Recensioni di classe

Brevi recensioni critiche agli ultimi film divenuti fruibili sul web


Recensioni di classe Credits: https://www.cinematografo.it/recensioni/criminali-come-noi/

Tintoretto un ribelle a Venezia di Giuseppe Domingo Romano, documentario, Italia 2019, voto: 7+; finalmente un documentario su un artista pienamente godibile e realizzato a regola d’arte. Evitando le generalmente insostenibili docu-fiction, il documentario ricostruisce accuratamente il personaggio storico e l’intero arco di sviluppo della propria opera pittorica. Il film è decisamente consigliabile anche dal punto di vista didattico, in quanto favorisce la fruizione estetica dell’opera di questo pittore d’eccezione. D’altra parte, gli autori del documentario, essendo privi di un metodo scientifico indispensabile a interpretare la storia, ovvero snobbando il materialismo storico, non appaiono in grado di far comprendere adeguatamente i risvolti storici e sociali dell’opera di Tintoretto ed egualmente superficiale e formalistica rimane la ricorrente definizione di pittore ribelle. Anche perché non determinando rispetto a cosa sarebbe stato ribelle, diviene difficilmente comprensibile tale qualificazione del pittore.

King Lear di Richard Eyre, Gran Bretagna film per la tv 2018, voto: 6,5; riuscito ed efficace riadattamento di un classico immortale di Shakespeare per la televisione, riambientato ai giorni nostri. L’ambientazione contemporanea non stona e rende certamente maggiormente efficace la fruizione televisiva di questo magnifico dramma. Gli attori danno un’ottima prova di sé. Manca, però, una reinterpretazione critica, volta a superare, con il necessario effetto di straniamento, le posizioni di Shakespeare che oggi non possono che apparirci conservatrici o, addirittura. reazionarie. Anche in questo caso la grande lezione dei riadattamenti brechtiani pare andata perduta.

Criminali come noi di Sebastián Borensztein, Commedia, Avventura, Argentina e Spagna 2019, voto: 6+; film abbastanza godibile con un contenuto apertamente anarchico. Tocca alcuni aspetti significativi, come l’organizzazione di cooperative per dare impiego a disoccupati e sottoccupati, la tragica crisi economica dell’Argentina e i furti di banche e speculatori ai danni dei piccoli risparmiatori e la necessità per i subalterni di rimettersi in piedi dopo i colpi subiti e lottare in modo organizzato. D’altra parte, la concezione di fondo, ispirata ancora a un socialismo utopista, tende a idealizzare la presunta soluzione dei problemi della società capitalista mediante l’autorganizzazione di cooperative, con l'obiettivo di riconquistare un tenore di vita da piccolo borghese d’antan. L’azione diretta e violenta contro il singolo finanziere corrotto non solo appare inverosimile e non universalizzabile, ma è decisamente antieconomica, anti-etica e amorale. Il gruppo, completamente interclassista, non esita – per riconquistare con la forza i propri risparmi sottratti da un lupo di borsa – a far saltare in aria l’impianto elettrico che illumina tutta la zona, senza nessuno scrupolo o problema di coscienza. Anzi, nella prospettiva dell’individualismo piccolo borghese del film, l’azione vien presenta, addirittura, come eroica ed esemplare.

#AnneFrank vite parallele di Sabina Fedeli, Anna Migotto, Docu-fiction, Italia 2019, voto: 6+; toccante e intenso documentario sullo spaventoso genocidio degli ebrei a opera dei nazi-fascisti. Buono come documento didattico per le scuole e non solo, in quanto questi tragici eventi è indispensabili tenerli sempre bene a mente. Il film, oltre a coinvolgere lo spettatore in questi tragici eventi, lascia non poco su cui riflettere. Il principale limite del documentario è che il tentativo di attualizzare le tragiche vicende del passato appare sostanzialmente fallito, in quanto gli autori non hanno il coraggio di mettere in discussione l’attuale ideologia dominante. Quindi di questi tragici eventi del passato non si trae nessun significativo insegnamento rispetto al nostro presente.

Sole di Carlo Sironi, Italia 2019, voto: 6; opera prima piuttosto significativa nel deserto dell’attuale cinema italiano. Vi è finalmente una ripresa di tematiche neorealiste, con una rappresentazione alquanto realistica dello sfruttamento del sottoproletariato da parte della borghesia. C’è anche un accenno di reazione, di riscatto che, però, in un primo momento non appare, verosimilmente, in grado di superare la logica della subalternità. Anche se la conclusione del film presenta, in questa altrimenti desolante vicenda, una qualche catarsi e una prospettiva di superamento della condizione del sottoproletario in quella del proletario, attraverso una storia d’amore fra due subalterni. Il film, che evita meritoriamente ogni caduta nel postmoderno, nell’irrazionale e nel grottesco non decolla, in quanto spesso la prospettiva realista decade in una rappresentazione naturalistica della condizione di vita del sottoproletariato. Anche perché il regista sembra porsi nell’assurda prospettiva di far esplicitare agli stessi sottoproletari la loro drammatica condizione esistenziale.

Antropocene l'epoca umana di Jennifer Baichwal, Edward Burtynsky, Nicholas de Pencier, documentario, Canada 2018, voto: 6; documentario degno di nota per le immagini decisamente suggestive che offre e per le questioni sostanziali che solleva e sui cui invita lo spettatore a riflettere. Si tratta di problematiche davvero complesse, come il rapporto fra uomo e natura, sulle quali le risposte suggerite dal documentario lasciano, purtroppo, molto a desiderare. Mancando del tutto una visione del mondo autonoma da quella dominante e una pur vaga conoscenza del materialismo storico, si parla in generale delle responsabilità umane nell’attuale disastro ambientale, senza cogliere le reali responsabilità di classe e gli inevitabili effetti distruttivi che ha il modo di produzione capitalistico sull’ambiente. Si finisce così per affiancare a un pur valido, ma generico, grido d’allarme sulla devastazione dell’ambiente, la ripresa, per quanto inconsapevole, di motivi reazionari di origine romantica, sviluppati più recentemente da Heidegger, che sostengono la presunta superiorità della natura sull’uomo, in quanto manifestazione del divino e condannano in modo indeterminato e sostanzialmente aristocratico la tecnica.

Western Stars di Bruce Springsteen, documentario Usa 2019, voto: 6-; in questo film, a tratti noioso, Springsteen ci presenta il suo nuovo album, tutto acustico e con l’accompagnamento di una vera e propria orchestra. Springsteen suona nella sua casa sperduta nella prateria, atteggiandosi a cow boys e sempre in compagnia della moglie. Il tono è intimista, elegiaco e nostalgico, quasi rivolto a chiudere il cerchio di una brillante carriera, giunta necessariamente al tramonto. Springsteen è decisamente invecchiato, sembra aver trovato un perfetto equilibrio con il mondo in cui vive. La sua prospettiva è quella che Hegel definisce il regno animale dello spirito. Certo l’individualismo, l’egoismo e i tratti peggiori della società capitalista statunitense sono stati superati, siamo in una dimensione più ampia, collettiva e tendenzialmente universalista. Ma del tutto priva di spirito dell’utopia, di principio speranza, di grandi ambizioni. La prospettiva di Springsteen si è ormai ristretta a portare a termine nel modo più dignitoso i compiti sociali che si è assunto, essere un buon marito e padre di famiglia, un onesto, valente e instancabile lavoratore, una brava persona, ma incapace di sviluppare un’attitudine critica rispetto al mondo in cui vive, ossia il centro dell’imperialismo più aggressivo a livello planetario. Da questo punto di vista la sua posizione rischia di apparire, involontariamente, collaborazionista, anche se riesce a mantenere, a differenza di tanti intellettuali più schierati, una certa connessione sentimentale con le masse popolari sebbene – nonostante il soprannome (Boss) – pare del tutto incapace di svolgere un ruolo di avanguardia.

Aspromonte la terra degli ultimi di Mimmo Calopresti, Italia 2019, voto: 6-; film di denuncia delle condizioni di vita spaventosamente difficili e arretrate degli abitanti dell’Aspromonte negli anni cinquanta. Abbandonati da uno Stato che si manifesta solo per imporre tasse, gli abitanti provano a organizzarsi per far valere i loro diritti. Dinanzi alle istituzioni che, poste sotto pressione, promettono, ma non realizzano nulla, gli abitanti provano ad autorganizzarsi e a sostituirsi allo Stato nella realizzazione della strada che dovrebbe collegare il vecchio insediamento sul monte con il nuovo insediamento sul mare. Tale progetto, in sé piuttosto discutibile, viene duramente osteggiato dagli apparati repressivi dello Stato e da un signorotto locale che dovrebbe rappresentare il potere mafioso. Purtroppo nella conclusione, alquanto inverosimile, il film finisce per dilapidare i buoni intenti iniziali di rappresentare in modo realistico il disagio sociale. Così anche quando l’odierno cinema italiano tenta di riallacciarsi alla grande stagione del neorealismo fallisce, per timore di portare fino in fondo la critica sociale anche in casi limite come quello rappresentato, in cui non si potrebbe davvero farne a meno.

Il lago delle oche selvatiche di Yi'nan Diao, drammatico, Cina 2019, voto: 4; film decisamente mediocre e del tutto superfluo, narra una storia molto particolare, del tutto inverosimile e priva di qualsiasi interesse sostanziale. Il film risente di tutti i difetti del cinema dei paesi capitalisti, a dimostrazione che da questo punto di vista la Repubblica popolare cinese non riesce a essere egemone ed è, al contrario, sostanzialmente egemonizzata. Colpisce inoltre che la grande maggioranza dei film cinesi distribuiti in Italia sia opera di registi che si dimostrano molto critici rispetto alla società e allo Stato del loro paese e, molto spesso, si tratta di una critica – come anche nel film in questione – non condotta da una prospettiva progressista. In effetti, in tali film vengono messi in luce gli aspetti maggiormente negativi di questa società e non emergono mai gli aspetti positivi. Inoltre, anche le critiche non riescono sostanzialmente mai a essere costruttive, in quanto in questi film manca del tutto lo spirito di utopia, il principio speranza e la capacità di individuare, fra le contraddizioni del reale, una prospettiva di superamento, una catarsi.

L’immortale di Marco D’Amore, Italia 2019, voto: 2,5; come ogni sottoprodotto di Gomorra – una delle opere più sopravvalutate della storia, dell’eroe di carta nazionale – anche questo tipico prodotto dell’industria culturale di mediocre qualità italiana è un film decisamente reazionario. Anzi, apertamente rovescista, in quanto invece di denunciare l’assurda persecuzione dell’amplissima minoranza russa in Lettonia, si esalta una presunta lotta di liberazione lettone, che si esprimerebbe nella contesa per il traffico della droga, contro un presunto imperialismo russo, neanche fossimo negli anni più bui della guerra fredda. Inoltre vi è la consueta apologia del protagonista spacciatore di droga, traditore e pluriomicida, che al solito è presentato come un super eroe, addirittura immortale, senza il benché minimo effetto di straniamento. Persino quando massacra, in modo del tutto inverosimile, i sedicente antimperialisti lettoni, dediti al traffico di droga – che tradisce per la seconda volta – dopo aver asserito nel modo più convinto che ammira questi uomini che si batterebbero per un alto ideale. Per altro il protagonista principale, per non parlare degli altri, appare assolutamente incapace a recitare.

20/06/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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