Loro 1 di Paolo Sorrentino, Italia 2018, voto: 4-
Una cocente delusione per chi si aspettava finalmente un bel film, quanto meno all’altezza de Il divo, sul principale esponente della classe dirigente della Seconda Repubblica liberista. Ci si aspettava un film necessariamente scomodo visto il soggetto, senza contare le più recenti sentenze sulla trattativa Stato-mafia o le ultime intercettazioni di Totò Riina, tanto più che per viltà era stato rifiutato dal festival di Cannes. Un soggetto scottante, al punto che Moretti ne Il caimano aveva finito per fare più un film sulle difficoltà di realizzare una pellicola su un tale soggetto, invece che tentare di realizzare un film su Berlusconi.
Piuttosto che accettare la sfida, cercando di mantenere per quanto possibile la schiena dritta – come pur aveva coraggiosamente tentato di fare ne Il divo – Sorrentino preferisce la più comoda posizione del cameriere che si inchina per sbirciare dal buco della serratura la vita privata, necessariamente immersa nella tenebra del quotidiano, del personaggio storico-universale di cui si è posto al servizio. Il risultato non poteva che essere squallido, nonostante il secentismo programmatico merito soprattutto del direttore della fotografia. Tanto più che per oltre la metà del primo film, dal punto di vista del cameriere ci sono narrate le gesta del ruffiano tarantino che cerca di affermarsi nel mondo di “coloro che contano”, ovvero il più sordido e meschino ambito di nani e ballerine (escort) in cui sguazzano i politicanti, i Loro del titolo, ossia la corte di Lui.
In tal modo, risalendo dal gradino più basso il sordido arrivismo, spacciato per meritocrazia nel mondo rovesciatodella seconda Repubblica, arriviamo finalmente a raggiungere il suo “ineffabile” vertice, anche Lui colto nell’attitudine di voyeur, cui si vuole costringere l’intero pubblico.
Come già Il divo, anche Lui è impersonato dal mattatore Toni Servillo, che riesce solo fino a un certo punto a smarcarsi dall’ingombrante personaggio chiamato a interpretare, sviluppando quell’effetto di straniamento indispensabile per assumere un’attitudine critica e non al servizio del personaggio che si interpreta. Così, come sosteneva ipocritamente Michele Placido, nel ruolo del sordido attore chiamato a interpretare Berlusconi ne Il caimano, un grande attore non può che portare il pubblico a impersonarsi con il personaggio, per quanto negativo, che interpreta.
Così il pubblico si trova costretto nella miserevole condizione di impersonarsi nel Lui che cerca, altrettanto ipocritamente, di riconquistarsi la fiducia della moglie – che continua impunemente a tradire – anche perché l’unico altro punto di vista in cui cercare riparo, resta la comoda posizione del regista-cameriere inginocchiato a spiare maliziosamente le necessariamente miserevoli gesta della vita quotidiana, in cui persino il personaggio storico-universale si trova ridotto a mero uomo senza qualità prigioniero di un eterno presente.
Al di là dell’inarrivabile Lui – in cui si ripete a livello di farsa la tragedia di Re Sole – e della sua sordida corte di lestofanti, lenoni, escort, nani e ballerine, con la vistosa assenza di mafiosi e pidduisti, abbiamo soltanto i Loro, ovvero la sua corte dei miracoli, impersonata da un suo ex ministro che al contempo, fra un salamelecco e l’altro, tenta vanamente di fargli le scarpe, e infine le Lei, anche se sarebbe più appropriato parlare di Esse, ossia le donne tutte completamente reificate e unicamente tese a conquistarsi il posto di escort di Lui o di un ancor più laido e inquietante personaggio – che impersona i poteri forti, che agiscono per definizione dietro le quinte – conosciuto con il soprannome di Dio. Al punto che ruffiani e escort-ballerine raggiungono l’apice delle proprie aspirazioni, tanto da pronunciare per ben due volte il fatidico faustiano “fermati è bello” nella scena orgiastica, preparata in tutta la prima metà inutile del film, per ottenere anche un ruolo di semplice comparsa nell’harem di Lui.
Siamo così nel pieno centro di quella capacità da regista-prestigiatore – di cui si fa vanto il nostro Lui in un improbabile didascalico dialogo con il nipotino – ovvero di far apparire il più navigato dei politicanti, divenuti classe dirigente della seconda repubblica come l’uomo qualunque, che cerca di riconquistarsi la fiducia della moglie – nel ruolo della mantenuta di lusso – facendogli intonare dallo stesso autore la canzone del loro primo bacio. Abbiamo così di fronte la sconcezza di presentarci il caimano, nella sua più improbabile metamorfosi, nelle vesti del marito romantico. Altro che dalla tragedia alla farsa, qui siamo alla barzelletta involontaria del cortigiano che rappresenta il Reagan italiano – divenuto a sua volta fonte d’ispirazione a livello internazionale fino a Trump – nella sua tipica attitudine di marito romanicamente intento a fare la corte alla propria moglie.
In questo caso il programmatico punto di vista del cameriere si muta nel punto di vista ancora più raso terra del cortigiano che – invece di denunciare il nipotino del mago del celebre racconto [Mario e il mago], attraverso cui Thomas Mann metteva in guardia dinanzi alla catastrofe che si annunciava con il ventennio fascista – ci mostra il sedicente lato umano del caimano. Del resto, come è noto, questo animale è in grado di catturare le proprie prede, proprio grazie alla sua capacità di apparire del tutto innocuo.
D’altra parte, come è risaputo, è proprio la parabola del bunga bunga, posta come unico centro di gravità del film, a costituire il tallone di Achille del nostrano caimano. Il suo vantarsi di dormire appena tre ore al giorno e il fare sesso tutte le notti, ha finito con il fargli recitare sempre peggio la sua funzione di rappresentanza di quegli stessi poteri forti che, dopo averlo costretto a “scendere in campo”, dopo aver fatto piazza pulita con Mani pulite della precedente e ormai troppo costosa classe dirigente, lo ha scaricato nel momento in cui continuandosi ad addormentare regolarmente ai summit internazionali, ha consentito il più violento attacco speculativo contro il proprio paese. Con lo spread alle stelle e il paese ormai in ginocchio dinanzi alle sempre più implacabili agenzie di rating, il vecchio e cotto caimano, ha finalmente lasciato il posto, tra i festeggiamenti dei ben pensanti, alla consueta macelleria sociale del governo tecnico.
Ogni retroscena, ogni aspetto politico della vicenda narrata, che proprio in questi elementi avrebbe potuto avere i propri momenti di interesse, è programmaticamente tagliata fuori dal film, che ci presenta il caimano nella sola veste del gran maestro dell’ordine del bunga bunga, quando non intento a riconquistare la fiducia della moglie per meglio continuare a tradirla.
Il ridurre la tragica vicenda del berlusconismo – cui ha dovuto ricorrere la classe dominante per consentire in modo indolore il passaggio dalla prima Repubblica democratica nata dalla resistenza contro il nazi-fascismo, alla seconda repubblica neoliberista e bonapartista – alla sua tragicomica conclusione nella sordida vicenda del bunga bunga, non può che favorire la riduzione della vicenda storica italiana contemporanea in una bagatella, che non potrà che a sua volta favorire i cliché a livello quantomeno europeo di un’Italietta in cui anche i massimi rappresentanti delle istituzioni “democraticamente elette” sono completamente prigionieri di un clima da basso impero.
Naturalmente in questa visione del mondo grottesca – attitudine comune a buona parte degli odierni registi italiani che non sembrano possedere altro colore nella loro tavolozza – animata da un autocompiaciuto “cinismo da cretino” (per dirla con Marx), non vi è nessuna prospettiva di superamento, neanche un briciolo di catarsi, conclusione necessaria di ogni tragedia che si rispetti. Nel film le uniche critiche che vediamo rivolte al caimano, provengono dalla moglie, in una prospettiva tutta interna alla “normale” dialettica di un rapporto di coppia, ormai in crisi, o da parte di un suo ex ministro che mira – del tutto vanamente – a fargli le gambe, essendo solo una brutta copia in sedicesimo di Lui.
L’unico personaggio “positivo” – in un paese che pare animato unicamente da politicanti, ruffiani, nani e ballerine ridotte a escort – è il vecchio padre del giovane arrivista tarantino, che non può che limitarsi a osservare sconsolato come il figlio, in rappresentanza pare delle giovani generazioni, abbia gettato alle ortiche gli antichi sani valori del passato. Anche perché erano i valori dei perdenti, dei subalterni che vengono intesi, dalle giovani generazioni, come “la morale degli schiavi” di cui è indispensabile liberarsi per poter entrare nella corte dei Loro, ovvero dei politicanti ridotti a cortigiani di un Re sole che ha assunto le tragicomiche sembianze del vecchio caimano.
Del resto sono ormai passati gli anni de Il caimano di Nanni Moretti, quando Berlusconi – agli occhi della sinistra liberale rappresentava il male assoluto – tanto da far ingoiare i più indigesti rospi dei governi tecnici, esperti in macelleria sociale. Siamo ormai ai Berlusconi di seconda generazione, che dopo aver rottamato quel poco di sinistra che ancora rimaneva nel Partito democratico, hanno puntato sulla grosse Koalition de noantri, ovvero ai patti del Nazareno. Tanto che il caimano è divenuto il più fedele e credibile alleato per poter sconfiggere il tentativo di rilanciare la sinistra e le forze populiste.