La concezione gerarchica della morale di Nietzsche

Dalla lotta per la restaurazione della schiavitù alla lotta contro la morale del gregge, in nome della morale dei padroni


La concezione gerarchica della morale di Nietzsche Credits: https://intellettualemoderno.com/2019/02/26/nietzsche-poeta-il-lamento-di-arianna/

Segue da “Per una biografia politica di Nietzsche

Dal suo punto di vista schiettamente e radicalmente reazionario, Nietzsche tende a considerare come del tutto secondario il conflitto che vede contrapposti, nella moderna società capitalista, il padronato liberale al proletariato socialista e comunista. Entrambi questi gruppi sociali e partiti politici, in effetti, ritenendo come irreversibile la rivoluzione industriale sono oggettivamente un ostacolo per i reazionari come Nietzsche che si battono senza tregua per la restaurazione del modo di produzione schiavistico, dominante nell’antichità anche in Europa e nell’epoca di Nietzsche ancora diffuso nel mondo coloniale. Così Nietzsche – pur realisticamente consapevole della necessaria alleanza tattica dei reazionari aristocratici con i capitalisti liberali, per meglio schiacciare nel sangue la lotta per l’emancipazione condotta da masse popolari, donne e popoli coloniali – ritiene necessario proseguire nella polemica contro tanto i capitalisti liberali, quanto gli operai socialisti dal momento che non riconoscerebbero l’assoluta necessità di affidare il lavoro a una casta di schiavi, la cui terribile condizione permetterebbe a un numero ristretto di “uomini olimpici” la produzione del mondo dell’arte e di quella che Nietzsche definisce l’autentica civiltà. Al massimo Nietzsche arriva a concedere che i proletari dei paesi a capitalismo avanzato se vogliono sottrarsi al loro destino di schiavi, devono necessariamente battersi in prima persona negli eserciti imperialisti, indispensabili per ridurre in uno stato di schiavitù, quanto meno gli abitanti dei paesi extra occidentali.

Molti interpreti sedicenti di sinistra, che amano snobisticamente definirsi nietzschiani, cercano di giustificare queste continue prese di posizione reazionarie di questo grande pensatore, di cui subiscono il fascino, come delle metafore, anche perché avendo rotto i ponti con il materialismo storico fanno di tutto per decontestualizzare tali prese di posizione, sfruttando la loro rivendicata e conclamata inattualità. In realtà, se tali temi possono apparire oggi, dopo la sconfitta del nazifascismo, che aveva cercato di rilanciarli su scala mondiale, un residuo di un tragico passato, ben diversamente apparivano nell’epoca di Nietzsche. Quest’ultimo, in effetti, si forma proprio negli anni della sanguinosissima guerra di secessione, scatenata dagli Stati del sud degli Usa proprio per difendere l’istituto della schiavitù. Sebbene proprio l’asprezza della guerra costringa il nord capitalista, per poter vincere grazie al determinante aiuto degli afroamericani, a dichiarare abolita la schiavitù, permane ben oltre la morte di Nietzsche negli Stati del sud una situazione di sostanziale apartheid. Anche l’abolizione della servitù della gleba in Russia (1861) avviene solo negli anni della giovinezza di Nietzsche e anche in questo enorme paese tale misura non migliora, anzi in certi casi addirittura peggiora le condizioni di vita della grande maggioranza degli abitanti del paese occupati nel lavoro manuale della terra. Per poter avere l’agognata libertà, in effetti, i servi dovevano riscattarsi presso i loro proprietari, i padroni, senza possederne generalmente i mezzi (monetari) necessari. Inoltre la liberazione dei servi, significa nei fatti anche la loro liberazione dai mezzi di produzione, ovvero dalla terra gestita in modo collettivistico dai Mir, le comunità di villaggio, che viene privatizzata. Anche in questo caso solo pochissimi contadini furono in grado di acquistare la terra che lavoravano, mentre gli altri divennero braccianti agricoli o esercito agricolo di riserva, costretti a vivere in una situazione sostanzialmente più precaria, dal punto di vista occupazionale e della necessaria riproduzione della forza-lavoro, di quella dei servi della gleba. Inoltre, nel più grande paese dell’America latina: il Brasile, la schiavitù viene abolita unicamente nel 1888, ovvero negli anni della piena maturità di Nietzsche. Servitù e schiavitù, infine, sono ancora preponderanti – anche negli ultimi anni della vita cosciente di Nietzsche – nell’allora immenso mondo coloniale. Del resto non si spiegherebbe altrimenti come ancora, a quasi cinquant’anni dal precipitare di Nietzsche nella follia, Hitler potesse rafforzare la propria grande popolarità nella civilissima Germania, cercando di attuare una spaventosa guerra mondiale, volta a restaurare la schiavitù all’interno della stessa Europa.

Tanto più che, come sottolinea lo stesso Nietzsche in Umano troppo umano – facendo proprio uno dei più astuti argomenti utilizzati dagli schiavisti per contrapporsi al tentativo dei capitalisti di sostituire il lavoro schiavistico e servile con il lavoro salariato – “eppure bisogna ammettere che gli schiavi, sotto ogni riguardo, vivono più sicuri e felici del moderno operaio e il lavoro degli schiavi è ben poca cosa rispetto a quello dell’operaio”. Per altro, realisticamente, Nietzsche – dinanzi alle oggettive difficoltà di reintrodurre la schiavitù in occidente – ritiene necessario introdurre una nuova forma mascherata di schiavitù allora in voga non solo nelle colonie, ma negli stessi Stati uniti, quella dei coolie cinesi, o indiani e africani, ferma restando l’esigenza di condurre un’aspra lotta per ridurre in analoghe condizioni la stessa classe operaia occidentale, non impegnata in prima persona nell’asservimento dei continenti extra-europei.

5. Morale del gregge, morale dei signori e “doppiezza”

Nelle opere della maturità di Nietzsche: Genealogia della morale e Al di là del bene e del male i subalterni, che Nietzsche ama definire i mal nati, non sarebbero animati, come vorrebbero dare a intendere, da elevati sentimenti di giustizia, ma sarebbero in realtà mossi dal basso intento dell’invidia, dal ressentiment, dal rancore, lo spirito di vendetta, carico di quella violenza che sarebbe già presente nella “rivoluzione” cristiana, che diverrebbe esplicita nelle rivolte servili, violenza reattiva che mira all’avvelenamento dell’esistenza e della felicità di coloro che sono oggetto della loro invidia, ovvero i ben nati, intossicandoli con il senso del peccato, caratteristico della morale degli schiavi. Questi ultimi non potendo, in quanto mal nati, godersi la vita come i ben nati aristocratici, per pura cattiveria danno a intendere che il godersi la vita sia peccaminoso. Nietzsche si dice convinto che persino nell’imperativo categorico kantiano si celerebbe un retaggio del furore teologico pretesco e della crudeltà delle virtù ascetiche servili, che sottoporrebbero a impietosa vivisezione l’interiorità del soggetto, tormentandolo con la condanna della carne e il sentimento angoscioso del rimorso. A ciò Nietzsche intende contrapporre una “nuova morale”, fondata non sulla fuga dall’unico mondo reale possibile, in un fittizio paradiso artificiale, ma, al contrario, sulla “fedeltà alla terra” caratteristica dei superuomini, di questa razza di signori-guerrieri destinata a esercitare un assoluto dominio sulle masse dei subumani subalterni, da ricondurre nel presunto stato naturale di schiavitù.

La critica di Nietzsche al classico tema cristiano della vita nel mondo reale quale valle di lacrime, tipica della morale del ressentiment degli schiavi, appare persino più radicale di quella di Marx, enorme è, in effetti, la carica eversiva e dirompente di questa critica del ribelle aristocratico nei confronti dell’ideologia dominante, ma sarebbe evidentemente precipitoso volervi leggere una teoria universale dell’emancipazione. Dunque, lo stesso imperativo morale kantiano è denunciato come il pretesco istinto della crudeltà dei mal nati che si volge all’interno, non potendosi scaricare all’esterno, come nei ben nati. D’altra parte, il fascinoso paganesimo della concezione nietzschiana, proprio all’opposto della prospettiva marxiana, non è in nessun modo universalizzabile. Tanto è vero che, di contro alla morale dei servi, dei gregari, animati da sentimenti di rassegnazione, Nietzsche contrappone la morale dei signori, dei conquistatori, della razza dei ben nati che devono esercitare un dominio assoluto sulle masse. Il sentimento di disagio per questa presunta legge naturale – per la quale la civiltà potrebbe sopravvivere solo se una ristretta élite potesse essere esentata (come nell’antico mondo greco) da qualsiasi forma del degradante lavoro, mediante la riduzione a uno stato di sostanziale schiavitù della massa dei mal nati – si esprimerebbe come ressentiment nelle classi subalterne (fondamento della rivolta degli schiavi) e come compassione nelle classi dominanti che, in tal modo, abdicherebbero, secondo Nietzsche, al ruolo di comando che gli competerebbe. Nietzsche, per altro, respinge sdegnato, ogni interpretazione in chiave individualistica (cara ai nazional-liberali) della sua genealogia della morale, in quanto anche la morale individualistica, al pari di quella collettivistica, avrebbe l’inaccettabile torto di far valere parametri egualitari, rivendicando la medesima libertà per tutti. Perciò non si stanca di sottolineare: “la mia è una morale che mira alla gerarchia”.

D’altra parte, con il passare degli anni la posizione di Nietzsche tenda a radicalizzarsi ulteriormente in senso reazionario e, così, anche la sua critica nei confronti dello stesso cristianesimo si fa sempre più aspra, anche se non smarrisce mai la sua conclamata doppiezza: “noi immoralisti e anticristiani vediamo il nostro vantaggio nel fatto che la Chiesa continui ad esistere”. Se, in effetti, anche il Cristianesimo è considerato da Nietzsche come una forma di ressentiment (ideato dai sacerdoti che, pur appartenendo alla stirpe dei signori, sono dei mal nati e, quindi, sarebbero animati da rancore per i ben nati guerrieri), resta il fatto che questo platonismo per le masse possa continuare a incanalare il rancore dei mal nati nella direzione di un fittizio paradiso artificiale, rendendolo così inoffensivo. Per dirla con Nietzsche: “Io – direbbe il mal nato – soffro: qualcuno deve averne colpa – così pensa ogni pecora malaticcia. Ma il suo pastore, il prete asceta dice a essa: bene così, la mia pecora! Qualcuno deve averne la colpa: ma sei tu stesso questo qualcuno, sei unicamente tu ad averne la colpa (…) questo è abbastanza temerario, abbastanza falso: ma se non altro una cosa in tal modo è raggiunta, in tal modo, come si è detto, la direzione del ressentiment….è mutata” e resa inoffensiva per i ben nati, con i quali Nietzsche, pur essendo indubbiamente un mal nato, continua a identificarsi.

Segue nel numero 260 de La Città Futura on-line dal 7 dicembre.

30/11/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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