La crisi strutturale del capitalismo ripropone l’attualità della questione comunista e rilancia la necessità di una forza comunista all’altezza dei nostri tempi. Quanto questa evidente “semplicità” sia difficile a farsi, è dimostrato dalle difficoltà e dai limiti che caratterizzano la nostra esperienza.
In Italia, ma non solo, stiamo vivendo da tempo una fase storica segnata da una forte debolezza, irrilevanza di ruolo politico e frammentazione dei comunisti/e, che si contraddistinguono spesso per settarismo, opportunismo e scarso radicamento sociale. Il sistema capitalista con le sue evidenti contraddizioni è sempre più incapace di dare una prospettiva all’umanità eppure il comunismo viene percepito da un ampio senso comune come fenomeno residuale del passato, segnato da sconfitte storiche e lontano dall’immaginario collettivo.
Lo stesso percorso della rifondazione comunista è ben lontano dall’obiettivo che si era proposto di raggiungere, ovvero quello di ricostruire un punto di vista teorico, un programma ed una soggettività sociale e politica, capace di praticare una vera critica dell’esistente e prospettare un’alternativa di sistema.
Fare i conti con le sconfitte e la crisi politico organizzativa di questi anni, rappresenta un passaggio obbligato per cogliere le potenzialità dell’attuale situazione e rilanciare un ruolo utile dei comunisti/e: non è accettabile (né casuale) che all’interno del documento congressuale proposto dalla maggioranza uscente, manchi un bilancio rigoroso sulla nostra esperienza e al tempo stesso venga rilanciata la vecchia proposta del “soggetto unitario della sinistra”, già dimostratasi più volte fallimentare.
Questo congresso nazionale di Rifondazione Comunista rappresenta nell’attuale contesto, un passaggio decisivo per il futuro ed il ruolo del PRC. La vittoria del No al referendum costituzionale rappresenta una grande opportunità perché ha espresso il disagio profondo per la situazione sociale del nostro paese, una sonora bocciatura del governo Renzi ed il rifiuto anche solo intuitivo delle politiche di austerità insieme alla volontà espressa dai settori più coscienti di difendere la Costituzione. Questo voto ha evidenziato inoltre la mancanza di consenso nei confronti del sistema politico e dunque la sua vulnerabilità. Si apre una fase interessante che può invertire la tendenza e aprire nuovi spazi per l’alternativa e per la ripresa dei conflitti sociali.
Per impedire che questo grande potenziale si disperda in breve tempo, occorre indicare una prospettiva politica concreta che riteniamo debba esprimersi nell’obiettivo della piena attuazione della Costituzione del ’48: un’ampia coalizione sociale e politica ed un programma di fase antiliberista rivolto ai settori sociali colpiti dalla crisi rappresentano oggi una proposta concreta per lottare contro l’austerità e in grado di contrastare le derive reazionarie di destra che agiscono sulla guerra tra poveri, ma anche l’illusione della delega elettorale al M5S.
Tale obiettivo – facilmente comprensibile a livello di massa – è però incompatibile con le politiche di austerità dell’UE e con l’Euro (vedi art 81 sul pareggio di bilancio), divenuti la più evidente limitazione della sovranità popolare, come evidenziato dalla vicenda greca che ha dimostrato la irriformabilità di questa Europa e l’impossibilità di gestire “da sinistra” i diktat della Troika. Per il documento 2, tutto ciò, insieme alla evidente crisi dell’Unione Europea ed alla possibile implosione dell’Euro, pone all’ordine del giorno il tema della rottura con i trattati e con la moneta unica. Su questo la tesi B del documento alternativo delinea una precisa strategia, collegando strettamente trattati e moneta.
L’euro opera come una mano invisibile a dividere nazioni e popoli tra di loro ed al loro interno, svolgendo una funzione di gerarchizzazione tra paesi forti e paesi deboli. Per questo l’obiettivo di uscire dalla UE e dall’Euro ha un senso solo se strettamente collegato ad un piano di nuovo intervento pubblico in economia ed alla ripresa di un forte movimento di massa che sposti su basi anticapitaliste il tema della fuoriuscita, secondo un preciso programma di fase. Riduzione dell’orario di lavoro, difesa dei salari e delle pensioni con un sistema di indicizzazione che li tuteli dalla svalutazione, redistribuzione della ricchezza prodotta attraverso forme di reddito garantito, nazionalizzazione delle banche e dei principali settori industriali, riconversione ecologica delle produzioni, cancellazione del Jobs Act, della Riforma Fornero e ripristino dello Statuto dei lavoratori, autogestione delle aziende in crisi da parte dei lavoratori/trici, controllo popolare sui servizi, proprietà pubblica e uso sociale dei beni comuni e del patrimonio pubblico, blocco dei processi di svendita e di privatizzazione, tutela ambientale, prevenzione e messa in sicurezza dei territori, stop alle grandi opere inutili e dannose, diritto all’istruzione pubblica, alla casa ed alla salute.
Rompere con questa Europa si rivela tanto più urgente se si tiene conto del ruolo negativo finora svolto dall’UE sul piano globale, un ruolo sostanzialmente interno alla vocazione espansionistica ed aggressiva della Nato e degli USA. Ciò pone il tema cruciale di nuove relazioni internazionali, di una diversa collocazione e cooperazione internazionale, rispettose in modo rigoroso dell’art.11 della Costituzione: un diverso rapporto su base confederale tra popoli e paesi europei, senza la gabbia della moneta unica, la costruzione di un’unione euromediterranea, nuove relazioni con i BRICS.
Questa proposta di rottura può e deve procedere di pari passo con la costruzione di collegamenti orizzontali tra esperienze di lotta e di movimenti contro l’austerità a livello europeo ed internazionale per costruire una piattaforma comune.
Siamo consapevoli che la realizzazione di un simile programma implichi rapporti di forza che oggi sono molto lontani dalla realtà, ma questa è una proposta che parla chiaro a larghe masse di proletari e ai ceti sociali stressati dal liberismo, indicando una strada che nessuna destra e nessun riformismo possono fare propria o soltanto immaginare. In assenza di una chiara scelta di rottura nei confronti di questa Europa da parte dei comunisti e di un ampio arco di forze antiliberiste, l’iniziativa su questo terreno rimarrebbe in mano a forze nazionaliste, xenofobe e populiste. Non ci salveremo con generici appelli all’unità dei popoli o parlando di una generica e inconcludente “disubbidienza ai trattati”: così non saremo mai popolari, perderemo radicamento ed accentueremo la nostra autoreferenzialità.
Sul terreno del programma, del radicamento e della proposta politica, come comunisti, abbiamo la possibilità di tornare a svolgere un ruolo determinante e dunque superare la crisi politico-organizzativa di questi anni, solo se saremo capaci di produrre un profondo cambiamento nella linea e nel gruppo dirigente del PRC. E’ possibile affrontare su basi nuove, il tema dell’unità e della ricomposizione di un ampio blocco sociale, rimuovendo le logiche politiciste e perdenti del “soggetto unitario della sinistra”, che ci hanno finora condannato alla sconfitta ed alla marginalità.
Rifondazione del partito e costruzione di un ampio schieramento sociale e politico sono le due priorità, tra loro dialetticamente connesse, su cui deve lavorare il PRC in questa fase. Anticapitalismo, questione comunista e attualità del socialismo: su questo terreno si colloca oggi il ruolo autonomo, utile e non settario, il progetto della rifondazione comunista. Fuori da questa prospettiva, non c’è “cura del partito”, c’è solo ondeggiamento opportunistico, perdita di autonomia, cessione di sovranità e dunque liquidazione di fatto del partito.
Il profondo rinnovamento politico, culturale, di genere e generazionale, di cui il PRC ha urgente bisogno, è all’ordine del giorno di questo decimo congresso: sono questi i compiti decisivi e gli obiettivi di fondo che proponiamo con il documento 2 a tutte le compagne ed i compagni.