L’uomo inteso come il bourgeois, cioè nella sua dimensione privata, tende a proiettare, al di là della propria vita reale nella società civile – in cui la sua attività sociale è alienata – la propria essenza sul piano pubblico dei diritti di cittadinanza di cui gode nella sfera a lui altrettanto estraniata dello Stato [1]. Se l’uomo in carne e ossa generalmente, per la struttura dei rapporti sociali in cui vive, è alienato dalla propria essenza generica, di essa pare riappropriarsi, sebbene formalmente, nell’empireo del suo essere persona giuridica e sovrana dal punto di vista dei diritti politici. La sovranità popolare, affermata dalle costituzioni borghesi, è dunque fantastica, religiosa, in quanto formale e in stridente contrasto con la sovranità reale di chi detiene i mezzi di produzione e di sussistenza di cui abbisogna la classe lavoratrice, non fosse altro che per riprodursi in quanto tale. Lo Stato si pone dunque quale comunità fantastica, universalità irreale che pretende di prescindere dalla differenza, dall’alienazione, dalla schiavitù del lavoro salariato in cui vive l’uomo reale. Come osserva a questo proposito il giovane Marx, sviluppando la concezione della alienazione religiosa feuerbachiana, “Feuerbach prende le mosse dal fatto dell’auto-estraniazione religiosa, della duplicazione del mondo in un mondo religioso e in uno mondano. Ma [il fatto] che il fondamento mondano si distacchi da se stesso e si costruisca nelle nuvole come un regno fisso ed indipendente, è da spiegarsi soltanto con l’auto-dissociazione e con l’auto-contraddittorietà di questo fondamento mondano. Questo fondamento deve essere perciò in se stesso tanto compreso nella sua contraddizione, quanto rivoluzionato praticamente” [2]. Dunque la concezione idealista si sforza di dare veste razionale al dualismo religioso della società borghese, in cui lo Stato, l’astratto cittadino dovrebbe dominare l’individuo privato [3]. Tuttavia il reale, ovvero il razionale non astratto e idealizzato, non è l’uomo posto per sé solo a partire dalla totalità statuale, ma è l’individuo sociale, appartenente a una classe [4]. Sul piano statuale-giuridico tali determinazioni paiono azzerate, ma sono ben presenti sul piano reale della struttura e sono loro a porre, come funzionale alla base economica, detta sovrastruttura. Dunque, secondo Marx ed Engels “lo Stato oggettiva – esteriorizza, esprime – per se stesso l’interesse comune degli individui che affermano mediante esso stesso, nella divisione sempre più avanzata del lavoro, il loro interesse particolare; l’universale (politico) è dunque la forma illusoria (ipostatizzata), ma efficace, del comune (socio-economico). Quanto alla sua essenza, lo Stato esprime dunque il rapporto fra gli individui, e, mediante ciò, fra le classi che lo costituiscono” [5].
La forma religiosa è appropriata allo Stato politico per il perpetuarsi del dualismo fra bourgeois (individuo privato) e citoyen (cittadino) e funzionale alla proiezione da parte dell’uomo della sua vera esistenza nella sfera transeunte dello Stato. “Nella sua realtà più immediata, nella società civile, l’uomo è un essere profano. Qui, dove per sé e per gli altri vale come individuo reale, egli è una falsa apparenza. Viceversa nello Stato, nel quale l’uomo vale come ente generico, egli è il membro immaginario di una società fantastica, è spogliato della sua reale vita individuale e riempito di una universalità irreale” [6]. I rapporti sociali reali non sono affatto creati dal potere dello Stato; essi sono piuttosto il potere su cui si fonda la sovrastruttura statuale. Gli individui che dominano in questi rapporti – a parte il fatto che il loro potere deve costituirsi come Stato – devono dare alla loro volontà, condizionata da questi rapporti di classe determinati, un’espressione universale sotto forma di volontà dello Stato, di legge: espressione il cui contenuto è sempre determinato dai rapporti di proprietà che fanno della grande borghesia la classe dominante.
“Lo «Stato rappresentativo», lo Stato liberale moderno che Marx opporrà, lo vedremo più avanti, alla democrazia, viene così posto come sola forma adeguata a questa Herrschaft, «sovranità» o «dominio» politico, della borghesia, essa stessa in rapporto di corrispondenza necessaria alla sua supremazia economica. Rappresentativo nella forma, questo Stato è soltanto, dal punto di vista della sostanza, un «comitato incaricato di gestire gli affari comuni della borghesia». Non è altro, in un certo senso, che la borghesia stessa, ma considerata semplicemente in quanto istanza organizzatrice, e strumento coercitivo, che le permette di unificarsi in quanto classe (segnatamente come classe nazionale) e di dominare le classi sfruttate” [7]. Tanto più che, secondo Marx, la forma della repubblica parlamentare è quella che consente il dominio “più illimitato e più duro” da parte della borghesia a fronte della sua separazione in fazioni più o meno privilegiate nei regimi monarchici.
L’uguaglianza e la libertà, quali diritti dell’uomo borghese, sono prodotti dello sviluppo del valore di scambio che, affermandosi, provoca il dileguare delle società precedenti. Il mondo antico si fondava sulla schiavitù, mentre il mondo feudale sulla particolarizzazione dell’attività produttiva fondata sul privilegio politico. Solo il lavoro astratto, che si afferma con la società borghese, in quanto produttore di valori di scambio, rende possibile la sua espressione idealizzata nella forma di rapporti giuridici, politici e sociali fondati sui diritti umani alla libertà e all’eguaglianza. “L’interesse generale è appunto la generalità degli interessi egoistici. Se dunque la forma economica, lo scambio, pone da tutti i lati l’uguaglianza dei soggetti, il contenuto, la materia, sia individuale sia oggettiva, che spinge allo scambio, pone la loro libertà. Non solo dunque uguaglianza e libertà sono rispettati nello scambio basato sui valori di scambio, ma lo scambio di valori di scambio è anzi la base produttiva, reale di ogni uguaglianza e libertà. Come idee pure esse ne sono soltanto le espressioni idealizzate; e in quanto si sviluppano in rapporti giuridici, politici e sociali, esse sono soltanto questa base a una diversa potenza. E del resto la storia lo conferma. L’uguaglianza e la libertà in questa estensione sono l’esatto contrario dell’uguaglianza e la libertà antiche, le quali appunto non avevano come base il valore di scambio sviluppato, ma anzi crollano con lo sviluppo di quest’ultimo. Uguaglianza e libertà presuppongono rapporti di produzione non ancora realizzati nel mondo antico, e nemmeno nel Medioevo. Base del primo è il lavoro coercitivo diretto; la comunità poggia su questa base che è un fondamento realmente esistente. Base del secondo è il lavoro stesso come privilegio, come lavoro ancora nella sua particolarizzazione, e non come lavoro generale che produce valori di scambio” [8].
Note:
[1] Tale alienazione ed estraneazione è analoga a quella dell’uomo religioso, che proietta inconsapevolmente la propria essenza generica in un dio, che venera come proprio creatore, in quanto non capisce che anche la divinità è un prodotto storico della civiltà umana. Perciò, come denuncia il giovane Marx: “religiosi sono i membri dello Stato politico per il dualismo fra la vita individuale e quella di genere, fra la vita della società borghese e la vita politica; religiosi, in quanto l’uomo si rapporta come a sua vera vita alla vita statale, al di là della sua individualità di fatto; religiosi, per quanto la religione rappresenta qui lo spirito della società borghese, la separazione e l’allontanamento dell’uomo dagli uomini.” Bauer, Bruno, Marx, Karl, La questione ebraica [1844], tr. it. di Tomba, M., Manifestolibri, Roma 2004, pp. 372-73.
[2] Marx, Karl, Tesi su Feuerbach [1845], in Marx-Engels, Le opere, Editori Riuniti, Roma 1971, pp. 188-89.
[3] “Si potrà osservare – e questa idea è sempre presente nella successiva teoria marxiana sullo Stato, sebbene quasi mai in posizione dominante – che nella società civile, che «come tale comincia a svilupparsi con la borghesia», uno delle funzioni dello Stato consiste nel regolare il conflitto tra l’interesse privato dei singoli borghesi e quello pubblico del sistema.” Hobsbawm, Eric J., Gli aspetti politici della transizione dal capitalismo al socialismo, in AA. VV., Storia del marxismo, vol. I, Einaudi, Torino 1978, p. 250.
[4] Per cui, ad esempio, il capitalista possiede il suo “potere, non in virtù delle sue qualità personali o umane, ma in quanto è proprietario del capitale.” Id., Manoscritti economico filosofici del 1844 a cura di Bobbio, Norberto, Giulio Einaudi editore, Torino 1968, p. 29. Mentre “per l’economia politica i bisogni dell’operaio sono quindi soltanto il bisogno di mantenerlo durante il lavoro in tale misura che la razza degli operai non si es[tingua]” ivi, p. 90.
[5] Bourgeois, Bernard, Philosophie et droits de l'homme: de Kant à Marx, éditions PUF, Parigi 1990, p. 113. Bourgeois aggiunge in nota un’altra interessante considerazione: “sia detto en passant, Jaurès – come altri, del resto – ci pare abbia torto a rimproverare a Marx di non aver colto che lo Stato non esprime una classe ma un rapporto di classe. In effetti, secondo Marx, lo Stato esprime la classe dominante, cioè la esprime in quanto essa domina, per cui esprime il dominio di tale classe, che è certamente un rapporto [di dominio] fra essa e le classi subalterne” ibidem.
[6] Bauer, Bruno, Marx, Karl, La questione …, op. cit., p. 184.
[7] Kouvélakis, Eustache, Marx e la critica della politica, in Musto, Marcello [a cura di], Sulle tracce di un fantasma. L'opera di Karl Marx tra filologia e filosofia, Manifestolibri, Roma 2005, p. 197.
[8] Marx, Karl, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, tr. it. di Grillo, E., Nuova Italia, Firenze 1968, p. 214.