Rovesciamo le carte sul tavolino della Storia

L’organizzazione della cosiddetta fase 2 si prospetta più pericolosa della precedente


Rovesciamo le carte sul tavolino della Storia Credits: ivid.it

Così come in tante modalità diverse e con contenuti vari stiamo tentando di fare noi comunisti in questa fase di crisi e quarantena, anche sul fronte opposto della classe padronale e dei suoi collaboratori si sono organizzati per cercare di diffondere i loro contenuti più o meno reazionari via web, radio, podcast e quant’altro, potendosi peraltro avvantaggiare, a differenza nostra, di tutti i principali media di comunicazione di massa. L’obiettivo è quello di non lasciare neanche per un momento che le persone, costrette per ora a rifugiarsi in casa oppure a sfidare la pandemia sul lavoro in assenza di adeguati presidi di sicurezza, elaborino meccanismi di difesa, di aggregazione, di consapevolizzazione o di protesta, nel colmo di questa fase di difficoltà ed estremo imbarazzo per gli organismi dirigenti del Paese e del mondo, nei sistemi votati all’ultraliberismo.

E dunque in questo contesto è possibile apprendere da varie testate giornalistiche che si stanno tenendo, sin dal 25 marzo, sessioni brevi di incontri e interviste organizzate via twitter dalla Bologna Business School, ossia la scuola di formazione manager dell’Università Alma Mater di Bologna. Lo scorso giovedì 16 aprile è stato ospitato, in questo contesto virtuale, il neo rieletto Presidente della Regione Emilia-Romagna Bonaccini, che ha incentrato il suo intervento sulle “nuove sfide” da affrontare al netto dell’emergenza sanitaria in corso e in considerazione della necessità della “ripartenza” / fase due.

Nell’intervento, stando anche a quanto riportato dai giornali [1], Bonaccini si sarebbe espresso in favore dell’impiego nei campi agricoli di coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza, così, testuali parole “restituiscono un po' di quello che prendono”. Rispetto alla valutazione da sempre portata avanti nelle pagine di questo giornale al meccanismo del reddito di cittadinanza, prima ancora che esso esistesse, rimandiamo ai relativi articoli a ciò dedicati. Tuttavia, a prescindere da questo, alcune interessanti aspetti emergono nelle parole inqualificabili dell’altrettanto inqualificabile presidente della regione Emilia-Romagna che peraltro, su questa proposta, si trova (suo malgrado? Chi lo sa) in una curiosa sintonia con Salvini [2].

Nonostante le apparenze potrebbero suggerire che il sillogismo sotteso a questa proposta sia che, data la pandemia, l’approvvigionamento di risorse alimentari assume una particolare rilevanza per la collettività immobilizzata a casa e dunque sia necessario reperire lavoratori nell’ambito della raccolta di frutta e verdura tra cui prevedere, quindi, i percettori reddito di cittadinanza attualmente disoccupati, a una lettura più attenta emerge qualcosa di molto più insidioso.

Infatti l’equiparazione tra il percettore di reddito di cittadinanza e la figura del parassita e il contemporaneo appello alla mancanza di forza-lavoro in un settore fondamentale quale quello della raccolta agricola, pare piuttosto indirizzare verso il malsano tentativo di fare rientrare i lavori agricoli nell’alveo dei lavori di pubblica utilità a cui sono tenuti i percettori del reddito di cittadinanza per “sdebitarsi” di quanto percepito.

La legislazione sul reddito di cittadinanza prevedeva già l’obbligo per chi lo percepisce di partecipare alla realizzazione di progetti utili alla collettività (P.U.C.), per un numero di ore settimanali da un minimo di 8 a un massimo di 16. L’art. 4 del decreto legge 4/2019 riguarda infatti il “Patto per il lavoro e Patto per l'inclusione sociale” in cui vengono chiarite quali sono le condizioni per l’erogazione del beneficio, basato sulla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro del candidato e sulla sua adesione a un percorso di accompagnamento all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi e altre attività.

Il percettore deve accettare almeno una di tre offerte di lavoro “congrue” (concetto principalmente riferito alla distanza da casa del luogo di lavoro offerto, ai sensi di quanto specificato nel comma 9) e, come previsto dal comma 15, è tenuto a dare la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali, utili alla collettività, individuati nell’ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, anche a seconda delle inclinazioni soggettive della persona come emerse dal colloquio iniziale. L'avvenuto assolvimento di tali obblighi viene attestato dai comuni, tramite l'aggiornamento della piattaforma informatica dedicata.

Ora, è del tutto evidente che partecipare a tali P.U.C. nell’ambito del patto sottoscritto dal percettore del R.d.C. implica partecipare ad attività che la legge esplicitamente indica come non suscettibili di determinare l’instaurazione di alcun rapporto di lavoro. I lorsignori, al contrario, forse vorrebbero fingere che all’interno di tali attività di pubblica utilità possano rientrare invece veri e propri rapporti di lavoro subordinato attraverso i quali impiegare nei campi agricoli i percettori del reddito, in palese violazione di quanto prevede la legge, dei diritti di queste persone e di ogni minima regola di buon senso.

Va da sé che ciò implicherebbe che, con la scusa, appunto, dell’“emergenza sanitaria e della necessità della ‘ripartenza’”, il lavoro (non l’attività di pubblica utilità ma il lavoro vero e proprio) di queste persone reso presso aziende agricole private sarebbe stato, di fatto, pagato dallo Stato (ossia da tutti noi) senza che il relativo profitto (il ricavato delle vendite dei prodotti alimentari e agricoli) venga tuttavia in alcun modo socializzato dalle aziende avvantaggiatesi di manodopera gratuita.

Il vacuo richiamo di Bonaccini all’utilizzo dei centri per l’impiego (comunque già previsto dalla legge nel patto citato) per “individuare figure di lavoratori che vadano a fare quel mestiere perché non si trova quasi più nessuno”, non rende in ogni caso la proposta e le parole usate per veicolarla meno ambigua e inquietante.

Peraltro ciò richiama l’attenzione su un altro aspetto che angoscia particolarmente la “classe dirigente” del Paese, ossia l’assenza di manodopera straniera. Sul punto si è auto-riesumato Marco Minniti che, dopo aver significativamente contribuito in passato alla progressiva marginalizzazione sociale degli immigrati in Italia, oggi sfrutta il richiamo all’emergenza da Coronavirus come pretesto per indicare che le baraccopoli illegali vanno smantellate in quanto potenziali focolai della malattia e vanno regolarizzati i clandestini, dopo che sono stati resi con tutte le forze tali da tutti gli esponenti politici degli ultimi anni (Salvini è stato solo quello più sguaiatamente razzista) a tutto vantaggio del loro sfruttamento selvaggio da parte delle imprese.

La presunta tutela della salute pubblica viene ancora strumentalizzata, anche sulla pelle dei migranti, per rispondere alle esigenze della classe imprenditoriale che avverte il cappio al collo della crisi economica. Anche la ministra Bellanova concorda e si erge oggi a paladina degli stagionali stranieri attraverso agevolazioni dei rientri in Italia, permessi di soggiorno prorogati, regolarizzazione e incentivi all’assunzione dei disoccupati. Renzi addirittura tenta il colpo di scena “svelandoci” che in assenza dello Stato può essere che la criminalità organizzata sfrutti a proprio vantaggio le situazioni d’ombra e invisibilità in cui si trovano gli irregolari. I leghisti invece, coerentemente con la propria retorica sciovinista, ripetono macchinalmente che bisogna sfruttare e schiavizzare per primi gli italiani, opponendosi quindi ad ogni forma di regolarizzazione anche temporanea degli stranieri. Un quadro, dunque, altamente patetico e desolante.

Che delle persone, italiane o straniere, possano trovare lavoro in una fase di crisi economica così drammatica e devastante in un contesto di particolare desertificazione produttiva, ovviamente, sarebbe in sé pienamente auspicabile. Ma a quali prese in giro e a quale genere di ricatti intendono sottoporci?

Non basta proporre di metterci una pezza temporanea, come si è sempre fatto, regolarizzando le persone alla bell'e meglio con sanatorie, permessi temporanei e quant’altro: serve, come ripetiamo da anni, come la stessa comunità migrante sa benissimo, un intervento strutturato e poderoso sul tema dell’immigrazione, che superi il solito approccio (volutamente) emergenziale, elimini la sciagurata legge Bossi-Fini, reintroduca metodi seri che disciplinino l’ingresso per ragioni di lavoro degli stranieri in Italia e i relativi permessi, oltre al rimaneggiamento pressoché totale delle previsioni e delle tutele, attualmente ridotte all’osso, in tema di richiedenti asilo.

Così come non basta che si pretenda di riattivare il prima possibile il lavoro e la produttività del Paese senza affrontare di petto il problema dello smantellamento del nostro sistema produttivo, della precarizzazione selvaggia del lavoro, dello svuotamento progressivo delle tutele minime e dei meccanismi sociali di supporto alle persone e alle famiglie.

È giusto che le grandi imprese del settore agricolo e alimentare si possano avvantaggiare spudoratamente in tale maniera, se quanto proposto “tra le righe” da Salvini e Bonaccini si dovesse rivelare corretto? Che tragica fine potranno mai fare le aziende minori, e soprattutto i loro pochi dipendenti, che al contrario tentano o hanno tentato di rispettare maggiormente il lavoro, di pagare stipendi dignitosi, di rispettare i contratti e di non assumere le persone in nero?

Ve li immaginate Bonaccini e Salvini a proporre che venga rigidamente rispettata l’applicazione dei contratti collettivi di lavoro? A pretendere che queste grandi aziende private paghino adeguatamente coloro che verrebbero impiegati in questa fase “emergenziale” nei campi, anziché cedere alle sirene dell’iper-sfruttamento schiavistico, come tanto amabilmente accade con l’utilizzo di stranieri irregolari e maggiormente ricattabili? A esigere la socializzazione dei profitti fatti sfruttando la manodopera non pagata da loro, ma dalla collettività? Non prendiamoci in giro.

Le persone che sgomitano a turno per comparire sui teleschermi e strumentalizzare quanto accade, dichiarare meschinità o fare dichiarazioni d’intenti prive di contenuto, esprimere false preoccupazioni sullo stato di salute della collettività e via dicendo non possono essere la risoluzione del problema, né coloro ai quali affidare anche solo in minima parte un qualche ruolo nella nostra salvaguardia e tutela: sono, al contrario, parte integrante del problema. Eseguono il lavoro sporco per salvaguardare gli interessi di coloro che, come il presidente di Confindustria Marche, hanno definito una “follia” il lockdown per quanto, peraltro, estremamente parziale e temporaneo. Gli esponenti più spregiudicati della classe padronale propongono di uscire dalla crisi sparando in continuazione numeri percentuali e incomprensibili alchimie con l’ormai screditata UE e, consci della bomba a orologeria che hanno innescato per anni propinandoci bugie e manovre lacrime e sangue, oggi sollecitano i prefetti a mobilitare le forze dell’ordine per difendere le banche contro probabili disordini ma, appena possibile, ordinerebbero loro di spaccare il cranio a un lavoratore che tenta di difendere semplicemente il proprio posto di lavoro. E questo per tacere di tutte le porcherie fatte in questo periodo nelle regioni più colpite, in particolare nella Lombardia degna erede della gestione “modello Formigoni & co.”, dove amministratori regionali e locali hanno condannato a morte più di dodicimila persone istituendo zone rosse e rimuovendole senza criterio, non istituendole laddove si sapeva esserci un focolaio, sottacendo le notizie e la gravità dei fatti per leggerezza e/o meri calcoli politici, invitando le persone a “non fermarsi” e uscire per consumare nei ristoranti e nei negozi di Milano e di Bergamo, costringendole a prendere mezzi pubblici stracolmi, colpevolizzando per la situazione i runner e in generale le persone irresponsabili anziché loro stessi, costruendo mirabolanti ospedali da centinaia di posti (attualmente ospitanti appena 10 persone) per la gioia degli affari di qualche costruttore privato e, infine, invocando ripartenze a ogni costo e squallide guerre Nord Vs. Sud Italia

Per decenni hanno alimentato tagli al sistema di welfare sociale, hanno sorriso e rassicurato i nostri sfruttatori, hanno riparato ai loro danni, ci hanno raccontato le più insostenibili frottole e ci hanno propinato l’angosciosa sensazione dell’impossibilità di immaginare un mondo alternativo.

Smantelliamoli assieme alle piaghe che ci affliggono, non facciamoci raggirare, non cessiamo di ragionare, non permettiamo loro di anestetizzarci e spolparci più di quanto non abbiano già fatto, salvo poi gettarci nelle fosse comuni come sta accadendo negli USA per tutti coloro che non possono permettersi né cure, né funerali.

Organizziamoci, riflettiamo, autoconvochiamoci (pur se virtualmente per ora), capiamo da noi come fuoriuscire dal pantano che nel bene e nel male sta affliggendo tutti i lavoratori e lavoratrici del mondo nonché coloro che sono precari, affinché si possa finalmente smantellare un sistema parassitario, insensato, che si regge su un filo e ci crolla addosso al minimo scossone: anche questa volta siamo noi il bersaglio, la crisi la faranno pagare cara e amara a noi poiché non gli basta averci già mille volte uccisi di lavoro, guerre, miseria e malattie vecchie e nuove.

Dobbiamo essere noi a farlo perché, come magistralmente ci mostra Nino Manfredi nel film di Luigi Magni “In nome del Papa Re” indossando i panni del vecchio giudice della Curia Romana la cui esistenza era assediata dai moti risorgimentali, rispondendo all’impeto del rivoluzionario figlio intenzionato a rovesciare le carte sur tavolino de la Storia”, dichiara: “Interessante, però non hai carcolato una cosa: er mazzo 'o famo noi, c'avemo tutti l'assi e, quanno nun ce l'avemo, baramo pure”.


Note:

[1] Lavoro, Bonaccini: “Chi ha il reddito di cittadinanza può lavorare nei campi”; Bonaccini: chi ha reddito di cittadinanza può lavorare nei campi
[2] Coronavirus:, Salvini, 'lavoratori in agricoltura tra italiani e titolari reddito cittadinanza'

26/04/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Leila Cienfuegos

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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