“Je so’ pazzo” fuori dal Brancaccio

Il 18 giugno 2017, al teatro Brancaccio di Roma si è svolta un’assemblea quasi pubblica per un’alleanza quasi popolare. Ai compagni del csoa di Napoli è stata rifiutata la parola.


“Je so’ pazzo” fuori dal Brancaccio Credits: https://www.facebook.com/exopgjesopazzo/

Il volo dei gabbiani sul palco del teatro Brancaccio si è pietrificato dopo qualche ora di assemblea nella sala stracolma. Il palco illuminato da una luce rarefatta chiarissima, il minimalismo dei pochi volumi pastello delle poltroncine per sedersi, di altri volumi sparsi ad arte, le camicie bianche sui pantaloni blu dei due ideatori, tutto denota una cura estetica del particolare dello scenario che accoglie il popolo .Gli vuole suggerire un’atmosfera di purezza, un’idea di neo-natalità rasserenante… Alcune sagome di gabbiani appese, creano leggerezza… D’altronde Montanari è uno storico dell’arte. Ad Anna Falcone il compito dell’accoglienza e a Tomaso Montanari il discorso di apertura, davvero un bel discorso che parte dall’articolo 3 della nostra Costituzione:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.”

E proprio da questa lente voglio osservare quanto è accaduto la mattina del 18 a Roma al teatro Brancaccio. Le parole messe a manifesto dagli ideatori. Perché le parole sono importanti, non si può pensare di gettarle nello spazio di un’assemblea senza tenere fede a quanto affermano, alle idee che esprimono e alla volontà che indicano esserne alla base.

I fatti

Mentre interviene il senatore Gotor, di MDP, art.1- sì, proprio quel movimento ultimo nato dalla scissione ultima del PD in cui troviamo D’Alema e Bersani- un signore della platea, dai capelli grigi si avvicina al palco e comincia a protestare animatamente. Non riesco a sentire, ero sul fondo in piedi, perplessa perché non credevo che davvero potesse esserci anche D’Alema seduto in prima fila con altri, seppure invitati. La platea si anima, chi fischia e chi grida: “fuori”. Ma la Falcone è irremovibile e dice che “…qui facciamo cose serie”… stigmatizzando il comportamento di chi in realtà esprimeva il sentire di gran parte della platea. “Questa non è una passerella… vogliamo ascoltare quello che il senatore ha da dire…”. Ma Gotor, e quelli come lui, di spazi per parlare non ne hanno anche troppi?

Perché non hanno dato voce a quell’uomo? Ah, già… tutto doveva procedere in modo ordinato ed educato, secondo gli ideatori dell’evento, loro erano invitati e inseriti nella scaletta! Il senatore riprende il suo discorso, ma questa volta sale sul palco una giovane donna del centro sociale Je so’ pazzo di Napoli. Non sento cosa dice, protesta, vorrebbe prendere parola, viene circondata da due signori che la fanno scendere e la conducono fuori, insieme al suo gruppo. Anche io esco, prima nell’atrio e poi fuori dal teatro.

Eppure Anna Falcone era stata invitata dal centro sociale a Napoli, a parlare durante la campagna referendaria per il NO alla riforma costituzionale, ben accolta. C’era stato uno scambio di idee anche in seguito. E poi scopriamo che erano stati invitati sì, ma non inseriti nella scaletta per parlare, una scaletta che era stata ‘composta’ e che non poteva cambiare. Non ci stava neanche un rappresentante del Pci, tra l’altro, in quella composizione.

Mentre esco dalla sala, vedo un compagno del servizio che sta trattenendo un ragazzo, giovanissimo, che avevo visto prima con la sua maglietta con la stella. Lui dice che vuole entrare perché ci stanno i suoi amici dentro e si divincola. Io guardo sorpresa e incrocio lo sguardo del compagno, che conosco, che tiene tra le braccia quel ragazzo, gli chiedo: “ma che sta succedendo?” Lo vedo in difficoltà, lo lascia andare, mi dice che gli avevano detto che fuori aveva fatto ‘problemi’…

Nell’atrio parlottano due donne che avevo già notato dentro per i toni alti della voce. Pensavo fossero indignate anche loro per l’episodio della ragazza fatta uscire, così gli rivolgo qualche parola, dicendo che è naturale che ci sia una reazione del genere, dopo quello che il PD ha combinato in parlamento, che cosa si aspettavano. Sbagliavo, era un’indignazione capovolta e mi dicono, anzi grida quasi una delle due: “Per anni abbiamo subito nel PD, perché eravamo la minoranza che si opponeva alle scelte e ora anche qui ci trattano male? Ma non li volete i nostri voti?” .Ah, “veramente io sto con il PRC e …”, ma a quel punto non mi sembra che si riesca più a comunicare.

Da tempo ci chiediamo che fine abbia fatto la base sana e che cosa ci sta a fare col PD, purtroppo in questa situazione risulta evidente solo una grande arroganza e una presupponenza di chi vuole continuare a stare con chi è più forte e ha più potere e non con chi sta dalla parte dell’eguaglianza e delle classi popolari sfruttate, i cui diritti sono stati accantonati.

Fuori ci sta quella ragazza dei Je so’ pazzo che sta registrando un’intervista da mettere in rete. Possiamo leggerlo sul loro sito, sulle loro pagine, quali siano le loro idee e le loro attività.

Je so pazzo” è il nome che abbiamo scelto, perché in un mondo dove la normalità è fatta da disoccupazione, precarietà, discriminazioni razziali e di genere e chi più ne ha più ne metta, vogliamo dichiararci pazzi anche noi come Pino Daniele, e osare organizzarci per riprendere parola e costruire dal basso un’alternativa al mondo grigio e disperato che vediamo quotidianamente”. (…) “Quando la “democrazia” vuol dire tutt’altro: alla lettera significa potere del popolo!”.

I punti chiavi delle attività del centro sociale ubicato in un ex-ospedale psichiatrico:

  • Attività sociali e riqualificazione dello spazio;
  • Sportello Medico Popolare, un aiuto concreto alle persone senza assistenza;
  • Lotta alla povertà…al momento siamo riusciti nel compito di porre al centro dell’agenda politica istituzionale il problema del diritto alla residenza per i senza tetto e per moltissimi stranieri…;
  • Fronte migranti. Accoglienza e antirazzismo militante;
  • Campagna contro il lavoro nero e supporto ai lavoratori;
  • Teatro popolare

Credo che tutto questo sarebbe stato da prendere come esempio di democrazia praticata, un esempio per tutta l’assemblea e per tutti quelli che parlano di eguaglianza e che mettono i principi costituzionali alla base dei loro discorsi, ma vivono nella contraddizione.

Non so bene quale sia stata la reazione immediata di Maurizio Acerbo, segretario del PRC, ma quando nel suo intervento al termine dice che “…non dobbiamo perderne neanche uno di questi movimenti, di questi centri sociali, per accordi di vertice”, ha preso una posizione. Più tardi, tra commenti e discussioni, i dubbi e le contraddizioni si accentuano, cercando di mettere insieme le

parti della questione e mentre le polemiche continuano sulle pagine web. Ma vogliamo continuare a mentire e a prenderci in giro? A fare finta di niente?

Parlare di eguaglianza sociale e di pari dignità e impegnarsi per raggiungerle non è stare in un luogo piacevole e tranquillo, tra facce accomodanti e sorridenti, in cui tutti ordinati e d’accordo stanno al loro posto. È stare e agire e discutere nella società reale. Dove il sorriso può venire solo dal riuscire con la fatica a fare insieme ciò che lo stato non sta più facendo. Cercando di riconquistare o di non perdere quello che in secoli di lotte il popolo ha conquistato: diritto alla dignità, alla salute, al lavoro, all’istruzione, alla parola… Vogliamo il pane e anche le rose.

Vorrei chiedere: possiamo ancora credere alle assemblee democratiche convocate nei teatri? Ma ci siete stati nelle baraccopoli dei migranti, quelli che fanno i braccianti agricoli nelle nostre campagne per qualche euro l’ora, raccogliendo pomodori per le nostre pizze e le nostre spaghettate? Sono migliaia. Le favelas italiane, nel nostro civilissimo e democratico paese, messe su dal nulla e nel nulla, con cartoni e lamiere, dove non ci sono elettricità e acqua potabile, dove vivono famiglie per anni, sono una realtà di sfruttamento, serbatoio di manodopera a poco prezzo, in balia di chi non ha nessuno scrupolo. Cominciamo da lì.

24/06/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://www.facebook.com/exopgjesopazzo/

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L'Autore

Laura Nanni

Roma, docente di Storia e Filosofia nel liceo. Fondatrice, progetta nell’ A.P.S. Art'Incantiere. Specializzata in politica internazionale e filosofia del Novecento, è impegnata nel campo della migrazione e dell’integrazione sociale. Artista performer. Commissione PPOO a Cori‐LT; Forum delle donne del PRC; Stati Generali delle Donne.

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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