The Young Pope

Una serie con tutti i grandi pregi e i grandi difetti del cinema di Sorrentino, che coniuga una sacrosanta critica radicale dei vertici della chiesa cattolica con un secentismo programmatico


The Young Pope

The Young Pope, serie tv in 10 episodi, italo-franco-spagnola di genere drammatico ideata e diretta da Paolo Sorrentino, trasmessa nel 2016 su Sky Atlantic; dopo aver raggiunto il pieno successo con La grande bellezza, Sorrentino ha dato pieno sfogo al suo secentismo programmatico e alla sua ripresa di motivi felliniani in questa serie al cui centro vi è una sorta di antipapa del gesuita Francesco, un Ratzinger statunitense portato alle estreme conseguenze nel suo delirio di onnipotenza. Se da una parte si può cogliere una critica nella rappresentazione del Vaticano come universalmente animato da volontà di potenza, in realtà non vi è una reale critica, ma piuttosto una naturalizzazione di tale attitudine. Anche perché chi non è animato dalla volontà di potenza appare come un “malnato” destinato a soccombere. Il Papa – con cui Sorrentino sembra impersonarsi e pare far di tutto per far impersonare lo stesso spettatore, non utilizzando l’effetto di straniamento – sembra portatore di un nichilismo estremo e attivo, dinanzi a quello del suo antagonista, il cardinale Voiello, che sembra impersonare l’uomo del corso del mondo. Mentre il Papa tende ad assumere i tratti del superuomo di Nietzsche. Resta la completa inverosimiglianza dell’assunto, per cui un signor nessuno, eletto papa, può comportarsi come un despota dell’antico oriente, cancellando millenni di storia di emancipazione dell’umanità. Ma a Sorrentino sembra ormai interessare esclusivamente il dar libero sfogo – una volta conquistato il successo – al proprio delirio di onnipotenza, che si esprime in un assoluto “cinismo (da cretino”, aggiungerebbe Marx) e in un narcisismo sempre più sfacciato, tanto che non fa che rimirarsi compiaciuto la lingua. Senza rendersi conto che tale secentismo programmatico a forza di essere ripetuto finisce con lo stancare e far venire, il più che legittimo sospetto, che Sorrentino – al di là del suo abnorme egotismo – non ha proprio più nulla di sostanziale da esprimere e comunicare.

Nel terzo e nel quarto episodio il formalismo prende sempre più il sopravvento, anche perché il regista, non avendo nulla di sostanziale da dire e quasi nulla da aggiungere rispetto alle prime due puntate, si concentra nell’ammirarsi la lingua. Da questo punto di vista si può dire che è stato un vero peccato che il regista si sia fatto contaminare subito dal successo e si sia immediatamente allineato al pensiero unico dominante, asservendosi all’industria culturale, in quanto ha comunque un talento fuori della norma. Se quest’ultimo si sintetizzasse con un contenuto sostanziale all’altezza, come nel Divo, potrebbe realizzare altri film che meriterebbero di essere visti e ricordati. D’altro canto, per quanto lo stesso Sorrentino riconosca che il Divo è il suo miglior film, ha svenduto quanto di sostanziale avrebbe potuto produrre per il piatto di lenticchie di una gloria in ultima istanza futile e passeggera, che il più delle volte è concessa proprio a chi avendo delle qualità, le sacrifica completamente per allinearsi al pensiero unico dominante. Così, oltre alla crescente noia, del terzo e quarto episodio restano da ricordare solo alcuni significativi e realistici elementi di critica alla Chiesa cattolica, a partire dal fatto che una seria campagna volta a estirpare non solo la pedofilia, ma anche l’omosessualità dal clero, porterebbe all’immediato crollo di questa millenaria istituzione.
In secondo luogo, vi è la sacrosanta denuncia dell’ipocrisia tipica del gesuitismo, che ha ormai preso persino il controllo del papato, per cui l’uomo è condannato a peccare inevitabilmente e costantemente. La cosa importante, quindi, dal punto di vista della Chiesa è indurlo a peccare a favore di questa istituzione; in tal modo, l’assoluzione è assicurata e anche ogni scandalo è occultato. Anche perché all’istituzione vaticana non interessa che gli scandali emergano, ma piuttosto che ci siano per poter ricattare qualsiasi forma di anticonformismo o di libertà di pensiero. Altro aspetto significativo è che il vero credente è rappresentato come un povero ingenuo, facilmente manipolabile dai vertici della Chiesa che, naturalmente, non sono così sciocchi da non sapere che la religione è per loro essenzialmente un instrumentum regni. Infine, vi è una sana parodia della religiosità popolare legata alle apparizioni della madonna, che però la chiesa o si vede costretta ad accogliere nel proprio seno, in quanto non può rischiare che la religiosità popolare possa svilupparsi al di fuori del proprio controllo, o deve reprimere fino in fondo.

La quinta e la sesta puntata non fanno che sviluppare ed esasperare gli aspetti positivi e gli aspetti negativi degli episodi precedenti, senza aggiungere niente di realmente nuovo. La critica dall’interno degli aspetti strutturalmente reazionari del Vaticano e del cattolicesimo vengono ulteriormente sviluppati. Vengono così meno tutti i falsi miti del cattolicesimo. A cominciare dall’amore del papa per i bambini, proseguendo con il presunto eroismo dei missionari, per finire con l’evidenziare l’opportunismo anche dei settori più radicali dei francescani che, pur di non perdere i loro privilegi, non svolgono neanche più la funzione di critica verso i pontefici più apertamente dispotici. Dei missionari si mostra come, proprio perché lontani dai centri di potere della chiesa e a contatto con popolazioni molto povere, possono dare libero sfogo a tutte le proprie perversioni, a cominciare da quelle ben note di ordine sessuale. D’altra parte proprio perché il protagonista del film, il giovane Papa, non fa altro che rendere esplicito l’aspetto profondamente reazionario del Vaticano e del cattolicesimo, senza la consueta ipocrisia che lo occulta e lo rende socialmente ed eticamente accettabile, finisce in modo più o meno volontario o inconsapevole per sviluppare una sorta di apologia indiretta dei settori più classici, ipocriti, politicanti e affaristi che governano il Vaticano, prima della svolta reazionaria, nietzschiana del giovane Papa. Quest’ultimo, da parte sua, finisce per conquistare paradossalmente una qualche ammirazione da parte del pubblico meno consapevole, visto che per i suoi fini reazionari sembra volerla fare finita con gli aspetti più ipocritamente celati, ma socialmente indifendibili, del cattolicesimo. La sua posizione è assimilabile a quella del ribelle aristocratico Nietzsche, che può apparire persino rivoluzionario a uno sguardo ingenuo che coglie soltanto gli aspetti di critica eversiva dell’esistente e i tratti affascinanti del suo anticonformismo, senza comprendere che sono in entrambi i casi funzionali a un progetto coerentemente reazionario. Il problema è che lo stesso regista, come del resto molti intellettuali tradizionali borghesi, per il suo snobismo non se ne rende conto.

Settimo e ottavo episodio non sono in grado di dare un reale sviluppo alla serie. Anche se gli elementi positivi e negativi tendono ulteriormente ad accentuarsi. Innanzitutto emerge l’assenza di fede in dio del papa, che se ne serve, cinicamente, esclusivamente per i propri fini. Cui si aggiunge un’altra significativa denuncia della assurda ammirazione di cui gode la chiesa cattolica, sebbene sia essenzialmente un instrumentum regni. Abbiamo, inoltre, due nuove perle che mostrano cosa si nasconda dietro l’aspetto apparentemente migliore del cattolicesimo, ovvero le missioni nei paesi poveri. Vediamo, innanzitutto, che sebbene tali paesi siano spesso governati da veri e propri criminali, la chiesa pur di sviluppare le proprie missioni, ne copre le nefandezze. In secondo luogo, vediamo come in tali missioni i membri della chiesa oltre a fare operazioni di marketing speculano sulla miseria, imponendo il proprio dominio dispotico. Dinanzi alla scoperta di tali nefandezze, abbiamo un primo mutamento dell’attitudine reazionaria del papa che, per recuperare i fedeli inizia finalmente a usare la consueta e ben sperimentata ipocrisia. Per cui critica la suora ultra corrotta, dal momento che dà scandalo dinanzi allo stesso clero locale, ma in modo snobistico, senza toccare le questioni sostanziali. Non fa nulla, nonostante la campagna omofoba, per contrastare il fenomeno della pedofilia. Infine, anche quando si vede costretto a prendere le distanze dal despota africano – per altro già ampiamente screditato a livello internazionale – ritira fuori i buoni sentimenti, l’amore per il prossimo e per la pace in astratto, senza ovviamente denunciare i reali colpevoli, ma in definitiva coprendoli con l’affermare che siamo tutti egualmente colpevoli. Infine, abbiamo la cattolicissima famiglia del Vaticano – che dovrebbe essere stata graziata per intercessione del papa e che dovrebbe essere gratificata dall’interesse che dimostra per il loro bambino – costretta a fuggire in gran segreto non potendo più sopportare le attenzioni sempre più morbose del pontefice. Dall’altra parte, emerge sempre più chiaramente che Sorrentino non ha nulla di significativo da dire e, perciò, continua a costruire scene assolutamente inverosimili solo per mettere in luce le sua abilità stilistiche, che restano meramente formali. In tal modo la serie diviene sempre più pesante e noiosa.

Nel nono episodio la serie raggiunge il suo punto più basso, sebbene sia incentrata su una tematica sostanziale, ovvero la pedofilia dei vertici della chiesa e il potere ultraconservatore che esercitano e che ne impedisce la messa in stato di accusa. Nell’episodio è paradossalmente il papa a pretendere un’indagine il più possibile approfondita volta a incastrare l’arcivescovo statunitense pedofilo. Il che è ovviamente del tutto irrealistico, inverosimile e sostanzialmente rovescista. Tanto più che nella puntata la mancanza di fede, sempre più conclamata nei vertici del Vaticano, trova una via di fuga nella credenza più irrazionale e becera nei miracoli. Per cui il papa, pur sostenendo apertamente di non credere in dio, è considerato un santo in quanto, venuto a sapere dei delitti terribili compiuti dalla suora che gestiva il maggior numero di missioni cattoliche nel mondo, invece di ordinare una inchiesta, si mette platealmente a pregare in un autogrill, dinanzi ai tir, facendo “per miracolo” morire la peccatrice. In tal modo, con un intervento mafioso di dio, si elimina la mela marcia e si evita lo scandalo della chiesa. Per altro, con la decima puntata il papa sembra recuperare la popolarità mediante la pubblicazione delle lettere d’amore scritte e mai inviate a una ragazza di cui si era invaghito prima di seguire la carriera ecclesiastica. Ed ecco il vero “miracolo”, ossia gli strumenti egemonici della classe dominante subito pronti a rilanciare la figura – entrata in crisi per le sue posizioni ultra reazionarie – del papa, in quanto involontariamente mostra un aspetto umano e allo stesso tempo ligio alle regole, del tutto anacronistiche e maschiliste, del celibato dei sacerdoti. Infine, il papa raggiunge l’apoteosi della popolarità, con un discorso farneticante su una pseudo santa, che manda in visibilio la folla con il semplice asserire che dio non è altro che un sorriso. Emerge così l’ateismo religioso del regista che, in quanto parte della classe dominante, sa bene che dio non esiste, ma sa altrettanto bene che la chiesa, i presunti miracoli, la religione sono un irrinunciabile instrumentum regni.

Infine, nell’assurdità della spiegazione pseudo-psicologica ultra banalizzata, per cui tutte le azioni del papa sarebbero da ricondurre all’abbandono da parte dei genitori quando era bambino – secondo la concezione ultra conservatrice per cui la verità è da ricercare in un passato remoto sostanzialmente mitologico – vi è una svolta significativa quando la madre, al centro della apoteosi della folla, volta nuovamente le spalle al figlio. L’unica spiegazione data a questo gesto di ripudio è che, presumibilmente, la donna presentata come una hippy non possa accettare le posizioni ultra reazionarie portare avanti dal figlio che ha abbandonato. Naturalmente in ciò non vi è né una prospettiva, né una catarsi, ma presumibilmente il vano tentativo di un intellettuale di regime di presentare un’epoca progressista come un passato non solo ormai definitivamente superato, ma anche causa di fondo di tutti i mali del presente.

04/07/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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