Addio abuso d’ufficio

E’ stato abolito il reato di abuso d’ufficio, considerato superato, inutile e inefficace nella lotta alla corruzione, anche con l’idea di liberare i funzionari e gli amministratori pubblici dalla paura della firma, dal timore di sbagliare, in vista dell’accelerazione della macchina burocratica. Ma è davvero così? 


Addio abuso d’ufficio

L’Italia dice addio dopo 94 anni all’abuso d’ufficio. Con 199 voti favorevoli e 102 contrari, la Camera dei deputati nella seduta del 10 luglio ha dato il via libera definitivo al disegno di legge 1718, firmato dai ministri della Giustizia e della Difesa, Carlo Nordio e Guido Crosetto, che tra l’altro cancella il reato di abuso d’ufficio dal nostro ordinamento penale. Respinti tutti gli emendamenti proposti dalle opposizioni, che in aula si sono però presentate in ordine sparso, con Italia Viva e Azione che hanno appoggiato la maggioranza di destra e gli altri pronti a denunciare l’arretramento compiuto dal governo Meloni di fronte alle prevaricazioni della pubblica amministrazione e ai fenomeni corruttivi [1]. Per Nordio, invece, “è una premessa sbagliata dire che l'abolizione dell'abuso d'ufficio sia un colpo alla lotta alla corruzione”, perché in realtà esso “riguarda soldi che vengono pagati”. Il reato “era così evanescente che poneva sotto indagine amministratori e sindaci per le questioni più svariate e su 5mila e passa processi instaurati ogni anno, che costavano la paralisi della PA e la paura della firma, ma anche la carriera politica e salute personale, non c'erano mai condanne. Abbiamo liberato 5mila e passa amministratori l'anno dalla paura della firma” [2], molti dei quali – anche a sinistra - in effetti auspicavano già da tempo tale riforma, potendo adesso tirare un sospiro di sollievo [3]. Ma è davvero così? Veramente l’abuso d’ufficio era (ormai possiamo parlarne solo al passato) un reato inutile, inefficace, superato, messo lì, all’interno del nostro codice penale, solo per spaventare i colletti bianchi, impedendo loro di fare il proprio lavoro? 

L'abuso d'ufficio faceva parte di quel gruppo di reati contro la pubblica amministrazione ricompreso tra gli articoli 314 e 360 del codice penale, il c.d. codice Rocco, dal nome del ministro della giustizia dell’epoca. Era regolato dall'articolo 323, che puniva “il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”, con un aumento di pena previsto quando “il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità”. La norma è stata rivista più volte nel tempo, da ultimo nel 2020 (governo Conte bis) con l’inserimento della frase "specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge da cui non residuano margini di discrezionalità", per delimitarne meglio il raggio d'azione ed evitare i dubbi interpretativi causati dalla precedente formulazione più generica, scongiurando così la paura della firma che gravava su pubblici funzionari e amministratori [4]. Si trattava di un reato plurioffensivo, come si dice, in quanto il bene giuridico tutelato dalla norma penale non era solo il buon andamento della pubblica amministrazione, ma anche il patrimonio del terzo danneggiato dall'abuso compiuto dal pubblico funzionario. Autori del reato potevano essere solo il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che agivano nello svolgimento delle loro funzioni o servizi compiendo qualunque specie di atto o di attività da cui ne derivava un ingiusto vantaggio patrimoniale per l’agente o un ingiusto danno per gli altri. Ma da adesso tutto questo non c’è più, cancellato con un colpo di spugna. 

Chi si è dichiarato favorevole all’abolizione dell’abuso d’ufficio ha utilizzato sostanzialmente queste giustificazioni: a) l’applicazione concreta dell’articolo 323 del codice penale nelle aule di giustizia è stata molto marginale. Dalle statistiche giudiziarie emergono infatti pochissime condanne per abuso d’ufficio (nell’anno 2021 solo 27, oltre a 39 patteggiamenti), a fronte di un elevato numero di iscrizioni nel registro degli indagati (4.745, sempre nel 2021), la maggior parte delle quali si è poi risolta con una archiviazione. L’abolizione del reato consentirebbe allora di alleggerire il lavoro dell’apparato giudiziario, liberandolo da indagini che si risolvono spesso in un nulla di fatto ed evitando anche il clamore mediatico che suscita un avviso di garanzia o un rinvio a giudizio che poi approdano a niente [5]; b) il sistema dei delitti contro la pubblica amministrazione presente nella nostra legislazione penale è così articolato da consentire di perseguire adeguatamente gli abusi di funzionari e amministratori pubblici ricorrendo ad altre più specifiche norme punitive; c) è sempre possibile applicare - anche ai reati commessi dai pubblici agenti - l’aggravante prevista dall’articolo 61 n. 9 del codice penale per tutti i reati (“l’aver commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio”); d) il nostro sistema giuridico prevede comunque un insieme di rimedi preventivi e repressivi di natura disciplinare, contabile ed erariale tale da assicurare sempre una completa tutela degli interessi pubblici contro i funzionari e gli amministratori infedeli; e) l’articolo 323 è formulato in modo molto generico ed impreciso, lasciando così ampi margini di discrezionalità ai magistrati. 

Si tratta, com’è evidente, di argomenti facilmente criticabili [6]. Il ridotto numero di condanne per abuso d’ufficio non può certamente giustificare da solo la cancellazione della norma incriminatrice. Vi sono, infatti, nel nostro ordinamento giuridico diverse norme che puniscono reati che finora sono state applicate assai raramente o addirittura mai, ma che nessuno si sognerebbe di abrogare. Stiamo parlando, tanto per fare due esempi, del favoreggiamento bellico (articolo 247 del codice penale) o dell’attentato contro il presidente della Repubblica (articolo 276). Ancora, lo squilibrio fra il numero delle iscrizioni nel registro degli indagati e il numero delle sentenze di condanna per il reato di cui all’articolo 323 dipende non tanto dalla cattiva qualità della norma penale abrogata, quanto da fattori ben più ampi e generali, che coinvolgono la struttura stessa del processo penale italiano. La patologia non è allora il reato di abuso d’ufficio in sé, quanto l’atteggiamento di certi pubblici ministeri che iscrivono nei registri penali qualunque denuncia o esposto, anche quelli più infondati, mettendo in piedi una macchina giudiziaria lenta, complessa, dagli esiti imprevedibili, che porta spesso all’archiviazione perché il fatto non sussiste, creando così il lamentato, quanto fisiologico squilibrio tra indagini aperte e condanne irrogate. Dall’abrogazione dell’articolo 323 del codice penale deriverebbe poi la mancanza di sanzione penale per tutti quegli abusi intenzionalmente commessi dai pubblici agenti a danno di altri in violazione di specifiche norme di legge e non concretizzati in un comportamento determinato, con un arretramento del nostro sistema penale e corrispondenti possibili danni per tutti i cittadini esposti alle azioni di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio infedeli. L’abolizione del reato di cui si discute qui lede anche lo spirito della Convenzione dell’ONU contro la corruzione del 2003 (la c.d. Convenzione di Merida), che all’articolo 19 prevede proprio l’incriminazione dell’abuso di ufficio, oltre che violare gli impegni assunti dall’Italia a seguito della sua adesione all’Unione europea [7]. Non appare adeguato il ricorso ad altri strumenti preventivi o repressivi in luogo della sanzione penale abrogata, per prevenire e punire appunto le ipotesi corruttive dei colletti bianchi, in quanto essi si sono rivelati inefficaci. Infine, l’abrogazione della fattispecie penale dell’abuso d’ufficio non elimina di per sé come per magia i comportamenti abusivi dei pubblici funzionari e amministratori, che continueranno comunque a delinquere, comportando l’applicazione degli altri reati contenuti negli articoli 314 e seguenti del codice penale per punire comunque le ipotesi delittuose denunciate. 

In realtà dobbiamo dire che questa abolizione è da considerarsi inaccettabile [8]. In un ordinamento democratico come il nostro, che dovrebbe basarsi sul bilanciamento tra poteri, essa infatti non permetterà più ad un potere, quello giudiziario, di controllare il rispetto delle leggi da parte degli altri poteri, realizzando in pratica un arretramento della nostra civiltà giuridica verso una concezione ormai superata del potere pubblico come potere discrezionale dell’agente, esponendo così i cittadini all’arbitrio della autorità pubblica. Con questa scelta l’Italia in pratica ha deciso di essere l’unica democrazia europea a non avere un reato specifico per punire il pubblico ufficiale che “intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale e arreca ad altri un danno ingiusto”, andando anche contro il parere di tanti magistrati [9]. 

L’abrogazione dell’articolo 323 comporterà nei fatti pure una amnistia mascherata, perché tutti coloro che sono stati fino ad oggi condannati per tale reato con sentenza passata in giudicato – e si parla di oltre tremila decisioni - potranno adesso chiedere la revisione della decisione, ottenendo la pulizia della loro fedina penale, mentre chi si trova ancora sotto inchiesta o sotto processo non potrà più essere inquisito o giudicato per un reato che non esiste più, senza contare che d’ora in poi diventerà semplicemente impossibile indagare, perseguire e punire le malefatte dei colletti bianchi o distinguere tra discrezionalità amministrativa e abuso. Che fare quindi? In Italia finora le abbiamo provate tutte per arginare la corruzione e il malcostume dei pubblici poteri, ma inutilmente. Abbiamo “cambiato repubblica, rinnovato i partiti, sostituito la classe politica. Sono apparse formazioni che hanno inscritto la moralità pubblica sulle loro insegne. Si è messo mano alle istituzioni (…). Si sono inventate istituzioni ad hoc, come l’Anac. A furor di popolo si è ridotto il numero dei parlamentari. Sono state inasprite le pene. Ma la moralità pubblica si è vieppiù degradata (…). Serve allora una rivoluzione culturale all’incontrario, che risvegli la critica anticapitalistica e proponga tutt’altri valori” [10].  

Note:

[1] Enrico Costa (Azione): "Noi dall'opposizione apprezziamo il lavoro del governo su questo disegno di legge"; Roberto Giachetti (Italia Viva): "E' il minimo sindacale"; Devis Dori (Avs): "i reati contro la pubblica amministrazione sono estremamente gravi e con questo disegno di legge c'è un vero arretramento rispetto alla tutela del cittadini davanti agli abusi della PA" (https://www.repubblica.it/politica/2024/07/10/news/ddl_nordio_camera_intercettazioni_abuso_ufficio-423386592/?ref=RHLF-BG-P1-S1-T1). 

[2] Ivi

[3] Per Matteo Ricci, primo cittadino di Pesaro e coordinatore di tutti i sindaci Pd, “nel Pd c’è stata una grande discussione sul tema: noi sindaci, pur rispettando la posizione dei parlamentari dem, che hanno votato contro il provvedimento, non possiamo che considerare quella di oggi come una vittoria” (https://www.ilriformista.it/abuso-dufficio-abolito-cancellate-3mila-condanne-lanm-va-subito-sulle-barricate-per-il-reato-prezzemolo-402451/).

[4] La riforma è stata rafforzata anche dal c.d. scudo erariale, cioè dalla possibilità di rispondere davanti alla Corte dei conti per danni cagionati solo con dolo.

[5] M. Adinolfi, Né paradiso garantista né inferno giustizialista, in La stampa, 11 luglio 2024: “l’abuso d’ufficio è un reato solo sulla carta (…). Uno legge la parola «abuso» ed è portato a pensare, per il semplice significato della parola, che, se si tratta di un abuso, non può trattarsi di una condotta particolarmente commendevole da parte del pubblico ufficiale (…). Ma poi guarda le statistiche e si accorge che le condanne si contano sulle dita di una mano, e l’unica pena che viene irrogata è, in sostanza, il ludibrio da cui è investito chi si becca l’imputazione e finisce a processo”.

[6] M. Parodi Giusino, La proposta di abolizione dell’abuso d’ufficio: discutibili ragioni e dannose conseguenze, in La legislazione penale, https://www.lalegislazionepenale.eu/la-proposta-di-abolizione-dellabuso-dufficio-discutibili-ragioni-e-dannose-conseguenze-manfredi-parodi-giusino/.

[7] In Commissione europea si sta discutendo di un nuovo progetto di direttiva anticorruzione, che prevede espressamente la conservazione di una fattispecie di reato per punire "l'esecuzione o l'omissione di un atto, in violazione delle leggi, da parte di un funzionano pubblico quando ne ha ottenuto un indebito vantaggio". 

[8] M. Parodi Giusino, cit. 

[9] Per Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia, l’abolizione è “un grave errore: si sta rimuovendo un presidio della legalità dei comportamenti dei pubblici poteri, compreso quello della magistratura”, in https://www.repubblica.it/politica/2024/07/11/news/abuso_ufficio_legge_cosa_succede_ora-423389067/?ref=RHLF-BG-P5-S1-T1; per Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, “l’idea che i sindaci avessero paura di firmare gli atti amministrativi per timore di essere indagati è ridicola. I sindaci prima di firmare potevano consultarsi con il segretario comunale, il viceprefetto, lo stesso prefetto, tutti esperti di diritto amministrativo. E invece si è deciso per l’abrogazione. Di questo passo sarà sempre più difficile indagare su colletti bianchi e pubblica amministrazione. Se non è un regalo ai colletti bianchi, poco ci manca”, in G. Barbacetto, “Un regalo ai colletti bianchi: iniziato tutto con Tangentopoli”, intervista a Nicola Gratteri, in Il fatto quotidiano, 11 luglio 2024.

[10] A. Mastropaolo, La corruzione e il capitalismo: il dito e la luna, in il manifesto, 26 maggio 2024.

09/08/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Ciro Cardinale

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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