Nella sua consueta rubrica “Invece Concita”, tenuta sul quotidiano la Repubblica, la giornalista De Gregorio ha pubblicato una lettera che solleva la problematica, spesso occultata, relativa alla Lingua de Segni, in uso in Italia (LIS) nella comunità sorda. Poiché chi scriveva metteva in luce vari ordini di questioni che andavano a confluire nella denuncia del mancato riconoscimento della competenza come titolo per l’accesso nelle graduatorie per l’insegnamento, provo a fare un po’ di ordine.
Intanto chi usa la LIS? I sordi che l’hanno appresa, come lingua materna o lingua seconda, e non sono solo oralisti (ovvero rieducati ortofonologicamente a parlare e a leggere il labiale); spesso i loro famigliari e amici, per ragioni ovvie di comunicazione affettiva, relazionale; coloro che pur udenti l’hanno appresa e la usano in contesti professionali.
Le modalità spontanee di apprendimento per vicinanza, per famigliarità, con i sordi, consentono di conseguire un risultato in termini di padronanza che, pur arrivando spesso a buone o eccellenti performances, non fa sì che chi la padroneggia la possa insegnare o utilizzare nell’interpretariato, cosa del resto comune a qualsiasi altro apprendimento linguistico.
Qui si apre un'altra dicotomia: la LIS non essendo stata riconosciuta dallo Stato Italiano come lingua minoritaria (a fronte di 70.000 sordi, anche se censiti in modo misto e irregolare rispetto alla definizione della loro “disabilità”, su cui tornerò), non dispone di uno statuto univoco rispetto alla metodologia, alle sedi, alla autorevolezza epistemologica con cui viene insegnata e appresa. Dunque, se vari sono i livelli di competenza, altrettanto varie le offerte di formazione e la tipologia dei titoli spendibili professionalmente.
Oggi in Italia esistono ottime scuole di LIS, tenute da Associazioni accreditate dalla comunità sorda e dall’Ente Nazionale Sordi (ENS), che rilasciano diplomi ad almeno due livelli (ma come per le certificazioni europee di Lingua2 anche 3, 4, rispetto alla competenza): standard-base, assistenza alla comunicazione (titolo che permette di accompagnare nell’apprendimento a scuola gli alunni sordi), interpretariato. Torna dunque impellente per riordinare tutta la materia, la necessità di ottenere dallo Stato il riconoscimento come lingua minoritaria, diritto sancito dagli art 3 e 6 della Costituzione. Diritto di cui si sono fatte tramite varie proposte di legge, depositate, mai entrate in calendario per l’esame legislativo previsto, presto decadute, ancora riproposte. Questo malgrado esistano Risoluzioni Europee dal 1988 che ne raccomandano il riconoscimento, le iniziative delle regioni Marche e Sicilia che hanno introdotto la LIS come servizio di interpretariato nei pubblici uffici, e la tutela che i tribunali - a tutti i livelli - offrono ai soggetti sordi coinvolti in procedimenti legali. Senza questo passaggio istituzionale (i Presidenti di Camera e Senato Boldrini e Grasso, al loro insediamento, promisero di sollecitare le commissioni parlamentari) rimarrà inevitabilmente la pluralità formativa di cui abbiamo detto.
Facciamo un inciso epistemologico, linguistico. La LIS non è un metodo (come afferma in buona fede la persona che scrive alla De Gregorio) ma una lingua in senso pieno, dotata di un storia evolutiva, creaturale, un vocabolario, una grammatica, dunque la potenzialità tipica delle lingue umane di raccontare il mondo e di fare anche del sordo “l’animale che si parla”. Tra l’altro nel caso della LIS, tale potenzialità espressivo-cognitiva-affettiva è accresciuta proprio da una sua specificità, l’uso delle mani che segnano, che si librano nello spazio, rendendola appunto una lingua gestuale e spaziale. Prima della diffusione divulgativa della importanza dei neuroni-specchio e del gesto, genericamente inteso, per la implementazione della LIS in Italia, il CNR promosse, dal 1982 al 1987, una sperimentazione nelle scuole, in regime d’integrazione fra bambini udenti e sordi. L’Istituto di Sviluppo Cognitivo titolare del protocollo sperimentale (a Roma, Padova e Treviso) lavorò al progetto “Grammatical Regularity in Sign Language and Homesign” sotto la supervisione di Virginia Volterra. Nel 1996, la Volterra pubblicò numerosi testi destinati a diventare dei classici per chiunque si occupi di questa lingua. Lingua che, grazie a questi lavori, veniva ad acquisire, per i soggetti sordi – o udenti – cresciuti con genitori sordi segnanti, lo status e le caratteristiche di una Lingua Materna. Non solo, ma la sperimentazione arrivò alle risultanze degli studi condotti in altri paesi: anche gli udenti godevano, grazie all’apprendimento della LIS, di un effetto di precocizzazione di altri apprendimenti. Soprattutto, acquisivano, come accade quando in età infantile si impara una lingua seconda, uno sguardo più acuto, una competenza e un uso migliori della propria lingua madre.
E veniamo all’ultimo aspetto segnalato nella lettera, in realtà centro e scopo della denuncia. La LIS non costituisce titolo per entrare nella graduatoria per l’insegnamento curricolare, ma solo in quelle per insegnamenti speciali. A tale proposito riprendo alcune considerazioni. Sicuramente manca ancora la conoscenza diffusa del fenomeno LIS, manca la sensibilità alle tematiche che essa propone ma, soprattutto, vige la relazione fra normalità e handicap, in termini di maggioranza e minoranza, in ragione del mancare della parola da parte del sordo. Il sordo è nelle nostre società un disabile, un soggetto in deficit, forse “diversamente abile”, secondo le recenti ipocrite definizioni ministeriali. Pertanto, i titoli acquisiti dagli aspiranti non producono incremento di punteggio. Mi faceva notare una Dirigente Scolastica che, nella famosa (e famigerata) chiamata diretta dei docenti voluta dalla legge 107/15, anche in scuole con presenza di alunni sordi la sua competenza non è stata considerata titolo valutabile nel curriculum di presentazione al dirigente. Forse anche a livello di contrattazione sindacale occorrerebbe un’attenzione al problema, finora mancata.
Insomma, la strada è ancora lunga e non propriamente ben lastricata, nemmeno di buone intenzioni.