Le elezioni municipali portoghesi dello scorso 12 ottobre hanno chiuso un ciclo elettorale intenso e fortemente politicizzato, con implicazioni che superano la dimensione locale, soprattutto in quanto hanno avuto luogo poco dopo la formazione del governo di minoranza guidato da Luís Montenegro, la cui agenda di destra è stata più volte denunciata dal Partido Comunista Português (PCP) per la sua natura neoliberale, centralizzatrice e regressiva sui diritti. In questo quadro, la consultazione è stata inevitabilmente letta anche come un test nazionale. I numeri generali lo confermano: affluenza al 59,3%, la più alta degli ultimi vent’anni, e un “sorpasso” del Partido Social Democrata (PSD) di Montenegro che conquista 136 sindaci contro i 127 del Partido Socialista (PS), con successi nei grandi centri come Lisbona e Oporto, e vittorie simboliche a Sintra e Vila Nova de Gaia. Dal canto suo, l’estrema destra di Chega, pur sfiorando il 12% dei voti complessivi, traduce il dato in appena tre municipi conquistati, un risultato inferiore alle proprie ambizioni dopo il balzo delle legislative.
Per la CDU (Coligação Democrática Unitária), la coalizione elettorale che riunisce i comunisti e gli ecologisti del PEV (Partido Ecologista "Os Verdes"), il bilancio non è lusinghiero, ma neppure privo di elementi positivi. Nei consigli municipali la lista della sinistra ottiene il 5,74%, scendendo sotto i cento consiglieri e passando da 19 a 12 municipi guidati. La perdita delle capitali distrettuali di Setúbal ed Évora è dolorosa, perché indica la pressione congiunta esercitata dal voto utile di centro-sinistra e dallo spostamento complessivo del baricentro amministrativo verso il blocco di centro-destra. Ma l’analisi che il PCP ha reso pubblica all’indomani del voto invita a non scambiare l’arretramento con una resa. La coalizione conserva infatti una presenza territoriale significativa e riconquista o consolida comuni nel suo “arco rosso” storico: Aljustrel, Montemor-o-Novo, Mora e Sines si aggiungono a Palmela, Seixal, Sesimbra, Silves, Cuba, Avis, Barrancos. Dodici maggioranze, quattro delle quali nuove, smentiscono l’idea di un crollo e dimostrano che laddove, il lavoro sociale e amministrativo della CDU è riconosciuto, l’elettorato continua a premiare un progetto di governo municipale fondato su partecipazione, servizi pubblici e programmazione.
Segnali importanti per i comunisti arrivano anche dalla capitale. A Lisbona, infatti, il risultato della CDU è in controtendenza rispetto alla media nazionale, mentre l’elezione in consiglio comunale di João Ferreira conferma la coalizione come forza portatrice di soluzioni e come unico progetto realmente alternativo alla gestione condivisa, da oltre due decenni, dell’asse PS-PSD. In una città segnata da gentrificazione spinta, emergenza abitativa e pressioni speculative sul patrimonio pubblico, la presenza comunista nel municipio assume un valore politico e sociale che va oltre la rappresentanza aritmetica, rappresentando un presidio per una politica urbana fondata sul diritto all’abitare, sulla mobilità pubblica, sulla difesa degli spazi comuni e sul riequilibrio tra turismo e vita quotidiana dei residenti.
Il Comitato Centrale del PCP, riunitosi subito dopo le elezioni, ha collocato con lucidità l’esito in un quadro nazionale e mediatico avverso. La consultazione locale è stata “nazionalizzata” dall’inizio alla fine, complice una campagna permanente di anticomunismo fatta di distorsioni e silenzi, il bombardamento mediatico su forze e concezioni reazionarie e la promozione di liste senza radicamento territoriale reale. A ciò si sono aggiunti cambi forzati di candidati in non pochi municipi e ostacoli amministrativi e politici a gestioni comuniste che hanno limitato la visibilità dell’azione svolta. Eppure, ovunque la CDU governi, il confronto con il voto delle legislative di maggio mostra un recupero di consenso, indice che la relazione quotidiana con le popolazioni, l’ascolto e la prossimità restano il punto di forza del progetto comunista.
Se lo sguardo si allarga all’insieme del sistema, i comunisti individuano con chiarezza i tratti di una restaurazione liberista che minaccia l’autonomia del potere locale e i diritti sociali. La vittoria del PSD e delle sue coalizioni è stata favorita anche dall’uso strumentale dell’apparato statale, mentre il PS ha difeso posizioni chiave ma ha perso la leadership a vantaggio del centro-destra. Dal canto suo, Chega, nonostante la spinta nazionale, si è rivelato assai meno competitivo sul terreno amministrativo; tuttavia, la sua crescita in termini di consiglieri potrebbe renderlo un fattore di destabilizzazione in varie giunte, spingendo verso un’agenda securitaria e punitiva priva di risposte strutturali ai problemi di salari, sanità e casa.
Il punto di vista del PCP lega il voto del 12 ottobre alla condizione materiale del Paese. I salari e le pensioni restano bassi, mentre i profitti dei grandi gruppi crescono; il Servizio sanitario nazionale è afflitto da liste d’attesa e carenze di personale; la crisi abitativa espelle famiglie e giovani dalle città e alimenta una spirale speculativa; la scuola pubblica soffre di sottofinanziamento e precarizzazione. In queste condizioni, il governo di centro-destra guidato da Montenegro e reso possibile dall’atteggiamento del PS, avanza un “pacchetto del lavoro” che, come denunciano i sindacati e il PCP, faciliterebbe licenziamenti, allungherebbe i contratti a termine, reintrodurrebbe strumenti di flessibilità unilaterale e limiterebbe il diritto di sciopero. Non stupisce, dunque, che la campagna elettorale municipale si sia intrecciata con la mobilitazione sociale che culminerà nella Marcia nazionale dell’8 novembre convocata dai principali sindacati e sostenuta dal Partito Comunista, che insieme hanno chiesto il ritiro immediato delle misure e l’apertura di un vero dialogo sociale nel rispetto della Costituzione.
Dentro questa cornice, la piattaforma politica del PCP resta l’unica ad indicare una rotta realmente alternativa, non come esercizio retorico ma come serie di misure immediate e praticabili: aumento del salario minimo a 1000 euro, valorizzazione straordinaria delle pensioni con recupero a inizio anno, riduzione generalizzata dell’orario settimanale a 35 ore senza perdita di salario nel pubblico e nel privato, riconoscimento della specifica penosità del lavoro notturno e a turni con una compensazione adeguata e diritti previdenziali rafforzati, politiche per fissare i professionisti nel Servizio sanitario nazionale e per contenere l’esplosione delle rendite abitative. È questo zoccolo sociale che dà senso all’azione politica dei comunisti portoghesi, sia a livello locale che a livello nazionale.
In conclusione, se il risultato del 12 ottobre fotografa un arretramento elettorale, la traiettoria politica che ne discende per il PCP è tutt’altro che difensiva. L’indicazione del Comitato Centrale è di alzare il livello dell’iniziativa, dentro e fuori le istituzioni. Parlamentarizzare i conflitti sociali, proponendo leggi che invertano la rotta sul lavoro e sulla casa, e al tempo stesso socializzare la politica con campagne di massa che ricompongano un blocco popolare largo, diventa la chiave per impedire che la “normalizzazione” di destra trasformi il potere locale in un contenitore vuoto. La partita del bilancio 2026 sarà il primo banco di prova: un documento impostato su bassi salari e compressione degli investimenti pubblici va respinto non con appelli generici, ma con un elenco concreto di priorità finanziabili e con la costruzione di maggioranze sociali in grado di sostenerle.
