Lukács e l’irrazionalismo

Recensione dell’ultima raccolta di testi lukacsiani elaborata da Antonino Infranca nella quale si analizza la relazione dell’importante filosofo ungherese con due concetti di estrema rilevanza come dialettica e irrazionalismo.


Lukács e l’irrazionalismo

Di sicuro interesse per tutti gli studiosi del grande filosofo ungherese, tra i principali marxisti del XX secolo, è la raccolta di suoi testi sul rapporto tra dialettica e irrazionalismo, curata da Antonino Infranca e edita da poco da Punto Rosso. Il libro si compone di undici saggi che coprono un arco temporale estremamente vasto, che va dal 1932 al 1970, riflettendo l’evoluzione teorica del rapporto del filosofo con il tema dell’irrazionalismo, che ha attraversato tutto il corso della sua vita, e che ha trovato ne La distruzione della ragione una sistematizzazione di estrema rilevanza.

Il testo si apre e si chiude con due saggi su Goethe considerato dall’autore come un precursore della dialettica, in grado di anticipare, seppur in forma embrionale e eccessivamente soggettivistica, il carattere dialettico della storia; nel mezzo vi sono contributi organizzati in rigoroso ordine cronologico che trattano di vari argomenti tra i quali selezioniamo il clima di mobilitazione totale della società prodotto dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, l’irrazionalismo teorico cominciato nella Prussia del XIX secolo, il tentativo heideggeriano di riciclarsi come democratico dopo la sua adesione al nazismo durata fino al termine del secondo conflitto mondiale.

Nel primo saggio Goethe viene descritto nel contesto arretrato della Germania del XVIII secolo, che tenta di risolvere i problemi della dialettica attraverso le antinomie kantiane o l’unità degli opposti ottenuta nell’area del trascendentale, fuori dalla realtà conoscibile; tali divergenze si riflettono nell’opposizione tra idealismo e materialismo, con Goethe che ha una posizione intermedia tra i due, che si manifesta nel suo empirismo. Egli, seguace di Schelling nel ritenere che il campo dell’intuizione intellettuale sia quello in grado di conciliare gli opposti, seppur in stretto contatto con Hegel nel corso della sua vita, non riesce ad abbracciare però la portata rivoluzionaria della dialettica hegeliana, rimanendo fermo a una dialettica che funziona sul piano naturale e individuale e mai sociale, perché riconoscere il ruolo del conflitto nella trasformazione avrebbe significato compromettere il suo ideale di fusione pacifica tra borghesia e nobiltà.

Nel secondo contributo viene analizzata invece la fuga dalla realtà degli intellettuali tedeschi di fronte al clima di mobilitazione totale durante le guerre mondiali, che trova nel romanzo storico la chiave per allontanarsi dall’esistente, narrando fatti lontani nello spazio e nel tempo, che impediscano allo stesso tempo all’artista di sentirsi coinvolto e di non sentirsi totalmente escluso. Tale situazione sarebbe da ricollegarsi indubbiamente all’egemonia prussiana sullo sviluppo nazionale tedesco, che fa dell’antidemocraticità un elemento costitutivo dell’essere tedesco. Lo sviluppo di una società fortemente burocratica, incentrata sul senso del dovere, conduce a occultare i fenomeni corruttivi, o a presentarli come eccezionali in un corpo sociale sano, differentemente da quanto accadrebbe nelle corrotte società occidentali. Ma quanto più si sviluppa la società, tanto più la morale del dovere prussiano risulta priva di senso. L’ungherese cita a tal proposito la rottura di Thomas Mann con questa tradizione. Ma nel testo del 1943 emerge piuttosto come l’hitlerismo sia riuscito a far tesoro della tragicità della situazione e facendo leva su masse disperate dalla galoppante crisi economica, a estremizzare tutti i limiti del prussianesimo, utilizzandoli per creare una morale barbara di sopraffazione e distruzione.

Il terzo saggio, scritto nel 1944 si concentra sulla teoria razziale nazista e sulla capacità del nazismo di fare dei tedeschi un popolo sottomesso totalmente al suo volere, convinto di essere l’unico popolo “prescelto”. Pur nella totale assenza di basi teoriche di riferimento, la teoria dell’ineguaglianza delle razze permette di unificare il popolo e mobilitarlo totalmente contro i nemici della “razza”, veri o presunti che siano. Lukács collega l’emergere delle teorie reazionarie in coincidenza con le tappe di evoluzione nella storia dell’umanità, come avvenuto dopo la rivoluzione francese, definita da Hegel come una splendida aurora. Ma le teorie reazionarie e conservatrici sorte nel corso del XIX e del XX secolo in Germania, che presentavano l’arretratezza germanica come qualcosa di “autentico” e proprio della nazione tedesca non sarebbero mai state in grado di farsi sistema di governo, perché solo con il nazismo, a sostegno di tali teorie, sono stati utilizzati tutti i mezzi di comunicazione moderna, dalla pubblicità alla propaganda. La teoria razziale ha costituito il collante ideologico di tutti questi elementi, costruendo un insieme che fa dell’annientamento di tutto ciò che è straniero alla razza tedesca il riferimento di ogni azione politica. Per questo motivo l’eliminazione del nazismo è precondizione per la salvezza dell’umanità.

Il contributo successivo è stato scritto dopo la liberazione di un campo di sterminio nazista, che ha portato alla luce la realtà dei crimini che tale ideologia aveva prodotto, indicendo tutti a domandarsi come sia stato possibile. Perché si sia prodotto ciò è stato necessario difendere una teoria che permettesse sistematicamente l’eliminazione dei popoli considerati inferiori, che creasse un concetto di “spazio vitale” che faceva dell’Unione Sovietica l’impero coloniale da conquistare per la Germania, ma anche mobilitare centinaia di migliaia di uomini per organizzare la macchina dello sterminio. Il nazismo ha ripreso la tradizione gerarchica guglielmina, estremizzandola fino all’eccesso, conducendo una massa spropositata di uomini a ubbidire al capo, convinta di appartenere a una razza eletta che li faceva carnefici degli inferiori, e ha permesso la più ampia corruzione morale degli uomini. Anche in conclusione a questo saggio si sottolinea l’esigenza che il nazismo sia posto in condizione di non nuocere ulteriormente all’umanità.

Dopo un breve saggio sull’utilità della disperazione come ideologia per l’egemonia borghese vi è un interessante testo sul tentativo di riciclaggio democratico di Heidegger, tra i più ferventi sostenitori del regime nazista. Il suo testo contro l’umanesimo, volto a riabilitare l’esistenzialismo, viene duramente criticato dall’autore per il suo eliminare le contraddizioni della società, così ben analizzate da Marx. In più Heidegger non considera l’essere come qualcosa che può essere in relazione con l’esistente, ma comprensibile solo a partire da se stesso. La storicità dell’essere viene invece ridotta alla sterile contrapposizione tra storia autentica e volgare, la vita dell’uomo a qualcosa di autentico solo astraendosi dal mondo, creando una supposta terza via tra materialismo e nichilismo della disperazione, che nel “pensiero originario”, quello che rifiuta la società moderna e vede nel progresso sociale una discesa invece che un’ascesa, trova la giustificazione ai crimini dei suoi discepoli, i quali, se hanno commesso delitti, lo hanno fatto solo in una dimensione inautentica dell’essere, irrilevante per la sua filosofia.

Successivamente troviamo il testo di una seduta sulla ricerca hegeliana, del gennaio 1949, nella quale fu invitato Lukács per esporre il suo punto di vista sulla relazione tra Hegel e Marx, da lui descritta nel libro Il giovane Hegel. Egli si concentra nel suo intervento su tre temi: Hegel e l’economia politica, la relazione tra Fenomenologia dello Spirito e il pensiero di Hegel e quella tra ricordo e esteriorizzazione. Sul primo punto il filosofo ungherese rileva come Hegel analizzi le contraddizioni della società capitalistica attraverso lo studio della teoria economica di Adam Smith e consideri il lavoro un qualcosa di teleologico, organizzato dall’uomo per i suoi fini. La Fenomenologia rappresenta per l’autore la sistematizzazione della filosofia hegeliana, un riassunto del suo idealismo oggettivo. L’analisi hegeliana dell’esteriorizzazione coglie in forma velata la questione marxista del feticismo della merce e della cosificazione delle relazioni sociali, ma confonde lavoro con lavoro capitalista, non cogliendo che l’oggettività non è duplice ma unitaria, non vedendo la dimensione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

L’ultimo testo, che come detto anteriormente è in relazione con il primo, è l’intervento dell’ungherese a una conferenza a Francoforte nella quale egli ricevette il premio Goethe. In questa breve discussione Lukács definisce Goethe come un precursore, seppur inconsapevolmente, del marxismo, per la loro comune lotta per il “regno della libertà”, avversario di quel “regno della necessità” che Marx individua come preistoria umana. L’elemento che ha permesso all’autore di comprendere Goethe è stato però l’interpretazione marxiana di Omero, inteso come artista capace di descrivere gli elementi fondamentali della preistoria dell’umanità, legata alla necessità, ma in lotta per la sua emancipazione da essa e per conquistare il suo “regno della libertà”.

In conclusione ci sentiamo di consigliare vivamente la lettura di questa raccolta di saggi, non solo a coloro che si occupano di studi lukacsiani per approfondire e ampliare la bibliografia già in loro possesso. Ma soprattutto ne indichiamo la lettura a tutti coloro che ancora oggi ritengono la battaglia contro l’irrazionalismo un elemento fondante della lotta teorico-politica contro l’avanzata politico-filosofica delle destre reazionarie e conservatrici, e che al tempo stesso vogliono chiarire gli equivoci che spesso anche a sinistra conducono a considerare Heidegger come un interlocutore di tutti coloro che lottano per l’emancipazione umana.

08/01/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Matteo Bifone

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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