Non ce ne vogliano analisti e tecnici della statistica, ma la rilevazione dei Lea (prestazioni e servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire alla cittadinanza) non dissipa dubbi e perplessità sulla tenuta della sanità italiana.
L'esperienza diretta riporta situazioni ben più preoccupanti di quelle scaturite dalle ultime rilevazioni basate su un sistema di ricerca che suddivide le prestazioni in tre macro aree: prevenzione collettiva, assistenza domiciliare e assistenza ospedaliera.
Le liste di attesa per visite specialistiche sono ancora lunghe e l'impatto della pandemia tutt'altro che scemato.
E allora è arduo parlare di appropriatezza ed uniformità delle prestazioni sanitarie se guardiamo alle condizioni in cui versano ospedali e strutture in gran parte del paese. Dalle aree meridionali ci si sposta verso il centro Nord per ricevere cure e visite indispensabili che nei comuni di residenza o non vengono erogate o, quando lo sono, risultano caratterizzate da tempi estremamente dilatati tra la richiesta e la erogazione del servizio verso e proprio.
Il Ministro Crosetto ha invocato in Parlamento l'aumento delle spese militari e la loro esclusione dai tetti di spesa tradizionali. Una decisione del genere sarebbe folle e fuori luogo e andrebbe invece applicata all'ambito socio sanitario assumendosi l'onere di decisioni politiche dirompenti rispetto alle regole di Maastricht.
I gravi ritardi, la crisi stessa della sanità Meridionale sono frutto di anni di disinvestimenti. Con l'autonomia differenziata dubitiamo che la situazione possa migliorare. Anzi, a nostro modesto avviso, peggiorerà ulteriormente.
Una prestazione appropriata è definibile come tale se i tempi di attesa sono ridotti ai mini termini. Se poi la stessa prestazione viene accordata in alcune Regioni e in altre no, viene anche meno il principio di uniformità che dovrebbe essere alla base dei sistemi scolastici, sanitari e delle prestazioni proprie del welfare.
Le prestazioni legate alla vaccinazione e alle attività ambulatoriali possono essere abbastanza uniformi sul territorio nazionale ma non la specialistica ambulatoriale. I controlli di prevenzione e determinate analisi necessitano di macchinari moderni ed efficienti, non sempre presenti o funzionanti in ogni provincia, e di medici specialisti in numero appropriato.
Se si taglia la spesa corrente per la sanità, le prestazioni non saranno mai all'altezza dei compiti. Non si tratta solo di razionalizzare la spesa pubblica ma soprattutto di accrescerla ove ce ne sia bisogno.
I tagli ai posti letto e alla terapia intensiva, la chiusura di strutture in nome della spending review hanno dimostrato, negli anni pandemici, che per la sanità ogni contrazione di spesa ha solo ripercussioni negative sulla salute pubblica.
E non registriamo alcuna inversione di tendenza rispetto alle politiche dei tagli e del contenimento di spesa. Ergo le situazioni maggiormente arretrate non potranno garantire prestazioni di qualità in tempi e modi adeguati ai bisogni collettivi e con il tempo rischiano di acuirsi le distanze tra Regioni.
Il report relativo all'anno 2020 mostra risultati al di sopra delle più rosee previsioni. Dai dati riportati numerose Regioni avrebbero riportato performances superiori alle aspettative. Ma il 2020 è stato l'anno della prima ondata di Covid e numerose prestazioni sono state sospese per affrontare l'emergenza pandemica. Non c'era sufficiente personale per garantire la cura agli ammalati di Covid e continuare ad erogare i servizi richiesti. Mancavano perfino gli spazi negli ospedali con interi padiglioni utilizzati per l'emergenza da coronavirus.
E di conseguenza nutriamo qualche dubbio sulle valutazioni e sui risultati ottenuti, tanto ottimismo ci pare infondato perché anche le Regioni più efficienti hanno sospeso per mesi molte delle attività ordinarie e non avevano spazi sufficienti e personale per far fronte all'ordinaria amministrazione.
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Se il barometro della sanità segna sempre bel tempo - Lavoce.info