A Kobane le valorose combattenti curde versano il loro sangue per difendere la causa della liberte dell'autogoverno del Rojava, mentre gli Usa e i loro alleati conducono una guerra a bassissima intensità contro lo Stato islamico. Nel frattempo alcuni paesi europei acquistano petrolio da Al Baghdadi, non vengono sanzionate le attivià tfinanziarie dei terroristi neri e gli uomini di Al Qaeda confinano con Isarele, senza dargli troppe noie. Il Califfato svolge una funzione di stabilizzazione reazionaria di tutta l'area?
A inizio ottobre il Pentagono affermava per bocca dell'ammiraglio John Kyrby che gli attacchi aerei della coalizione guidata dagli Usa contro l'Isis non avrebbero salvato Kobane. La città difesa eroicamente dai combattenti curdi delle Unità di Difesa del Popolo (YPG) e delle Unità di Difesa delle Donne (YPJ) invece non è caduta e con essa l'esperienza dell'autogoverno popolare del Rojava. La sua resistenza eroica illumina ancora adesso, dopo mesi di combattimenti, tutta quell'area straziata dagli orrori della guerra, come una stella rossa di speranza.
Certo, dopo quella dichiarazione è accaduto qualcosa: gli attacchi della coalizione occidentale sono aumentati di numero e i curdi siriani hanno finalmente ricevuto qualche rinforzo da parte dei peshmerga curdo-iracheni filo Usa, ai quali dopo tante resistenze la Turchia ha consentito di attraversare il suo territorio. Eppure, 800 missioni aeree in 90 giorni di campagna militare non sono moltissime. Per fare un confronto si può fare riferimento alla prima guerra del Golfo, quando gli alleati bombardarono l'Iraq di Saddam Hussein dal 17 gennaio al 23 febbraio 1991 con circa 100mila attacchi, sganciando 88mila 500 tonnellate di ordigni. Anche in quella coalizione anti-Saddam erano presenti molti dei paesi che attualmente partecipano alla campagna contro lo Stato islamico: oltre agli Usa e al Regno Unito, il Canada e l'Arabia Saudita.
Oggi l'amministrazione statunitense definisce i tagliagole del Califfato nero, come allora Saddam, un male assoluto (le parole sono del Presidente Obama in riferimento alla decapitazione di un altro ostaggio, l'americano Peter Kassig). D'altra parte, la demonizzazione del nemico è un elemento essenziale della propaganda di guerra. Tuttavia, la differenza di trattamento militare tra avversari irriducibili rimane del tutto evidente.
Ancora: nel caso dell'Isis non si è provveduto come in passato, e anche nel presente per quanto riguarda la Russia e l'Iran, a sanzionarne le attività bancarie e finanziarie, nonostante i fondamentalisti sunniti controllino da tempo le banche di una città come Mosul (quasi 3 milioni di abitanti). Peraltro gli uomini del Califfo Al-Baghdadi continuano a vendere il petrolio estratto dai pozzi in loro possesso per circa un milione di dollari al giorno. Sarebbe anche utile conoscere l'identità degli acquirenti.
L'ambasciatrice dell'Unione Europea in Iraq, Jana Hybaskova, all'inizio di settembre, riferiva alla Commissione Esteri del Parlamento Europeo che il gruppo terrorista aveva venduto greggio anche a Paesi europei non meglio identificati.
Non può sfuggire a nessuno che la capacità di attrazione del Califfato su molti giovani si fonda oltre che su un certo fascino ideologico, su una concreta liquidità monetaria, visto che i combattenti neri vengono pagati circa mille dollari al mese. Un fattore da non trascurare data l'aria che tira nelle periferie occidentali nell'anno settimo della crisi economica.
Gli aspetti piuttosto bizzarri del rapporto tra l'Isis e le potenze imperialiste occidentali in certi casi saltano addirittura agli occhi. Gli Usa si trovano nella curiosa situazione di fronteggiare in Siria l'Isis e anche il Fronte Al Nusra (ramo siriano di Al Qaeda), dunque - si potrebbe dire - trovandosi di fatto al fianco del tanto vituperato regime di Bashar Al Assad. Ma l'atteggiamento complessivo delle potenze occidentali appare piuttosto rilassato e certamente oscillante. Anche le dimissioni recenti del segretario di Stato alla Difesa, il repubblicano moderato Chuck Hagel, possono essere interpretate alla luce di dissensi e contraddizioni all'interno dell'amministrazione Obama sui rapporti con il governo siriano.
Hagel chiedeva in sostanza di puntare alla destituzione di Assad e a metà novembre una dichiarazione del presidente americano sembrava andare in questa direzione. Recentemente però il capo degli Stati Maggiori congiunti, Martin Dempsey, ha dichiarato che la sua missione è la lotta all'Isis e non il rovesciamento del regime siriano.
D'altra parte cos'è questo maledetto mostro dell'Isis? Si tratta di una scissione più radicale del ramo siriano di Al Quaeda (appunto Al Nusra) che combatte - guarda caso - contro i nemici storici di Stati Uniti, Israele e Turchia, ovvero Assad, l'Iran e i curdi (soprattutto quelli di Sinistra del PYD siriano legato al PKK). La pista dei suoi finanziamenti sembra partire da diversi paesi del Golfo, guidati da governi da sempre alleati degli Usa. In effetti, è interessante notare la curiosa situazione del confine israelo-siriano, le famigerate alture del Golan. L'85 per cento della linea di confine lunga quasi 70 chilometri è ormai in mano ad Al Nusra, eppure i maggiori problemi per l'esercito israeliano vengono dal 15 per cento controllato da Hezbollah, l'organizzazione armata libanese alleata di Assad.
Dunque c'è materia su cui riflettere per osservatori non embedded ovvero non al seguito dei mezzi di comunicazione di massa ufficiali. Un'ipotesi con cui si può interpretare la situazione apparentemente caotica del Medio Oriente, è che attualmente l'Isis svolga un ruolo di destabilizzazione/stabilizzazione per l'imperialismo occidentale a guida Usa. Entro certi limiti, il Califfato è prezioso come clava per intimorire l'Iran sciita (con cui è ancora aperta la vertenza sul nucleare), il regime siriano di Assad, la Russia sua alleata e i curdi meno obbedienti (PKK). Inoltre, l'Isis con le sue orribili azioni contro i diritti umani (decapitazioni, stupri e pratiche schiavistiche) fornisce buoni motivi per mantenere una presenza armata occidentale nell'area (altri 1500 marines sono stati inviati in novembre come consulenti del fragile esercito iracheno). Bisogna solo ricordarsi ogni tanto di dare qualche schiaffo al mostro quando diventa troppo aggressivo.
Tuttavia questa sofisticata strategia imperiale, se portata avanti in modo duraturo, rischia di dar vita a un incendio di enormi proporzioni: una guerra religiosa tra sciiti e sunniti che coinvolga l'Iran o perfino la Russia non si può dare per scontata come “danni collaterali”.
Se l'ipotesi di cui sopra è realistica, allora c'è bisogno più che mai di un nuovo e vasto movimento per la pace e contro l'imperialismo: prima che la follia di un capitale internazionale affamato di materie prime e commesse pubbliche militari ci getti in una nuova guerra sanguinosa e regressiva.
Sitografia per ulteriori approfondimenti:
La Stampa sulla situazione al confine tra Israele e Siria:
http://www.lastampa.it/2014/11/08/esteri/sulle-alture-del-golan-aspettando-al-qaeda-sJUKFG4L8OffKn0ukinmkM/pagina.html
La Stampa sulla vendita di petrolio a Stati europei da parte dell'Isis:
http://www.lastampa.it/2014/09/16/esteri/soldi-e-petrolio-anche-leuropa-ha-aiutato-lisis-1N25Ne64n7aDkbsZbhRlQP/pagina.html
Lettera 43 sui patrimoni dell'Isis non sanzionati:
http://www.lettera43.it/politica/usa-lo-strano-caso-dei-patrimoni-isis-non-sanzionati_43675147589.htm
Wikipedia per i dati sulla campagna aerea nella Prima Guerra del Golfo:
http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Golfo#La_campagna_aerea
Da non perdere l’articolo di Lucio Manisco per il nostro giornale:
http://www.lacittafutura.it/mondo/un-califfato-ad-utilita-variabile-per-gli-usa.html