La Germania? Non è “l’America”

Sono giovani e lasciano l'Italia in cerca di un futuro. Da soli, ma anche in coppie. Sono laureati e specializzati (anche troppo per gli standard teutonici), ma non conoscono il tedesco e per questo non trovano lavoro. Spesso si riciclano come camerieri e lavapiatti, incrociando la loro sorte con quella delle precedenti generazioni di emigrati.


La Germania? Non è “l’America”

Sono giovani e lasciano l'Italia in cerca di un futuro. Da soli, ma anche in coppie. Sono laureati e specializzati (anche troppo per gli standard teutonici), ma non conoscono il tedesco e per questo non trovano lavoro. Spesso si riciclano come camerieri e lavapiatti, incrociando la loro sorte con quella delle precedenti generazioni di emigrati.

Con l'aria che tira si sente parlare da diverso tempo di una nuova emigrazione italiana. Chi può se ne va via, quasi tutti gli altri dicono che se ne andranno appena possibile. Tra le mete preferite, se non la preferita, c'è naturalmente la Germania. Chi resta tira qualche accidenti alla Merkel, chi parte, o crede di poter partire a breve, parla della Germania così come un tempo assai lontano si parlava dell'America e si chiedevano in prestito alla mamma cento lire.
Oggi la mamma deve sborsare giusto qualcosetta in meno di cento euro per pagare un biglietto aereo per Berlino. Neanche due ore e per molti l'avventura può partire...
Sono ormai esattamente cinquanta anni da quando l'ondata migratoria verso la Germania, iniziata con l'accordo bilaterale italo-tedesco del 1955, aveva raggiunto il suo apice. Nel 1964 terminò di fatto l'emigrazione “assistita” e con la liberalizzazione della circolazione della forza lavoro all'interno della Comunità Economica Europea, il flusso verso nord proseguì senza più veri controlli ed assistenza da parte di uffici governativi. Il capitalismo tedesco aveva rialzato la testa dopo la sconfitta della seconda guerra mondiale e non tollerava più l'intromissione pubblica. La tanto sbandierata “liberalizzazione” significava però non solo meno assistenza tecnica, ma anche meno garanzie per i lavoratori. Anche gli italiani, come greci, turchi, spagnoli e portoghesi, erano quasi tutti manovali e i monopoli industriali cercavano in ogni modo di assumerli a condizioni sfavorevoli, usandoli in tal modo come arma di ricatto nei confronti degli operai tedeschi.
Il disegno padronale trovò nella massa degli italiani tanti, troppi lavoratori consapevoli e combattivi, tanto che sempre meno di loro riuscirono trovare un posto fisso. Furono preferiti i turchi, i quali, nonostante la riluttanza e la scarsa capacità di integrazione, facevano meno storie a
livello sindacale.

L'afflusso di italiani diminuì, ma restò abbastanza costante, tanto che la loro comunità in Germania dai 296.000 del 1964 è passata a circa 600.000 dei nostri giorni. Gli imprenditori si erano accorti che gli italiani erano comunque ottimi lavoratori e non ne potevano fare a meno. Tanti degli emigrati “vecchio stile” sono rimasti in Germania e i loro figli e nipoti si sono in gran parte integrati perfettamente e non è assolutamente difficile trovarne in posizioni sociali importanti.Da qualche anno a questa parte, parallelamente alla crisi politica, sociale ed economica in cui versa il nostro paese, è ripartito un flusso migratorio con caratteristiche completamente nuove.
Diversamente dalla generazione dei nonni, i quali erano braccianti, piccoli contadini poveri o manovali disoccupati, provenienti principalmente dal Sud, dalle isole o dalle Venezie, i nuovi “emigranti” vengono da ogni angolo del paese, hanno una buona istruzione oppure ottimi titoli professionali, parlano qualche lingua —ma non sempre il tedesco— e sono uguali ai propri coetanei del resto d'Europa, almeno nell'aspetto esteriore e nell'uso di dispositivi elettronici. Non mancano nemmeno giovani coppie o nuove famiglie, che partono verso la Germania con l'intenzione di dare ai propri figli un futuro migliore.
La gran parte di questi nuovi emigrati punta direttamente a Berlino, da dove proseguono a volte per altre città tedesche appena conosciuto meglio il paese. Non sono rari, e se ne registrano in modo crescente, casi di rientri in patria a causa di guai e problemi non messi in conto prima della partenza. Paradossalmente chi ha un profilo professionale medio-alto può avere maggiori difficoltà a trovare un impiego. Eclatante il caso degli infermieri professionali. Gli standard italiani sono talmente alti, che nessun ospedale o clinica ha in organico un posto che prevede una preparazione del genere. Sono centinaia le assunzioni negate per “Überqualifizierung”, eccesso di qualificazione; nessun dirigente vuole rischiare di dover discutere con un sottoposto che la sa più lunga di lui.

C'è poi un altro ostacolo che può rivelarsi esiziale: la lingua. Molti erroneamente pensano che basti parlare bene l'inglese. Se si è turisti non c'è problema, ma sul posto di lavoro di un certo livello senza un buon tedesco parlato e scritto non si va da nessuna parte. Va così a finire che laureati e tecnici si incontrano con gli emigrati della prima ora, i quali nel frattempo hanno aperto trattorie e ristoranti di successo, nelle cui cucine è molto facile trovare un posto da lavapiatti, anche se si è super-laureati. Ai piccoli imprenditori italiani in Germania piace molto discutere con gente colta.
Chi si impegna può anche diventare “pizzettaro” o cameriere, a meno che non decida di andare a lavorare in un call center per una ditta interinale, tedesca.

04/12/2014 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Corrado Lampe

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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