Succession è una serie televisiva statunitense ideata da Jesse Armstrong e prodotta da Will Ferrell e Adam McKay. Siamo arrivati alla terza stagione in nove episodi, in Italia è stata trasmessa su Sky Atlantic, la serie è stata premiata come migliore dell’anno, voto: 6. L’episodio pilota della terza stagione parte, come era prevedibile, con il piede giusto: è coinvolgente ed emozionante e riprende la fondamentale critica al grande capitale investito nel settore chiave – per il mantenimento dell’egemonia della classe dominante – della comunicazione. Restano i consueti limiti: la mancanza di una prospettiva di superamento del dramma rappresentato e lo scarso approfondimento su quella vera e propria fabbrica del falso costituita dall’impero mediatico di Murdoch, al quale il plot della serie si ispira.
Come di consueto, il secondo e il terzo episodio costituiscono una decisa caduta di tono rispetto al primo, nel senso che non aggiungono nulla di sostanziale, si ha così la sensazione del déjà-vu e la serie diviene decisamente soporifera. Anche perché non solo la vicenda non conosce sviluppo significativi, ma discorso analogo vale per gli stessi personaggi. Il sospetto che inevitabilmente viene è che tutta la terza stagione rischia di essere funzionale semplicemente ad allungare, diluendolo, il brodo.
Gli episodi quattro e cinque non introducono novità di rilievo rendendo la serie sempre più soporifera. Anche se non mancano spunti di critica molto significativi al mondo del grande capitale, a partire dal profondo razzismo e maschilismo di chi lo dirige, dai crimini che commette verso i subalterni, dal totale disinteresse degli azionisti per tali crimini, di come qualsiasi valore etico, a partire da quelli naturali della famiglia, siano sacrificati all’idolo del profitto privato. Anche l’unico personaggio apparentemente alternativo, il fratello del grande capitalista, si dimostra più un originale filantropo che un reale oppositore. Per cui intende lasciare le sue ricchezze a Greenpeace, ma al contempo non fa nulla per incriminare la sua impresa di famiglia per gli spaventosi crimini perpetrati. Emerge, inoltre, l’enorme potere nelle mani degli imprenditori che controllano i grandi mezzi di comunicazione privati, in grado di esercitare un vero e proprio potere di ricatto persino sul presidente degli Stati Uniti, per coprire e lasciare impuniti i propri gravissimi crimini.
Gli episodi sei e sette sono significativi nella denuncia della classe dominante e dirigente, in particolare repubblicana. Emerge chiaramente come la stessa scelta del presidente avvenga all’interno di nuclei ristretti di grandi capitalisti, mentre il voto popolare serve generalmente per ratificare decisioni già prese. Realmente impressionante la descrizione, estremamente realista, delle posizioni ultra reazionarie in particolari dei repubblicani e della classe dominante che li sostiene. Nel settimo episodio vi è una rappresentazione molto realistica della famiglia di grandi capitalisti, in cui sostanzialmente ogni legame etico anche basilare è completamente stravolto dall’individualismo e dalla ricerca del profitto privato.
L’ottavo e il nono episodio non aggiungono nulla di significativo, al di là di un interessante rovesciamento del titolo stesso della serie. A dominare è ora il rovesciamento della prospettiva iniziale, ossia della necessità di individuare una successione plausibile al vecchio “grande” capitalista. Fallite miseramente le possibilità di passare la mano a uno dei figli, sempre pronti a sbranarsi a vicenda, ma privi delle capacità del padre, quest’ultimo sembra disponibile a lasciare la direzione dell’azienda a un giovane creativo. Solo allora i figli, sempre divisi per il loro egoismo individualista, comprendono la necessità di unire le forze. Emerge così chiaramente la loro consapevolezza di poter fare carriera solo grazie al nepotismo del padre e sono, quindi, immediatamente pronti ad assumere anche le misure più drastiche per toglierlo di mezzo. D’altra parte anche la madre, pensando esclusivamente ai propri interessi immediati, toglie ai figli la possibilità di ricattare il padre. Infine, anche il marito – sempre dominato dalla ricca moglie – della figlia dell’impresario svende quest’ultima al grande capitalista.
È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, drammatico, Italia 2021, distribuito da Netflix, voto: 6-. Film decisamente sopravvalutato, è stato il film italiano che ha ottenuto più riconoscimenti dell’anno. Si tratta di una ripresa dell’Amarcord felliniano, realizzata – al solito – alla maniera del maestro riminese. Il film manca di sostanza, limitandosi a una discreta analisi psicologica all’interno dell’ambito “naturale” della vita etica della famiglia, senza toccare questioni economiche, sociali, storiche e politiche. Il film è alquanto piacevole, ben confezionato, ma non si può certo definire bello. Si tratta di un prodotto ben congeniato dell’industria culturale, finalizzato essenzialmente al profitto e al successo, con un’aura autoriale piuttosto fittizia e posticcia.
Esterno notte, miniserie tv, presentata in anteprima al cinema, di Marco Bellocchio, dramma storico, Italia 2022, con Fabrizio Gifuni, Margherita Buy e Toni Servillo, voto: 6-; opera davvero deludente, anche perché le recensioni lette e il precedente Buongiorno notte avevano lasciato ben sperare. Al contrario, Bellocchio si conferma uno dei registi più assurdamente sopravvalutati della storia del cinema. Anche i pochi aspetti critici e significativi nella ricostruzione cinematografica del caso Moro vengono meno. Il film diviene una apologia indiretta dei protagonisti politici della classe dirigente del tempo che, proprio al contrario, erano significativamente criticati in Buongiorno notte. La ricostruzione storica, in particolare nel rappresentare una società polarizzata per cui vi sarebbe stata una sinistra apologetica del terrorismo e un centro-destra, supportato anche da Berlinguer, schierato a difesa del sistema, appare del tutto inverosimile dal punto di vista storico. Peraltro se appare lodevole il non aver ceduto alle troppe teorie computistiche nella ricostruzione storica, manca sicuramente una seria analisi delle azioni e reazioni sul piano politico nazionale e internazionale dinanzi a una vicenda di indubbio rilievo. Colpisce, infine, come fossero di fatto già presenti in nuce allora i difetti capitali dell’attuale sinistra, la cui componente moderata è divenuta l’ala di centro-sinistra dello schieramento filoimperialista, mentre la sinistra radicale resta prigioniera di una logica minoritaria, settaria e avventurista.
La seconda parte del film segna una decisa svolta e la serie recupera diversi degli aspetti critici presenti nel film da cui è tratta e ne inserisce alcuni nuovi. Per quanto ancora inverosimile la quarta puntata offre un salutare cambio di prospettiva, analizza le contraddizioni interne alla lotta armata e, finalmente, presenta una alternativa reale fra la “sinistra” ultraopportunista e questurina e la “sinistra” avventurista e di fatto anarchica. Ciò apre la strada anche alla possibilità di una conclusione diversa, che porti a compimento la tragedia del rapimento Moro, con cui si apre e di fatto si chiude la serie. La quinta puntata, dal punto di vista della moglie e più in generale della famiglia Moro è la più intensa e a tratti anche la più critica. In essa spicca in particolare l’ottima interpretazione di Margherita Buy, che si affianca alla molto valida prova attorica di Gifuni. Nell’ultimo episodio spicca, in particolare, la contestazione di massa a Cossiga.
Cip e Ciop - Agenti Speciali di Akiva Schaffer, animazione, avventura, azione, Usa 2022, disponibile su Disney +, valutazione: 6-; premiato come miglior film televisivo agli Emmy Awards del 2022, il film è certamente una merce ben confezionata dell’industria culturale, in grado di risultare gradevole, in un’ottica essenzialmente culinaria, tanto ai bambini che agli (accompagnatori) adulti, anche se, in fin dei conti, Cip e Ciop non lascia molto su cui riflettere allo spettatore.
Drive my Car di Ryusuke Hamaguchi, drammatico, Giappone 2021, voto: 5+. Candidato a film più sopravvalutato dell’anno, per gli ingiustificati grandi riconoscimenti ricevuti, il film ha spunti di un qualche interesse dal solo punto di vista formale, in quanto le vicende narrate sono di scarsissimo rilievo e anche decisamente poco verosimili. Anche per la durata davvero inutilmente eccessiva, il film diviene ben presto decisamente soporifero.
Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson, commedia, drammatico, Usa 2021, distribuito da Eagle Pictures, voto: 5; film in tutti i sensi mediocre e senza dubbio ingiustamente sopravvalutato, tanto da essere in lizza addirittura per i premi Oscar in categorie essenziali come: miglior film, miglior regia e migliore sceneggiatura originale. Da quest’ultimo punto di vista, come dal punto di vista registico, il film risulta essere del tutto insignificante. La candidatura a miglior film è davvero surreale, in quanto Licorice Pizza – non avendo sostanzialmente nulla da comunicare – è un film decisamente soporifero.
Annette di Leos Carax, con Adam Driver e Marion Cotillard, musical drammatico, Francia e Usa 2021, miglior regia a Leos Carax al festival di Cannes 2021, ai premi Cesar 2022 e ai Lumiere Awards 2022, in questi ultimi due concorsi si è aggiudicato diversi altri premi e candidature, voto: 5. Film senza dubbio sopravvalutato per la completa affermazione, attraverso la guerra fredda, dell’ideologia conservatrice e reazionaria formalista da tempo dominante anche nella pseudo sinistra europea. Il film è infatti un puro esercizio di stile, con alcune trovate interessanti e curiose, ma è decisamente postmoderno e irrazionalista nel contenuto.
Freaks out di Gabriele Manetti, drammatico, Italia e Belgio 2021, voto: 5; fra i film italiani più ingiustamente sopravvalutati dell’anno, si aggiudica ben sedici candidature ai David di Donatello ed è osannato anche dalla critica della (a)sinistra e sedicente comunista. Il film non si discosta dal pensiero unico dominante nel cinema italiano contemporaneo, cioè dal gusto per il grottesco. Per cui non si fa altro che rimestare nel torbido e ciurlare nel manico con una serie di luoghi comuni ormai davvero insostenibili come quello del circo. Naturalmente se questi sono i giovani registi emergenti, è evidente cosa possiamo attenderci dal futuro, se non ripartirà il conflitto sociale dal basso.
Il potere del cane, di Jane Campion, drammatico, Nuova Zelanda e Australia 2021, distribuzione Lucky Red e Netflix, voto: 5-. Da subito in pole position come candidato al film più sopravvalutato dell’anno, ha fatto il pieno di premi nei festival internazionali e nei premi cinematografici statunitensi, totalizzando anche il maggior numero di candidature agli Oscar. Si tratta dell’ennesima dimostrazione della completa adesione della (a)critica cinematografica internazionale all’ideologia dominante, funzionale agli interessi della classe dominante, cioè del capitale finanziario transnazionale. Siamo dinanzi all’ennesima professione di fede di buona parte della critica cinematografica, compresa quella sedicente di sinistra culturale, al più bieco e smaccato formalismo, al culto snobistico dell’arte per l’arte. Il film, in effetti, se risulta decisamente ben confezionato dal punto di vista formalistico, risulta del tutto privo di contenuto sostanziale. Finisce così per annoiare non garantendo nemmeno un significativo godimento estetico allo spettatore. Rimaniamo così all’estetica romantica e crociana per cui l’opera d’arte sarebbe espressione di una visione del mondo prerazionale e soggettivista dell’artista, senza nessun contenuto veritativo, politico e sociale. Naturalmente la posizione apolitica e asociale indica una precisa scelta di campo, al servizio del partito dell’ordine. Infine, nonostante tutte le movenze da film d’autore, si tratta di un filone manieristico sapientemente sfruttato dall’industria culturale.
Encanto di Jared Bush, Charise Castro Smith e Byron Howard, animazione, avventura e commedia, Usa 2021, distribuzione Walt Disney, voto: 4,5. Nonostante il vergognoso premio oscar al miglior film di animazione, si tratta di un mediocrissimo prodotto della Disney, la più anestetizzante industria culturale a stelle e strisce. Come di consueto il film comunica un modello fittizio di armonia sociale, senza mettere in discussione le gerarchie, che pretende di far scomparire, ideologicamente, insieme alle contraddizioni reali. Inoltre l’intera trama si fonda sulla superstizione oscurantista del miracolo e sul mito della famiglia che sarebbe da considerare la forma più elevata di vita etica.
Gli spiriti dell'isola - The Banshees of Inisherin di Martin McDonagh, tragicommedia, Irlanda, Usa, Gran Bretagna, 2022, distribuito da Walt Disney, miglior film brillante, migliore sceneggiatura, miglior attore protagonista e nomination miglior regia ai Golden Globo, Coppa Volpi migliore interpretazione maschile a Colin Farrell, miglior sceneggiatura a Martin McDonagh al Festival di Venezia e diverse altre nomination e premi, voto: 5-; si tratta della versione tragicomica e postmoderna, della tragedia storica della guerra civile irlandese. Il film è una ripresa del tutto in linea con l’ideologia dominante dell’epico film di Ken Loach Il vento che accarezza l’erba. Gli assurdi tripudi della critica per questa vergognosa farsa di una tragedia storica, sono una ulteriore dimostrazione del fatto che veramente viviamo in tempi oscuri. Basterebbe confrontare il grande film marxista di Loach con questa farsa postmoderna per comprendere quanto profondamente siano mutati i rapporti di forza nella lotta per l’egemonia fra le classi dominanti sfruttatrici e le classi dominate sfruttate.
Ted Lasso è una serie televisiva statunitense creata da Bill Lawrence e Jason Sudeikis, seconda stagione, voto: 4,5; dopo aver visto la prima metà degli episodi avevamo desistito, convinti che la serie, per quanto ancora ben confezionata, come generalmente avviene nelle seconde stagioni non avesse proprio più nulla di significativo da esprimere e mediare. La convinzione che nella seconda stagione la serie fosse ormai sopravvissuta a se stessa, era stata posta in discussione dal fatto che Ted Lasso è risultata la serie brillante o comica che ha totalizzato il massimo numero di candidature agli Emmy Awards. Nel timore che ci potesse esser sfuggito qualcosa di significativo abbiamo ripreso a vedere la serie dal settimo episodio. Tale ripresa ci ha convinto che non solo la serie sembra ormai aver esaurito qualsiasi valido motivo per continuare a sfornare nuovi episodi, ma che anche la qualità degli ultimi episodi è decisamente peggiorata.
Così la serie da essere un buon prodotto dell’industria culturale è divenuta nella settima puntata, caratterizzata da una lunga digressione dedicata al secondo allenatore, decisamente intollerabile. Nei successivi episodi la serie rientra nei binari, cioè sostanza zero e gradimento assicurato. La formula, tipica dell’industria culturale, è di produrre merci meramente gastronomiche, di pura evasione, certamente gradevoli, anche se non lasciano veramente nulla su cui riflettere allo spettatore. L’industria culturale rischia di imporsi come pensiero unico in particolare nel genere comico ora anche detto brillante, dove l’unica cosa che sembra contare è assicurare un momento piacevole e di evasione allo spettatore, rinunciando decisamente non solo al buono, ma anche al bello. Così gli aspetti più significativi della commedia, a partire dalla satira sociale, sono radicalmente negati, per difendere il pensiero unico dominante. Per meglio realizzare questa distopia è cancellata anche ogni forma di ideologia in nome del mito reazionario della fine di ogni ideologia che poi, a ben vedere, è proprio un elemento cardine del postmodernismo.
Con l’undicesimo episodio la serie riprende relativamente quota ed è certamente piacevole, ma sempre del tutto disimpegnata e fuori dal tempo e dal mondo non essendoci nessun riferimento al conflitto sociale. Il dodicesimo e ultimo episodio, infine, dimostra ancora una volta che la serie non ha veramente più nulla da dire. Resta il mistero di come possa Ted Lasso essere la serie che, dopo Succession, ha ricevuto più candidature agli Emmy Awards.
Diabolik di Marco e Antonio Manetti, drammatico, Italia 2021, il film ha ottenuto 11 candidature ai David di Donatello, voto: 4,5. Per quanto Diabolik sia una merce dell’industria culturale decisamente ben confezionata, rispetto ai mediocrissimi livelli della produzione italiana, si tratta di un film davvero riprovevole. Come il vergognoso fumetto cui si ispira, vi è una apologia dell’anarchia individualista e ultra liberista per cui ogni mezzo diverrebbe legittimo, anche i più criminali, per poter accrescere il proprio profitto privato. Per cui allo stato di diritto si contrappone, con una posizione di ultra estrema destra, la mera legge del più forte, la legge della giungla. Siamo così arrivati all’esaltazione acritica della popolarizzazione più rozza e alla matriciana del superomismo nietzschiano.
L’amica geniale. Storia di chi fugge e di chi resta, serie tv, terza stagione, regia di Daniele Luchetti, disponibile su RaiPlay, voto: 4,5. La terza stagione parte nel migliore dei modi con i primi due episodi, contestualizzando la vicenda nelle grandi lotte sociali e politiche della fine degli anni sessanta e dei primi anni settanta. Emerge con chiarezza lo sfruttamento, in particolare delle donne, nelle fabbriche, lo sfruttamento dei giovani intellettuali nelle università, la deriva revisionista e riformista dei partiti storici della sinistra e l’insorgere di una nuova generazione di rivoluzionari. Emergono anche i limiti del sottoproletariato napoletano, il ruolo di provocatori dei fascisti e il controllo della malavita organizzata sulle stesse attività imprenditoriali. Peccato che nella serie prevalga il luogo comune che gli studenti sarebbero dei radical chic, che non conoscerebbero i reali problemi degli operai, dai quali non avrebbero nulla da apprendere a causa delle durissime condizioni di vita che impedirebbero a questi ultimi lo sviluppo di una benché minima coscienza di classe. Anzi, la denuncia delle tragiche condizioni di sfruttamento da parte di comunisti e studenti rivoluzionari viene spacciata come contraria agli interessi dei lavoratori, in quanto favorirebbe la repressione del padronato e dei fascisti. Nonostante questi limiti, almeno la serie ha il sano buon senso di non pretendere di poter astrarre dai conflitti economico-sociali e politici.
Il terzo e quarto episodio, pur rimanendo avvincenti e godibili, perdono quasi interamente lo sfondo storico, sociale e politico dei precedenti. Resta la denuncia della violenza fascista in collusione con la malavita e la denuncia della famiglia patriarcale e di come uomini, anche progressisti, condannino le mogli alla schiavitù domestica. Per il resto vi è un sostanziale riflusso nel privato e una denuncia davvero reazionaria dell’estremismo radical chic della sinistra extra-parlamentare.
Il quinto episodio rappresenta una decisa caduta di tono in un anticomunismo becero, davvero imbarazzante. Come si poteva intuire, si intenderebbe dimostrare – quasi si trattasse di una necessità – lo scivolare della sinistra rivoluzionaria extra-parlamentare nel terrorismo, che viene rappresentato nel modo più inverosimile, ideologico e pienamente subalterno all’ideologia dominante. Alla fine il problema del terrorismo viene affrontato come se fosse una responsabilità della sinistra radicale e non una risposta, per quanto avventurista e controproducente, al terrorismo nero e di Stato. Anche del movimento femminista si mostrano solo gli aspetti contraddittori meno significativi. Anche il sesto episodio, per quanto fortunatamente non si occupi più di questioni economiche e sociali, torna a essere abbastanza avvincente anche se, a tratti, ancora piuttosto inverosimile.
Gli ultimi due episodi confermano che generalmente le serie, con il passare delle stagioni, divengono sempre meno interessanti e inverosimili. Nel settimo episodio vi è ancora una spaventosa caduta nell’affrontare, peraltro in modo del tutto superficiale, la tragica stagione dei cosiddetti “anni di piombo”, occultando le grandi conquiste prodotte dalle lotte dal basso per quanto riguarda l’estensione dei diritti economici e sociali. Ormai la serie nell’ultimo episodio si è distaccata completamente dalle vicende del mondo storico e politico, essendo tutta incentrata sul bieco pregiudizio sessista per cui le donne si innamorerebbero proprio degli uomini “destinati necessariamente” a farle soffrire.
Piccolo corpo di Laura Samani, drammatico, Italia, Francia, Slovenia 2021, vincitore del premio per il migliore regista esordiente a livello italiano ed europeo, voto: 4,5; film girato alla maniera di Olmi, certamente fra i più sopravvalutati dell’anno, è un’apologia del postmoderno. Piccolo corpo è radicalmente e programmaticamente fuori della storia, dovrebbe essere ambientato a inizio novecento, ma pare di essere in pieno medioevo, e pretende di astrarre completamente dalle problematiche politiche, sociali ed economiche, come dai conflitti di classe. I dialoghi in dialetto stretto sono di fatto incomprensibili, anche se è evidente che il film non ha proprio nulla di significativo da comunicare.
Un eroe – A Hero, di Asghar Farhadi, drammatico, Iran 2021, distribuito da Amazon, voto: 4; film fatto alla maniera di Ladri di biciclette, perde tutti gli aspetti genuini del neorealismo italiano divenendo patetico, eccessivamente lungo e di fondo “finto”. Del tutto immeritato il premio speciale della giuria al festival di Cannes.
Only Murders in the Building è una serie televisiva statunitense creata da Steve Martin e John Hoffman. La prima stagione della serie, composta da 10 episodi, in Italia è disponibile su Disney+ come Star Original. La serie ha ottenuto 2 candidature ai Golden Globes, 3 candidature a Satellite Awards, 3 candidature a Critics Choice Award, 2 candidature a SAG Awards, 3 candidature a Writers Guild Awards, fra cui diverse nomination per la migliore serie brillante, voto: 4. Only Murders in the Building, rispetto al grande successo di critica e di pubblico, è alquanto deludente. Si conferma la solita difficoltà a tradurre e rendere in un’altra lingua i dialoghi di una serie brillante. D’altra parte la serie è priva di quel ritmo generalmente caratteristico delle serie statunitensi e così, non affrontando temi sostanziale, diviene soporifera già nell’episodio pilota.
Il terzo e quarto episodio confermano e aggravano tutti i limiti già riscontrati ed evidenti nei primi due. La vicenda è priva di momenti di reale interesse, non fa ridere e nemmeno sorridere, ma al massimo risulta patetica. Unendo l’elemento comico al giallo depotenzia entrambi, in particolare il secondo. I personaggi non sono tipici, né realisticamente rappresentati e si riducono a macchiette. Così la serie diviene sempre più noiosa e piacevolmente soporifera.
Con il quinto e sesto episodio la serie dà finalmente qualche segno di vita, con la realizzazione di due episodi meno mosci e noiosi del solito, che sembrano quantomeno alludere ad alcune implicazioni sociali della vicenda. C’è anche un più intenso scavo psicologico dei personaggi e toni più melodrammatici.
Con il settimo episodio la serie conferma nuovamente tutti i suoi difetti e fa sorgere l’interrogativo sul motivo di sprecare così tante risorse per produrre merci dannose e di mediocrissima qualità. L’ottavo episodio rappresenta la prova conclusiva che è decisamente insensato continuare a perdere tempo per vedere una serie così scarsamente significativa da tutti i punti di vista. Nel nono episodio la serie si rianima un po’, senza però introdurre motivi di interesse sostanziale. Anche la conclusione nel decimo episodio non lascia nulla di significativo su cui riflettere allo spettatore.
The French Dispatch di Wes Anderson, drammatico e sentimentale, Usa 2021, distribuito da Walt Disney, voto: 4; mero e ultraformalistico esercizio di stile, può suscitare un qualche interesse e garantire godimento estetico solo alla ristrettissima cerchia degli addetti ai lavori. Per tutti gli altri il film risulta del tutto insostenibile, noioso e soporifero, per la totale assenza di un qualunque contenuto sostanziale.
Belfast, di Kenneth Branagh, drammatico, Gran Bretagna 2021, distribuito da Universal Pictures, voto: 4-; indubbiamente fra i film più ingiustamente sopravvalutati dell’anno, tanto da fare il pieno nelle nomination ai premi Oscar, Belfast è un film senza qualità di un mediocrissimo regista. Nel film vi è una perfetta corrispondenza fra forma e contenuto, nel senso che sono entrambi completamente anonimi e privi di un qualsiasi spessore. Peraltro il film dovrebbe toccare un tema sostanziale, essendo ambientato in Irlanda del Nord proprio nel fatidico 1969, quando le forze di liberazione nazionale irlandese hanno raggiunto il loro massimo sviluppo, imponendo all’imperialismo britannico di inviare nel paese un vero e proprio esercito di occupazione per mantenere la propria colonia. Questo tragico contesto viene presentato in modo del tutto superficiale, dal punto di vista di una famiglia unionista e del tutto qualunquista, tutta presa dalle piccolissime ambizioni della vita quotidiana.
La casa di carta è una serie televisiva spagnola ideata da Álex Pina distribuita su Netflix in cinque stagioni dal 2027 al 2022, voto: 3,5. La serie ha avuto uno straordinario successo internazionale del tutto immotivato e davvero difficilmente comprensibile. Ha un plot che avrebbe permesso al massimo di realizzare un lungometraggio che, spalmato in ben cinque interminabili stagioni, è talmente diluito da far sparire ogni traccia di contenuto sostanziale. Peraltro, anche dal punto di vista formale, è di mediocrissima qualità, i personaggi sono inverosimili, del tutto atipici e i dialoghi spesso sconclusionati. Siamo all’ennesima epigonale ripresa dei Masnadieri di Schiller, con la rappresentazione – tanto cara all’infantilismo piccolo borghese – del giovane che per protestare contro il corso del mondo diviene un fuorilegge.
Triangle of Sadness di Ruben Ostlund, Satirico, Svezia 2022, miglior film al festival di Cannes, miglior film europeo, nomination miglior film brillante ai Golden Globe e ai Critics Choice Award, miglior regista europeo e in generale il film europeo dell’anno più premiato, 3+; degno rappresentante della spaventosa decadenza anche culturale dell’imperialismo europeo, che non può che riconoscersi in questo film del tutto improntato alla distruzione della ragione secondo i peggiori cliché del più scontato postmoderno. Ostlund si conferma il regista più sopravvalutato della storia del cinema. Davvero viviamo in tempi bui! Peraltro, rispetto ai due precedenti film, egualmente esaltati in maniera vergognosa dalla critica cinematografica europea, quest’ultimo pessimo prodotto dell’industria culturale è addirittura meno peggio.
Bones and all di Luca Guadagnino, drammatico, horror, Italia, Usa 2022, Leone d’argento per la regia a Luca Guadagnino, nomination miglior film agli Independent Spirit Awards 2023, film dell’anno per i critici de “Il manifesto”, voto: 3. Indubbiamente fra i film più assurdamente sopravvalutati dell’anno, in particolare dai critici della sinistra “radical”. Il film è intollerabile sotto tutti i punti di vista. Vi è una sostanziale apologia dei cannibali. Bones and all riesce a sintetizzare il peggio dell’industria culturale, d’evasione e puramente culinaria statunitense, con la più becera ideologia dominante continentale: il postmoderno. Se la sinistra pensa di poter competere con la destra dal punto di vista dell’egemonia culturale con prodotti di questo genere ha già perso. Anche perché alla “sinistra” che adora e si riconosce in questi prodotti tipici della distruzione della ragione, il nemico non può che marciare sempre alla sua testa! Del resto, con queste posizioni non potrà mai riconquistare consensi e credibilità nel proletariato, tanto mai avrà il consenso necessario per prendere il potere e superare in senso progressista il modo di produzione capitalistico in crisi. Del resto prodotti del genere si pongono agli antipodi di tutta l’estetica marxista.
Cyrano di Joe Wright, musical, Gran Bretagna, Italia, Canada e Usa 2021, voto: 3; film assurdamente sopravvalutato; sebbene sia insostenibile sotto tutti i punti di vista, ha ricevuto diverse nomination persino un ambito premio come miglior film brillante. Particolarmente di cattivo gusto sono indubbiamente gli intermezzi musicali, che dovrebbero essere, paradossalmente, il punto di forza caratteristico del film.
Re Granchio di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, drammatico, Italia, Francia e Argentina 2021, voto: 1,5; film vergognosamente candidato a miglior film italiano di un regista esordiente e altrettanto incomprensibilmente esaltato dall’unico quotidiano sedicente comunista italiano, Re Granchio – come ormai di consueto nel panorama davvero imbarazzante del cinema italiano – è tutto improntato e schiacciato sull’autocompiacimento per il grottesco. Se questi sono i migliori registi esordienti italiani c’è veramente da temere per il futuro.