Arte, riflessione e godimento estetico in Brecht

Se gran parte dell’arte tradizionale appariva destinata a una lenta, ma irreversibile agonia, ben diverso era, a parere di Brecht, lo stadio di salute dell’arte dell’inzwischenzeit, cioè dell’espressione artistica appropriata all’epoca della morte della poesia, una rappresentazione artistica fondata su di una solida base riflessiva e “sentimentale”, nel senso schilleriano del termine.


Arte, riflessione e godimento estetico in Brecht

Bertolt Brecht, sin dai primi anni venti, ha sviluppato una poetica modernista [1] e la Neue Sachlichkeit e, più in generale, il movimento delle avanguardie storiche hanno avuto una grande importanza nello sviluppo delle sue opere giovanili, non solo dal punto di vista tecnico-formale. È, però, indispensabile analizzare da un punto di vista storico l’adesione di Brecht a questi movimenti, considerandola soprattutto in relazione a quella radicale critica dell’arte tradizionale e al bisogno di rinnovamento estetico che erano alla base della sua riflessione sull’arte. Del resto, anche limitandosi a considerare unicamente i punti di contatto relativi alla critica dell’arte e dell’estetica tradizionale, vi sono delle differenze sostanziali tra le posizioni di Brecht e quelle dei teorici più radicali delle avanguardie. Egli, infatti, non solo non intendeva limitarsi all’astratta denunzia di un mondo sempre più privo di poesia, ma riteneva necessario opporsi a tutte quelle teorie che consideravano come ormai scontata la “bancarotta dell’arte” [2]. In altri termini, Brecht non intendeva arrendersi a quello che considerava un paralizzante pessimismo, un facile scetticismo che si serviva strumentalmente della teoria hegeliana della morte dell’arte per mascherare la propria incapacità di intervento sulla realtà, la propria ignavia di fronte alla tragedia dell’arte nel mondo moderno [3]. A suo parere, infatti, non si poteva considerare definitivamente “morta” ogni forma di espressione artistica, né si doveva, di fronte a questa crisi, arrivare a negare l’importanza stessa dell’attività creativa in essa dispiegata [4]. Irreversibilmente “morta” era unicamente una determinata forma d’espressione artistica, tanto dominante da essere spesso scambiata con l’arte tout court: l’arte “ingenua”. Quell’arte, cioè, che più o meno volutamente ignora o pretende di poter ignorare la “sfida” della modernità [5]. 

Se gran parte dell’arte tradizionale appariva destinata a una lenta, ma irreversibile agonia, ben diverso era, a parere di Brecht, lo stadio di salute dell’arte dell’inzwischenzeit, cioè dell’espressione artistica appropriata all’epoca della morte della poesia, una rappresentazione artistica fondata su di una solida base riflessiva e “sentimentale”, nel senso schilleriano del termine. L’arte per sopravvivere nel mondo moderno, a parere di Brecht, in effetti non può rinunciare a comprendere in sé quei momenti della riflessione e della mediazione che sembrano condurre alla rovina la “spensierata immediatezza” dell’arte di un tempo. Nell’epoca moderna, la rappresentazione artistica non può più pensare di poter vivere in contrasto con il razionale, ma deve necessariamente, per quanto le è possibile, appropriarsene adattandolo alle proprie esigenze espressive.

Tuttavia, ciò non deve comportare la rinuncia a quella componente essenziale dell’arte legata ai sentimenti e all’immaginazione. A parere di Brecht, in effetti, “bisogna liberarsi da prese di posizione di battaglia del tipo «di qua la ratio» oppure «di là l’emotio». Bisogna analizzare accuratamente il rapporto tra ratio e emotio in tutta la sua contraddittorietà [6] e non si deve permettere agli avversari di presentare il teatro epico come qualcosa di esclusivamente razionale e contrario a ogni emozione. Gli «istinti» i quali, trasformati ormai in riflessi condizionati delle esperienze, sono diventati avversari dei nostri interessi. Le emozioni impantanate, a binario unico, non più controllabile dall’intelletto. Dall’altra parte la ratio emancipata dei fisici, con il suo formalismo meccanico” [7]. Brecht, quindi, avvertiva la necessità di rilegittimare il piacere estetico come momento fondamentale dell’esperienza estetica – di contro a ogni tentativo di imporre un’arte intellettualistica che ne metteva in discussione la stessa legittimità – ripensandolo, però, in vista di una sua riconnessione all’elemento etico-didattico. Il momento del godimento estetico deve, però, esser ripensato in vista di una sua riconnessione all’elemento etico-didattico, da cui troppo spesso è stato intellettualisticamente separato. In altri termini, il piacere prodotto dall’esperienza estetica non può più essere qualcosa di immediato, che prescinda del tutto dal momento della riflessione, dato che lo stesso spettatore dotato di un minimo di consapevolezza della sua funzione non aspira più a perdersi in un passivo sentire, ma vuole comprendere e giudicare. 

Da questa necessità deriva la radicale critica di Brecht a quelle opere commerciali, di evasione che definiva con disprezzo “culinarie”. Ciò non significa che a esse Brecht contrapponesse un’arida e intellettualistica concezione dell’arte. Brecht ha così definito, sul suo diario, l’opera di due importanti autori della sua epoca che possono essere considerati i rappresentanti di queste opposte concezioni dell’arte: “George è privo della dimensione sensibile e la sostituisce con una raffinata arte culinaria. Anche KARL KRAUS, il rappresentante della seconda linea, è privo della dimensione sensibile perché è puramente spirituale. L’unilateralità di entrambe le linee rende sempre più difficile un giudizio. Nel caso di GEORGE si ha un soggettivismo portato agli estremi che vorrebbe presentarsi come oggettivo per il fatto che si presenta in maniera formalmente classicistica. In realtà, con tutta la sua apparente soggettività, la lirica di KRAUS è però più prossima all’oggetto, regge più cose. KRAUS è più debole di GEORGE, questo è il guaio. Altrimenti gli sarebbe tanto superiore”[8].

Di contro a queste tendenze Brecht riteneva che il compito fondamentale dell’artista consistesse “nel ricreare i figli dell’era scientifica, in maniera sensuale e in letizia. Questo non lo si ripeterà mai abbastanza, specialmente per noi tedeschi, così inclini a scivolare nell’incorporeo e nell’invisibile, per poi metterci a parlare di Weltanschauung, di visione del mondo, proprio quando il mondo non è più visibile” [9]. 

 

Note:

[1] L’importanza di questa poetica è testimoniata, per esempio, da quanto scriveva Brecht in riferimento alle note da lui aggiunte ai suoi drammi: “tutte queste norme teatrali, destinate a un teatro terrestre (secolarizzato), produttivo, umano e saggio, in cui l’ascoltatore è il rappresentante del «destino», non sono naturalmente solo di origine ideologicamente speculativa, ma anche dettate semplicemente dal gusto. Punti di riferimento del gusto sono gli edifici, le macchine, le forme linguistiche, le manifestazioni pubbliche ecc. di tipo moderno”. Bertolt Brecht, Diario di lavoro, tr. it. di Zagari, B., Einaudi, Torino 1976, p. 440.

[2] Cfr. Brecht, B., Gesammelte Werke, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1967, vol. XX, p. 129.

[3] Prima ancora che al livello teorico, questo tratto caratterizzante è individuabile nel tormentato processo di sviluppo dell’opera brechtiana. L’implacabile sarcasmo e la corrosiva ironia che animano la produzione giovanile di Brecht permettono al dolore e allo sconforto metafisico in essa preminenti di non rinchiudersi nell’angusto cerchio dei sentimenti del poeta, di non cedere a quella hybris dell’abisso, che domina nelle opere di tanti poeti espressionisti a lui contemporanei. [Sulla necessità di distinguere l’opera giovanile di Brecht dall’espressionismo resta tuttora valido il contributo di Chiarini P., Bertolt Brecht, Laterza, Bari 1959]. Il suo radicale pessimismo, infatti, non si riposa mai in un’astratta negazione assoluta, in un pavido annullamento della volontà, in un immobile e comodo intellettualismo e pessimismo cosmico. Egli condanna senza appello le passioni e le aspirazioni dell’uomo, ma solo quelle che non hanno per orizzonte la sua radicale finitezza. Egli sembra condannare la vita, interessarsi solo alla sua lenta e inesorabile decomposizione eppure, già in queste prime opere, si può cogliere un profondo amore per tutto ciò che in essa è grande e nobile. Così la maturità “epica” della sua produzione artistica viene a coincidere con la progressiva capacità di liberarsi da questo dolore, da questo profondo pessimismo, almeno quel tanto che basta a poterlo contemplare riflessivamente e, quindi, esprimere artisticamente. Un distacco che gli consente di descrivere con una oggettività tutta epica questa sofferenza, di dargli un nome, una precisa fisionomia storica sì da farne un che di finito e, quindi, di non estraneo all’orizzonte dell’uomo. In altri termini, solo elevando, dando un significato generale al suo torbido patimento giovanile, solo portando a un livello universale i suoi personalissimi sentimenti Brecht è riuscito a fondere in una ricca personalità artistica le peculiarità del suo combattivo e insaziabile spirito critico con il momento più astratto della sua Weltanschauung. Proprio in ciò sta il segreto di quella perfetta riuscita sul piano artistico che sembra spesso mancare negli scritti teorici in cui i due opposti momenti giungono di rado, solo per brevissimi momenti, a quella unificazione che comporta il potenziamento critico di entrambi.

[4] Di fronte a chi condannava in blocco come decadente quasi tutta l’arte “tardo borghese”, Brecht rispondeva con la consueta ironia: “è fuor di dubbio: la letteratura non è in fiore, ma si dovrebbe evitare di pensare facendo ricorso a vecchie metafore. Il concetto di fioritura è unilaterale. Non è lecito vincolare il valore di un’opera, la valutazione della sua forza e della sua grandezza all’idea idillica di una fioritura organica”. Brecht, B., Gesammelte…, op. cit., vol. XX, p. 26.

[5] Brecht a tal proposito osserva: “certo è chiaro che nessuno possa dubitare della rovina dell’arte se ritiene che sia vera arte quella che al giorno d’oggi viene percepita come tale” Brecht, B., Scritti teatrali, a cura di Castellani, E., 3 voll., Einaudi, Torino 1975, p. 129.

[6] Prima ancora che nei suoi scritti teorici, Brecht ha dato una esemplare testimonianza di ciò nella sua produzione artistica. I due elementi essenziali di ogni opera, l’immagine e il pensiero, nei suoi lavori appaiono, infatti, inevitabilmente in contrasto, ognuno di essi sembra in grado di salvaguardare la propria esistenza solo contrapponendosi all’altro. Tutta la sua produzione è, così, attraversata e caratterizzata dalla profonda coscienza e dalla instancabile denuncia di questa dolorosa scissione, di questa piaga che tormenta il poeta, ma solo come manifestazione esemplare di quell’implacabile tormento che, in maniera spesso incosciente, travaglia ogni uomo moderno. Le sue opere non solo manifestano esemplarmente questa contraddizione, ma sono tutte intrise dal sentimento riflesso, dalla forza negativa di essa.

[7] B. Brecht, Diario…op. cit., p. 244.

[8] Ivi, p. 153.

[9] Brecht, B., Scritti teatrali, vol. II, p. 185.

22/04/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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