Burn Baby Burn

Le imponenti rivolte esplose spontaneamente nel centro dell’imperialismo mondiale, dopo l’ennesima provocazione degli apparati repressivi dello Stato nei confronti degli afroamericani, necessitano di trovare, al più presto, una direzione consapevole per non finire per essere declassate a fuochi di paglia.


Burn Baby Burn Credits: https://www.antudo.info/usa-rivolta-floyd/

L’ennesimo assassinio per motivi razziali di un afroamericano da parte dei tutori del (dis)ordine borghese, nel centro nevralgico dell’imperialismo mondiale, ha fatto esplodere imponenti e radicali manifestazioni di piazza in tutto il Paese. Abbiamo così l’ennesimo esempio di cosa significhi nei fatti la liberal-democrazia borghese “reale” [1], al di là della utopistica rappresentazione che ne forniscono i suoi ideologi apologeti. Ancora una volta il Paese che più si atteggia a livello internazionale a paladino della libertà e della democrazia, si scopre essere tra i più razzisti del mondo. I costanti abusi che subiscono gli afroamericani sono inferiori soltanto a quelli patiti nel loro Paese dai palestinesi a opera degli occupanti sionisti, non a caso insieme a un altro “modello” di “Paese moderato”, la monarchia assolutistica saudita, da anni i più fedeli partner internazionali degli Stati Uniti d’America.

Tanto più che il razzismo non è soltanto connaturato all’apparato repressivo dello Stato imperialista, ma è parte integrante del “sistema”, al punto che gli “esperti”, ancora una volta negando l’evidenza, hanno dapprincipio tentato di escludere il soffocamento quale causa di morte dell’ennesimo malcapitato afroamericano George Floyd.

Senza contare che il presidente degli Stati Uniti, pur essendo un suprematista bianco apertamente sostenuto dallo stesso Ku Klux Klan, mantiene una davvero incredibile popolarità nel suo Paese, tanto che – nonostante la disastrosa gestione della pandemia – rischia di essere nuovamente confermato alla guida del paese.

L’esplosione della popolazione afroamericana dinanzi all’ennesima, apparentemente del tutto gratuita, provocazione da parte degli apparati repressivi dello Stato – sfociata in imponenti manifestazione spontanee, che non sono indietreggiate dinanzi alla consueta repressione violenta della polizia – appare più che giustificata.

Al punto che, per la prima volta dopo tanti anni, in prima fila nelle vibranti proteste si sono schierati un numero ragguardevole di caucasici, a ulteriore dimostrazione che la misura è davvero colma. D’altra parte questa esplosione di vere e proprie rivolte spontanee nelle principali città del paese, con una determinazione che non si vedeva dagli anni Sessanta, è l’aspetto più incoraggiante e, al contempo – in quanto la realtà, come sapeva già Hegel, è in se stessa contraddittoria – l’aspetto più allarmante dell’attuale scenario, in quanto fa emergere nel modo più evidente l’assenza negli Stati Uniti di una forza politica e sociale in grado di dare a questo grandioso movimento spontaneo una direzione consapevole. Allo stesso modo colpisce la sostanziale carenza di intellettuali organici capaci di sviluppare in senso politico, mettendo in discussione il potere del grande capitale finanziario, questo pur grandioso movimento antirazzista.

L’impressione è che si rischi di trovarci dinanzi a l’ennesima jacquerie dei ceti sociali subalterni – certo di dimensioni insolitamente vaste – ma che corre il pericolo di consumarsi, ancora una volta, come la storia purtroppo ci insegna, in un nuovo e per quanto eclatante fuoco di paglia. Non si può in effetti dimenticare che non pochi mesi fa sono stati gli stessi afroamericani, che oggi a ragione insorgono, a consentire l’affermazione, nelle primarie democratiche, del candidato che più incarna la continuità del sistema dominante – in nome del T.I.N.A., ovvero del there is no alternative –, il conservatore cattolico Joseph Biden. Il quale si è recentissimamente dichiarato certo di avere assicurato il supporto attivo dell’elettorato afroamericano, in quanto rappresenterebbe l’unica reale alternativa al suprematista e apertamente xenofobo presidente Donald Trump.

In tal modo, per quanto inconsapevolmente, diversi afroamericani hanno, per la seconda volta consecutiva, contribuito in modo significativo alla battuta di arresto dell’unico candidato in grado di offrire un’alternativa reale al miliardario estremista di destra ora al potere. Si badi bene – come hanno dimostrato ampiamente le precedenti primarie, dove il realismo da uomo del corso del mondo di parte consistente dell’elettorato afroamericano aveva costituito la base di massa per la bocciatura del candidato, che si era decisamente imposto nel voto popolare (Bernie Sanders), a favore della candidata dell’establishment Hillary Clinton – trattasi non dell’unica reale alternativa sul piano esclusivamente ideale, ma anche dal punto di vista concreto e reale.

Dunque, in nome di un tanto disperato quanto miope realismo si è offerta di nuovo su un piatto d’argento al suprematista bianco Trump la possibilità di essere rieletto, nonostante gli innumerevoli disastri che la sua presidenza ha prodotto, contrapponendogli il miglior rappresentante del gattopardismo “democratico”, che mira a illudere che, con la sua elezione, tutto apparentemente cambi per far sì che in realtà nulla di sostanziale sia modificato o anche solo posto in questione.

Certo, la realtà è contraddittoria, dal momento che la principale giustificazione degli afroamericani per aver votato il candidato “democratico” più di destra, prima H. Clinton e poi Biden, è che dinanzi al pericolo di poter essere in ogni momento fermati, arrestati o freddati da un poliziotto, per i più futili motivi, non ci si potrebbe permettere il lusso dei caucasici di votare per un candidato realmente di sinistra. Per cui, fino a quando gli afroamericani saranno costretti a difendere la loro mera sopravvivenza e libertà personale, dinanzi a un sistema che ha perfettamente combinato, nei loro confronti, il classismo più spietato con il più vergognoso razzismo, difficilmente avranno tempo e modo per emanciparsi dall’ideologia dominante del “meno peggio”.

Da questo punto di vista è essenziale che le forze realmente di sinistra e i sinceri democratici negli Stati Uniti e nel mondo intero diano il massimo supporto alle lotte degli afroamericani contro il persistente razzismo, che mira a negargli lo stesso spirito dell’utopia, lo stesso principio speranza e le grandi ambizioni di poter trasformare in modo rivoluzionario l’ordine esistente.

Al contempo è indispensabile che le decisive manifestazioni di protesta spontanee siano in grado, quanto prima, di organizzarsi e di dotarsi di una direzione consapevole, che inizi da subito con l’isolare tutti gli infiltrati e provocatori che spingono queste sacrosante mobilitazioni a scadere nella mera vendetta o nel nichilismo, per cui si crede di dar sfogo alla propria rabbia colpendo indiscriminatamente, per limitarci a un esempio immediato, un’auto di lusso e un’utilitaria necessaria a un proletario per poter riprodurre la propria forza-lavoro.

Per altro la contrapposizione, sempre fomentata dall’ideologia dominante, fra i proletari sfruttati caucasici, gli afroamericani e i più recenti immigrati – ridotti dalla costante repressione in uno stato semi-servile – ha da sempre impedito lo svilupparsi negli Stati Uniti di un significativo movimento e partito della sinistra di classe. Senza contare che non solo unicamente la lotta di classe paga, ma costituisce anche la più efficace scuola in cui far maturare la stessa coscienza di classe. Da questo punto di vista è essenziale, per chiunque sia schierato a favore dell’ulteriore emancipazione del genere umano, che questo promettente scenario radicale di lotta non si esaurisca presto in un fuoco di paglia, ma che possa estendersi e consolidarsi superando la sacrosanta esplosione di rabbia dinanzi all’accaduto, per sviluppare su un piano politico la lotta, in modo da poter portare a casa dei risultati tangibili, che consentano in primo luogo agli afroamericani e ai più recenti immigrati di poter superare lo stadio di mera, ma indispensabile lotta per la sopravvivenza, per poter sviluppare delle più ampie ambizioni necessarie a una reale e radicale trasformazione della società esistente, tanto classista, quanto razzista.

Bisogna, del resto, avere sempre ben presente quanto sia importante sul piano internazionale, ma quanto sia arduo sul piano nazionale, lo sviluppo di un duraturo movimento di lotta radicale in uno dei centri nevralgici della reazione a livello mondiale. Da questo punto di vista è indispensabile che continuino a svilupparsi forme di scontro reale fra le forze che si battono per l’emancipazione del genere umano e chi agisce in funzione della sua de-emancipazione. Il rischio, altrimenti, è che il dibattito politico nel principale Paese imperialista si riduca a una dialettica tutta interna alla classe dominante fra le forze reazionarie rappresentate da Trump e le forze conservatrici rappresentate da Biden. Fra le quali è certamente preferibile sostenere queste ultime, nella speranza che la loro affermazione porti finalmente gli oppressi e sfruttati a potersi battere direttamente contro il loro nemico di classe e non contro il nemico del loro nemico, per quanto decisamente più aggressivo e sotto diversi aspetti pericoloso.

Anche perché in uno scenario politico ridotto, come avviene spesso in Europa, a uno scontro fra sostenitori dell’imperialismo europeo e sovranisti di destra, non di rado accade che proprio questi ultimi, per quanto più reazionari, possano apparire più dinamici e in grado di contrastare un esistente sempre più indifendibile e impopolare. Con il rischio di lasciare le piazze non allo scontro tra forze progressiste e potenzialmente rivoluzionarie e forze schierate a difesa del (dis)ordine costituito, come avviene oggi negli Stati uniti, ma a quello fra forze apertamente eversive, come quelle scese in piazza ultimamente in diversi Paesi del mondo con l’intenzione di rovesciare l’attuale sistema liberal-democratico borghese, per riaffermare delle forme più immediate e dirette di dittatura della borghesia, lasciando magari più spazio alla piccola borghesia per reprimere con la violenza le avanguardie delle classi subalterne.

Anche perché, purtroppo, al peggio non c’è mai limite, come hanno ampiamente dimostrato i governi reazionari statunitense, britannico, brasiliano o indiano e come dimostrerebbe un governo guidato da Salvini, Meloni e Berlusconi o un nuovo governo tecnico con alla testa Mario Draghi, forte di un consenso bipartisan. Per prevenire e non trovarci anche noi, prima o poi, in una situazione ancora meno agibile della presente e con una ulteriore riduzione delle stesse garanzie (formalmente) liberal-democratiche borghesi, è indispensabile mettere al più presto in campo una reale e credibile alternativa di sinistra, di contro ai meri conservatori dell’ordine costituito.

Note:

[1] Viste le continue, costanti provocazioni dell’ideologia dominante – che cercano di esorcizzare ogni critica di sinistra alle oggettive contraddizioni del modo capitalistico di produzione sottolineando le presunte nefandezze del “socialismo reale” – è indispensabile denunciare senza tregua le effettive nefandezze della “liberal-democrazia reale” borghese.

06/06/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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