Riflessioni sulla manifestazione del 5 ottobre a Roma

Nonostante i divieti circa dieci mila persone hanno riempito la piazza a Roma in solidarietà con il popolo palestinese. Non essendo riuscito il Governo ad impedire la manifestazione si è fatto di tutto per criminalizzarla. Il movimento di solidarietà con il popolo palestinese deve superare le differenze e allargare la partecipazione.


Riflessioni sulla manifestazione del 5 ottobre a Roma Credits: FPC per la città futura

Nella giornata del 5 Ottobre si sono svolte manifestazioni in molte città d’Europa (Londra, Berlino, Parigi, Roma) per denunciare la criminale guerra di sterminio portata avanti dallo stato sionista d’Israele in tutto il Medio oriente. Il Governo italiano, succube psicologicamente, economicamente e politicamente dell’entità sionista, sfruttando un post che richiamava all’azione militare del 7 ottobre, ha deciso di compiere un’azione politica di stampo repressivo vietando la manifestazione del 5 Ottobre. L’atto appare in tutta la sua violenza poiché di fronte ad un genocidio che si perpetua da anni, negare il diritto a manifestare in solidarietà di un popolo e della sua resistenza all’aggressione equivale semplicemente ed esclusivamente a negare la realtà, o peggio a capovolgerla. Non c’è neanche da stupirsi molto poiché tutta l’azione di criminalizzazione della manifestazione da parte di una parte consistente della stampa e del Governo nasce dal paradigma che tutto è cominciato il 7 Ottobre di un anno fa. Va detto che, di fronte ad un grave e drammatico ribaltamento della realtà, fondamentale è stata la determinazione di tutte quelle organizzazioni e di quelle persone che hanno fatto capire che sarebbero comunque scese in piazza, nonostante i divieti. Grazie a questa determinazione si è ottenuto un presidio stanziale nella Piazza di Porta San Paolo nella quale hanno partecipato (nonostante nei Tg continuassero a parlare di divieti, nonostante la pioggia ed uno sciopero dei mezzi) circa diecimila persone. E’ un dato importante: la presenza di molte persone in piazza ha segnato in primo luogo la difesa del diritto a manifestare, contro i divieti e le assurde limitazioni di una classe dirigente che vuole ridurre ogni forma di dissenso a pura repressione e violenza. Di violenza parliamo, appunto, di fronte alla quale, la tenacia nell’ottenere un presidio autorizzato e nel parteciparvi è stato un atto di grande civiltà e determinazione da parte dei manifestanti che per ore hanno riempito la piazza. Circondare da tutti i lati la piazza, evitando vie di fuga, bloccare i manifestanti alle stazioni ferroviarie, chiedere i documenti a chi entrava in piazza ha rappresentato, al contrario, un atteggiamento ultrarepressivo, non solo nella sostanza, ma anche nella forma, un abuso di autorità che travalica gli stessi limiti legali. L’impressione che tutti abbiamo avuto è stata quella di una provocazione continua, di una ricerca continua dello scontro attuata allo scopo di scaricare sui manifestanti tutta la rabbia e la frustrazione per la riuscita del presidio. Per più di due ore i manifestanti hanno animato la piazza in maniera ordinata ma con determinazione, chiedendo la possibilità di svolgere un corteo ma senza compiere alcun atto di provocazione. Tornando a casa, prima avevo un sentore e poi scopro un'altra realtà, leggo dai giornali di scontri furibondi, di feriti, etc. Un copione già scritto, un teatro nel quale, non essendo riusciti ad impedire la manifestazione, allora bisogna criminalizzare, impaurire l’opinione pubblica, etichettare chi si oppone ad un genocidio come violento facinoroso, in preda ad una violenza distruttiva che non sa contenere. Io, sinceramente, la violenza l’ho vista tutta in chi l’ha ricercata ossessivamente, in chi impone divieti irrazionali garantendosi una posizione di privilegio e di monopolio della forza che gli garantisce l’impunità.

Di fronte al copione già visto, tutto rivolto all’opinione pubblica allo scopo di disarticolare e criminalizzare il movimento di solidarietà con il popolo palestinese, mi pongo una riflessione: se il tentativo d’impedire la manifestazione è fallito, alla fine, il teatrino sugli scontri violenti, è riuscito: non so quanti fossero gli infiltrati di cui hanno parlato o se ci fossero gruppi esasperati dalla manifestazione stanziale che hanno tentato di superare il blocco, in quelle condizioni onestamente mi sembrava impossibile. Tuttavia, a mio avviso, il problema è politico e verte su come si organizza una piazza: cosa vuole, dove vuole arrivare, come si misura con il Governo, come contrasta l’infiltrazione? Non ho risposte a queste domande ma di una cosa sono certo: bisogna tentare di superare le differenze, ridurre la litigiosità, mantenere la determinazione sulla critica all’apartheid e sul diritto alla resistenza ma tentare al contempo di parlare con tutta la società, non farsi ricacciare in un angolo ma parlare con tutta quella parte di società che è contraria all’occupazione sionista ma che non è ancora scesa in piazza, aiutare le associazioni palestinesi ad operare una sintesi progressiva, anche tenendo conto delle loro differenze, alimentate da un processo di occupazione che, nel tempo le ha divise. La manifestazione del 5 ottobre ha segnato un passaggio importante che va rivendicato: era importante che riuscisse, che il Governo non impedisse il diritto a manifestare, la responsabilità sulle violenze va tutta attribuita al Governo, alla gestione folle e scriteriata dell’ordine pubblico, come allargare la partecipazione è tutto compito nostro.



11/10/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: FPC per la città futura

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L'Autore

Francesco Cori

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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