Italia terra da colonizzare. Scendono in campo multinazionali e personaggi discutibili. Il Governo Renzi, complice, concede il territorio dando spazio al malaffare. Il referendum sulle trivellazioni, le indagini giudiziarie e prospettive incerte si intrecciano in questi giorni amari.
di Guido Capizzi
Il 17 aprile si vota il referendum sulle trivellazioni. Il comitato per il “SI” ha impegnato molte forze per convincere che l’astenersi e il “NO” costituiscono un male essendo complici di danni ambientali. Intanto, in questi giorni amari, sono in corso inchieste giudiziarie che hanno fatto dimettere una ministra del governo Renzi, chiamando nella danza macabra anche un’altra ministra già sotto la lente per il brutto affare delle banche tossiche salvate dallo stesso governo.
Un intreccio di malaffare e mala-politica, una situazione buia in cui c’è il progetto Tempa Rossa, gestito da Total E&P Italia SpA che ha il 75% ed è operatore incaricato del progetto con la Shell che detiene il 25%. Le due grandi sorelle Total e Shell aumentano la loro presenza in Italia. Secondo Total il progetto avrà una capacità produttiva giornaliera di 50.000 barili di petrolio, 230.000 mc di gas naturale, 240 tonnellate di Gpl e 80 tonnellate di zolfo per 6 anni di estrazione. Altri investimenti sono stati previsti nella Val d’Agri per aumentare la produzione giornaliera e raggiungere l’obiettivo che Eni prevedeva di 104.000 barili.
Un importante investimento, 15 miliardi, sarà rivolto alla produzione di idrocarburi e alle infrastrutture per il gas. I numeri, però, sono severi: la crescita della produzione dovrebbe coprire il 16% del fabbisogno energetico primario in pochi anni, invece dell’attuale 8%. Ma la dipendenza energetica del Paese verso l’estero si ridurrebbe dall’82 al 65%, mentre si esporterebbe petrolio con beneficio di Total e Shell.
Ricordiamo che Tempa Rossa è un giacimento petrolifero situato nell'alta valle del Sauro, nel cuore della regione Basilicata, e coinvolge principalmente il territorio del Comune di Corleto Perticara in provincia di Potenza. La messa in produzione di 8 pozzi, la costruzione di un centro di trattamento oli dove gli idrocarburi estratti, convogliati tramite una rete di condotte interrate (pipeline), verranno trattati e separati nei diversi sottoprodotti (grezzo, gas combustibile, zolfo, GPL) e poi, a seconda del prodotto, spediti tramite canalizzazioni interrate, la costruzione di un centro di stoccaggio GPL (2 serbatoi interrati della capacità totale di 3.000 m³) dotato di 4 punti di carico stradale e la ostruzione o modifica di infrastrutture di servizio (adeguamento di strade comunali, realizzazione dei sistemi per l'alimentazione di acqua ed elettricità per il centro di trattamento, connessione alle reti esistenti per il trasporto e la distribuzione degli idrocarburi), sono le realtà che hanno eccitato Renzi e il suo governo e che hanno fatto aprire inchieste in corso con effetti devastanti per l’esecutivo.
Scoperto nel 1989, il giacimento Tempa Rossa, nella concessione Gorgoglione, è particolare per la natura degli idrocarburi presenti e per il suo contesto ambientale: situato tra il parco regionale di Gallipoli Cognato e il parco nazionale del Pollino, la concessione è nel cuore di una regione ad alto valore turistico per la bellezza dei suoi paesaggi; che si estende su un territorio geologico segnato da una sismicità non trascurabile e una rete idrogeologica complessa. Si dice Total si dice Francia. Si dice Tempa Rossa si dice Total.
Lasciamo un attimo in secondo piano ciò che deve rimanere in questi giorni in primo piano, cioè le vicende giudiziarie e politiche che odorano di malaffare più che di petrolio e gas. E tocchiamo un altro punto, quello del gas naturale estratto dagli scisti (lo “shale gas”, cioè il metano che viene sprigionato a causa della frantumazione delle rocce e che produce più gas serra persino del carbone e del petrolio). Per Tempa Rossa si prevede anche la possibilità di inserirsi in questo punto, nonostante la rivista statunitense “Climate Chance Letters” riporti il risultato di uno studio secondo cui il gas naturale estratto dagli scisti risulterebbe più inquinante rispetto ai tradizionali, al petrolio e al carbone e la Francia abbia già detto basta all’estrazione dei gas di scisto.
Certo, il problema non è il gas naturale in sé, ma il riversamento del metano nell’atmosfera. In Francia sono state bloccate le autorizzazioni concesse dal governo per lo sfruttamento dei giacimenti di gas di scisto. E cosa accadrà altrove? Forse soluzioni simili a quelle della Francia non avrebbero vita facile in Italia, se verifichiamo il ruolo che la stessa fonte ha per Eni e per i suoi alleati internazionali.