristabiliscono l’ordine costituito, senza troppi sforzi e spargimenti di sangue, disperdendo agevolmente i sostenitori della destra radicale francese, non sufficientemente organizzata per offrire un’alternativa alle classi dominanti dinanzi alla crisi della liberal-democrazia.

16/03/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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