Una commedia italiana del regista romano Paolo Genovese, improntato su incastri narrativi e su dialoghi efficacemente autentici. L’aspetto della vita segreta dei personaggi viene messo alla luce da una serie di circostanze paradossali, durante una cena fra amici. Un film di una cattiveria inaudita che racconta la società attuale, in cui prevalgono ipocrisia e falsi valori.
di Alba Vastano
Siamo tutti “frangibili”? Certamente sì. Colpa delle nostre tre vite, la privata, la pubblica e quella che nessuno sa, tranne noi stessi, la nostra vita segreta. Quello che nessuno sa di noi è la nostra frangibilità. Si passa una vita a tutelarla, ci vuole un attimo, un’occasione fortuita e sfortunata a rivelarla. Riunire i tre aspetti dell’esistenza, coniugarli in un’unica vita con la coerenza, non è opera della psicanalisi. È opera nostra. Così nel film di Genovese Perfetti sconosciuti, le tre vite dei sette protagonisti sono sottoposte a un durissimo esame, per un caso voluto dagli stessi, ai soli fini ludici peraltro. Lasciando che ad esplodere in situazioni paradossali e malvagie sia la vita segreta di ognuno.
Sì, perché la situazione precipita nel cinismo, per quanto poi nessuno saprà, se non la fantasia del regista che lascia allo spettatore libera interpretazione nelle vicende, se la bomba che scoppierà nelle relazioni amicizia-amore durante il convivio, sia solo una congettura, un’ipotesi buttata lì nel gioco al massacro proposto dagli stessi commensali. Una cattiveria inaudita si scatena nel convivio fra gli amici di una vita, fra una pietanza e l’altra, sfiorando la tragedia. La fine della vicenda si rivela spiazzante.
Un cast ben amalgamato scelto da Paolo Genovese, regista romano, che ha al suo attivo numerose pellicole fra cui Tutta colpa di Freud (2014). Un Mastandrea maturo professionalmente che calza a pennello la parte del libertino, esponendosi a boutade anche apprezzabili nel classico gioco degli equivoci. Un Marco Giallini, accogliente padrone di casa, che con Kasia Smutniak, la moglie nel film, formano una coppia conflittuale per le loro diversità. Lei psicologa di professione, ma anche nella vita familiare, soprattutto con la figlia adolescente che la detesta. Lui affermato professionista, bonario nella vita privata, esemplare e quasi trasparente anche nella sua privacy. Un padre amico che stabilisce con la figlia un rapporto di complicità, in opposizione alla cervellotica moglie-madre.
E Alba Rohrwacher, splendida nella parte della frizzante mogliettina innamorata che ripone una fiducia immeritata nel coniuge ganzo, belloccio e un po’ coatto, apparentemente privo di lati bui, ma che si rivelerà il peggior gaudente e trasgressivo fra tutti, quando scatta la dinamica perversa dell’antico gioco della verità. E poi c’è lui, Giuseppe Battiston, lo “scoppiato”. L’unico personaggio che appare single alla cena delle beffe. In realtà c’è una compagna fantasma nella sua vita, annunciata da tempo agli amici, ma mai presentata realmente. In realtà lui è gay, e Lucilla, la fantomatica compagna, è Lucio, il compagno della sua vita. Non ha fatto mai coming-out con gli amici di una vita per non esporsi al sicuro ludibrio e alle beffe goliardiche. Per loro fondamentalmente nutre, per quanto concerne i valori, disistima. E lo sviluppo della vicenda non potrà che dargli ragione.
La trama
La vicenda inizia ai fornelli. Eva e Rocco attendono i loro ospiti per una cena fra vecchi amici di una vita. Arrivano alla spicciolata in cinque: Cosimo e Bianca, Lele e Carlotta. Peppe per ultimo. Alle battute goliardiche che caratterizzano da sempre la loro intesa, segue la cena. E qui scatta l’idea e la sfida morbosa nello svelare la presupposta terza vita, quella segreta. Chi di loro ha segreti inconfessabili? Nessuno di loro ne uscirà pulito, resteranno vittime delle loro menzogne. Micidiale e incastrante sarà l’utilizzo, allo scopo, delle app scaricate sui rispettivi cellulari, che finiranno a viva voce sulla tavola imbandita. La sfida alla coerenza e alla presunta “ vita trasparente” dei personaggi è aperta. Nessuno ne uscirà indenne. Ne esce pulito solo Peppe, l’apparente single del gruppo. In crisi anche per la perdita del lavoro.
Gli altri verranno sommersi da menzogne, inghippi e sotterfugi del loro privato. Seguiranno una serie di chiamate, inframmezzate da immagini e “msg da whatsapp” che scateneranno sorpresa e ilarità, ma riveleranno anche inganni e tradimenti. Si intrecciano trasversalmente nella vicenda rimbeccamenti, ostilità represse, rancori mai sopiti, diffidenze e tradimenti, ma anche attimi di solidarietà e manifestazioni di amicizia verso le vittime più colpite dal micidiale gioco al massacro, di cui nessuno dei commensali aspettava simili imprevisti ed esiti massacranti e per tutti sfavorevoli. Lele, il ganzo sposino, riceve in direttissima un sms dall’amante incinta, ma anche una telefonata dal gioielliere da cui ha acquistato dei bijoux, mai arrivati a Carlotta, sua moglie. Monili sfoggiati (nda: si comprende nella sequenza di immagini) da Eva.
Cosimo, per un beffardo gioco delle parti con Peppe, si ritrova ad essere riconosciuto pubblicamente gay. Di Rocco si scopre il meno peggio delle trasgressioni. rivelate. Ricorre alla psicanalisi, forse per curarsi da una vita coniugale troppo psicanalizzata da Eva. E infine la rivelazione di Peppe, il migliore, che, per spirito di amicizia, infine fa coming-out per salvare Cosimo dal dileggio a cui è sottoposto e dall’ira di Bianca e dalla fine annunciata di un matrimonio. Il tutto si svolge sullo sfondo di un’eclissi di luna che adombrerà ancora più la serata, astuzia coreografica del regista che non aggiunge valore alla vicenda.
Sarà la colonna sonora del film, il cui testo è cantato dalla Mannoia, che ne è anche l’autrice, a dare un tocco di magia e romanticismo e ad addolcire una situazione tesa ed esasperata dal male di vivere e dalla menzogna. “Dove sei stato, in questi anni / quando tutto crollava intorno / ai nostri sogni e ai nostri affanni / hai mai pensato a quanti inganni / alle ferite in superficie / e a tutte quelle notti insonni / quando i silenzi si mettevano tra noi / e ognuno andava per i fatti suoi / come perfetti sconosciuti” (F. Mannoia).
Il film avrebbe forse reso ancor di più se fosse stata realizzato come pièce teatrale o se ci fosse stato nel tocco di Genovese la maestrìa scoliana a rendere la recitazione più caratterizzante dei personaggi e ad esaltare maggiormente le situazioni drammatiche o comiche, come negli indimenticabili La terrazza e La cena del regista recentemente scomparso.
In base ai recentissimi sondaggi (nda: il film è ancora nelle sale) è comunque, dopo il Quo vado di Zalone, uno dei film attualmente più visti. Richiestissimi i diritti di remake dalla Francia e persino oltreoceano dagli Stati Uniti. Lo conferma Giampaolo Letta, l’ad. della “Medusa film”, distributrice del film: “Ci sono arrivate richieste di diritti da tutto il mondo, perché l’idea alla base della storia funziona a Roma, come a Tokio o a New York”.
Una commedia italiana d’eccellenza, rispetto alla decadenza delle ultime demenziali commediole sfornate per fare incassi, apprezzata soprattutto per la spontaneità dei dialoghi che catturano lo spettatore che vi si immedesima d’impatto. Una recitazione fatta di elementi di forte autenticità da parte di tutto il cast degli attori. Una pellicola realizzata attorno ad un tavolo che non ha avuto bisogno di scenografie sontuose, né di trucchi del mestiere per essere riconosciuta valida dalla critica e ha riscosso grande interesse anche al mercato del Berlinale. Una recitazione che agisce perfettamente sugli incastri narrativi che allo spettatore risultano credibili, riconoscendoli come reali e riconoscendosi nelle situazioni.
La società che appare nel film è propriamente quella della società liquida, ove la corsa frenetica allo status di benessere fa perdere certezze e alimenta la paura. In fondo un film che racconta la società attuale, in cui la centralità della persona viene sommersa dall’ipocrisia e dai falsi valori.