Eguaglianza giuridica e privilegi reali

Libertà ed eguaglianza e gli altri diritti umani, finché restano confinati nei regimi liberal-democratici nella sfera politico-giuridica, sul piano della circolazione, finché restano definiti sulla base antropologica liberale dell’individuo contrapposto alla comunità, non possono che rovesciarsi nel loro contrario, ossia nel riprodursi su scala allargata del privilegio a livello socio-economico nella sfera della produzione.


Eguaglianza giuridica e privilegi reali

Non essendovi le condizioni soggettive e oggettive per cui i proletari potessero affrontare i loro nemici diretti – anzi erano al contrario spinti a un’alleanza con loro per battere l’avversario del proprio nemico: la società feudale – la borghesia manteneva salde nelle proprie mani le redini del processo storico e ogni vittoria ottenuta era “una vittoria della borghesia” [1]. Così se la rivoluzione politica (democratica) ha tolto – mediante il suffragio universalizzato, lo stato di diritto, la separazione fra chiesa e Stato – alla proprietà privata, al privilegio, alla religione la loro esistenza politica, “a questa proclamazione della loro morte politica, corrisponde la loro vita più potente, che ora obbedisce senza ostacoli alle sue proprie leggi e dispiega tutta l’ampiezza della loro esistenza” [2]. Perciò, secondo Karl Marx la critica dei giovani hegeliani e di Feuerbach alla religione non arriva a colpire il fondamento reale, la struttura sociale cui la credenza religiosa si incardina. Per esempio Bruno Bauer, nel suo La questione ebraica, ritiene che lo Stato per emancipare l’ebreo dovrebbe togliere il proprio carattere religioso, ma questo non comporta affatto per Marx l’emancipazione dello Stato reale – che comprende anche la sua differenza, la società civile – dalla religione. Dall’altra parte, come mostra Marx, “per la Germania la critica della religione è, in complesso, terminata, e la critica della religione è il presupposto di ogni critica” [3]. Tuttavia il limite di Bauer è di sottoporre “a critica solo lo «Stato cristiano», non lo «Stato in quanto tale»; non indaga il rapporto fra l’emancipazione politica e l’emancipazione umana”. Giunge così, denuncia Marx, a una “acritica confusione fra l’emancipazione politica e quella universalmente umana. Così, per quanto criticamente, ci muoviamo ancor sempre nel campo della teologia” [4]. In altri termini, “nel senso di Bauer, la questione ebraica (…) è la questione del rapporto tra religione e Stato, della contraddizione tra il pregiudizio religioso è l’emancipazione politica. L’emancipazione dalla religione viene posta come condizione sia all’ebreo (…) che allo Stato” [5]. Proprio perciò, Bauer pretende quindi da una parte che l’ebreo rinunci all’ebraismo, e in generale che l’uomo rinunci alla religione, per poter essere emancipato come cittadino. Dall’altra identifica in tutto e per tutto la soppressione politica della religione con la soppressione pura e semplice della religione (…). A questo punto appare chiaramente il carattere unilaterale del modo di porre la questione ebraica” [6] da parte di Bauer. In effetti, “quando Bauer domanda agli Ebrei: – Avete diritto dal vostro punto di vista di aspirare all’emancipazione politica? – noi domandiamo viceversa: – Il diritto dell’emancipazione politica ha il diritto di pretendere dagli ebrei la rinunzia all’ebraismo e dagli uomini in genere la rinuncia alla religione?” [7].

In effetti, in paesi come gli Stati Uniti d’America in cui la società civile borghese si è affermata nella forma più pura, si riproducono al suo interno – nel modo arbitrario a essa confacente – le sette religiose, le lobby economiche e il domino più sfacciato dei privilegi sociali. Più in generale, dunque, libertà ed eguaglianza e gli altri diritti umani, finché restano confinati nei regimi liberal-democratici nella sfera politico-giuridica, al piano della circolazione, finché restano definiti sulla base antropologica liberale dell’individuo contrapposto alla comunità, non possono che rovesciarsi nel loro contrario, ossia nel riprodursi su scala allargata del privilegio a livello socio-economico nella sfera della produzione.

L’eguaglianza giuridica garantita dai diritti di cittadinanza è in realtà funzionale a mantenere le distinzioni e i privilegi reali presenti nella società civile. La libertà del singolo – antagonisticamente considerata in relazione all’altro in particolare e alla comunità in generale – corrisponde all’arbitrio di godere del proprio patrimonio privato. L’eguaglianza giuridica è funzionale a tale libertà astratta e arbitraria [8], alla conservazione del privilegio sociale, mediante il suo occultamento dietro la possibilità solo astratta che tutti hanno di godere della libertà-privilegio garantita dalla proprietà privata. Come osservava già Kant,: “questa generale uguaglianza degli uomini come sudditi di uno Stato può perfettamente coesistere con la massima disuguaglianza nella qualità e nel grado del loro possesso, sia che si tratti di superiorità fisica o spirituale degli uni rispetto agli altri, sia che si tratti di disuguaglianza esteriore di beni di fortuna e in generale dei diritti (e possono essere molti) degli uni in rapporto agli altri” [9]. Perciò Marx “vede nel concetto di eguaglianza come formulato nella teoria liberale un concetto che non acquista alcuna autonomia, riducendosi ad essere una mera funzione del concetto di libertà individuale: la parificazione della libertà di tutti uti singuli, come privati individui, una parificazione, pertanto, che non è realmente tale risolvendosi nell’eguale trattamento delle sfere private o presociali prese fuori dal rapporto sociale reale, e quindi presupponendo come dato (naturale) appunto quel rapporto sociale determinato, storico” [10]. Si tratta di un’osservazione di grande rilievo in quanto non solo smentisce le teorie continuiste della società socialista nei riguardi dei diritti umani borghesi, ma chiarisce meglio perché la libertà dell’uomo, ovvero del bourgeois, sottoponga a sé l’eguaglianza civile del cittadino, il diritto di cittadinanza. In effetti, “l’eguaglianza, così intesa, non può fuoriuscire, insomma, dalla sfera strettamente pubblica o politico-giuridica: resta concepibile soltanto come eguaglianza di diritti o eguaglianza di libertà. Come dice il Burdeau «intesa come corollario della libertà, l’eguaglianza non può nulla contro essa» [G. Burdeau, Traité de science politique, Paris 1953, p. 526]: non riesce, cioè, a rompere il fondamentale atomismo delle sfere private, di cui resta una astratta (ma funzionale) compensazione politico-giuridica, isonomia che presuppone le differenze reali, che concede soltanto una «organizzazione delle possibilità (Laski)»” [11]. Il diritto (borghese) sancisce la reciproca indifferenza e intangibilità delle sfere particolari e differenti dei patrimoni privati [12]. L’eguaglianza è giuridicamente legittimata solo quale salvaguardia della libertà diseguale, in quanto fondata su differenti patrimoni, della società civile. “Conseguenza di tutto ciò che è la stessa struttura dello Stato non può essere concepita che come una struttura sussidiaria rispetto alla felicità privata, e quindi come una sfera in cui la eguaglianza è possibile soltanto in quanto garantisca il ritorno alla sfera della libertà-diseguaglianza” [13]. 

D’altronde si tratta di differenze non accidentali, ma essenziali alla società civile, alla sua struttura fondata sulla progressiva divisione della società in due classi sociali [14]: i possessori dei mezzi di produzione e dei mezzi di sussistenza e un proletariato che, per accedervi, è necessitato a vendere la propria forza lavoro come merce. A dominare è, dunque, il duro realismo, il particolarismo imperante nella società civile, è il suo fondamento meramente empirico, immediato: il bisogno pratico dell’individuo egoista e la brama di profitto. Come notava argutamente già il giovane Marx: “l’uomo diventa tanto più povero come uomo, ha tanto più bisogno del denaro, per impadronirsi dell’essere ostile, e la potenza del suo denaro sta giusto in proporzione inversa alla massa della produzione; in altre parole, la sua miseria cresce nella misura in cui aumenta la potenza del denaro. Perciò il bisogno del denaro è il vero bisogno prodotto dall’economia politica, il solo bisogno che essa produce” [15].

Dunque, ricapitolando, il fondamento astratto, lo Stato politico pare determinare il reale, la società civile, mentre in realtà ne è determinato [16]. Il mondo moderno è dominato dall’anarchia quale unica legge della società civile borghese; lo stato di diritto, lo stato politico non sono altro che “la garanzia di questa anarchia”. Tanto appaiono opposti, “altrettanto si condizionano reciprocamente” [17].

 

Note:

[1 Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista [1848], in Id., Opere complete 1845-1848, vol. VI, traduz. it. di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti, Roma 1978, p. 494.

[2] Id., La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di A. Zanardo, Editori riuniti, Roma 1967, p. 153.

[3] Karl Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione [1843], in Id., Scritti politici giovanili, a cura di Luigi Firpo, Einaudi, Torino 1975, p. 394.

[4] Bruno Bauer, Karl Marx, La questione ebraica, tr. it. di M. Tomba, Manifestolibri, Roma 2004, p. 179.

[5] Ivi, p. 177.

[6] Ivi, pp. 178-179.

[7] Ivi, p. 360.

[8] Al contrario per Marx l’eguaglianza rappresenta “la coscienza che l’uomo ha di se stesso nell’elemento della prassi, cioè la coscienza che l’uomo ha dell’altro uomo in quanto un essere eguale a lui, ed è il comportamento dell’uomo verso un altro uomo come verso un essere eguale” Karl Marx, Friedrich Engels, La sacra…, op. cit., p. 47. L’eguaglianza costituisce, dunque, la prima sanzione storica dell'unità essenziale degli uomini, la coscienza generica ed il comportamento generico dell’uomo” Ibidem.

[9] Citato in Umberto Cerroni, Marx e il diritto moderno, Ed. Riuniti, Roma 1972, pp. 275-76).

[10] Ivi, p. 278.

[11] Ibidem.

[12] Del resto, non per caso, “la comunità, dunque, che riesce concepibile alla tradizione giusnaturalistica [fondamento della concezione liberale] è soltanto la comunità statuale o giuridica, lo Stato che, legalizzando i rapporti tra i privati – presupposti come tali – secondo una legge comune a tutti, rende possibile la convivenza: ma si tratta di una convivenza di privati che vengono in realtà eguagliati soltanto nel senso che si definiscono i confini delle singole sfere private” ivi, p. 257.

[13] Ivi, p. 258.

[14] Come osservava già il giovane Marx “infine scompare la differenza tra capitalista e proprietario fondiario, così come scompare la differenza tra contadino e operaio di fabbrica, e tutta intera la società deve scindersi nelle due classi dei proprietari e degli operai senza proprietà” K. Marx, Manoscritti economico filosofici del 1844, a cura di Norberto Bobbio, Giulio Einaudi editore, Torino 1968 p. 69.

[15] Ivi, p. 127.

[15] Cfr. B. Bauer, K. Marx, La questione…, p. 203 e 206. 

[17] K. Marx, F. Engels, La sacra…, op. cit,. p. 153.

31/12/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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