Che alcuni tra i padroni del mondo pensino che la soluzione ai gravi problemi (ecologici, sociali, politici) del nostro pianeta sia una sorta di eugenetica, magari applicata con l’aiuto della guerra, non credo possa essere smentito. Certo, sino ad oggi mancano prese di posizione ufficiali che potrebbero solo suscitare orrore e raccapriccio tra la popolazione. Ma con la scusa che è lecito esprimere liberamente le proprie idee (chiamiamole così), qualsiasi esse siano, utilizzando però la censura quando si tratta di contrastare i propri nemici, esse circolano e vengono diffuse, anzi celebrate, come per esempio la necessità di introdurre la pratica dell’eutanasia nel nostro paese, già in uso in altri, senza domandarci come e a che scopo potrebbe essere surrettiziamente usata. L’eutanasia viene presentata come una scelta di massima libertà, presupponendo astrattamente che un individuo profondamente sofferente e magari isolato sia pienamente consapevole delle sue scelte anche estreme.
Dietro questa concezione della finta libertà senza limiti sta l’individualismo sfrenato che illude gli individui che possono essere completamente liberi, sganciati dalle regole sociali, che possono drogarsi, ubriacarsi, praticare il sesso nelle sue più variegate forme, quando la libertà che conta è quella di coloro che gestiscono il potere economico, militare e politico, i quali possono tranquillamente lasciare gli altri a baloccarsi con questi diversivi, da loro stessi non disdegnati, cui viene tolta la dimensione umana e sociale più profonda. D’altra parte, la tanto ricercata e propagandata trasgressività si fonda su un assurdo: non seguire una regola è anch’essa una regola, quella di non seguire regole, come del resto “vietato proibire” implica sempre l’esistenza di un’autorità che proibisce di proibire. Paradossi logici che fanno pensare pochi, ma che non tormentano i sonni degli autodichiarati anarco-libertari.
Si potrebbero citare coloriti detti popolari sulla masturbazione, anche essa presentata come espressione della somma libertà, per sottolineare che la felicità (momentanea) e il piacere veri si raggiungono quando viene stabilito pieno e profondo rapporto con l’altro, con il quale non si “fa semplicemente sesso”, ma si condivide una concezione del mondo, un atteggiamento verso la vita e i nostri simili [1].
In quanto esseri sociali, la nostra vita non appartiene solo a noi stessi, ma anche in una parte importante alla collettività, di fronte alla quale possiamo porci in una posizione passiva (assai spesso inconsapevole), o attiva mirando a trasformarla sulla base di valori, che non sono né eterni né universali, ma il frutto delle più avanzate, ad oggi, esperienze umane, non sono occidentali, e la cui applicazione garantisce il benessere della più parte della popolazione mondiale. Ricordo che il poeta surrealista Aimé Césaire, a proposito del colonialismo e riferendosi ai civili europei, osservava che chi tratta gli altri come bestie, schiavizzandoli e massacrandoli, si trasforma automaticamente in una bestia. Ricordo anche una massima che, dal mio punto di vista, rappresenta il fondamento di un autentico comportamento umano: tratta l’altro sempre come un fine e mai come uno strumento. Le conseguenze rivoluzionarie di questo principio dovrebbero essere evidenti a tutti.
Non sono certo la prima ad aver colto nel clima della nostra declinante civiltà questi sentimenti distruttivi e del resto già da tempo circola l’espressione laissez-mourir, che ha sostituito il tanto prima lodato laissez-faire, non più adeguato al governo delle relazioni internazionali, nelle quali occorre difendersi col protezionismo dai propri agguerriti competitori. Mi limito a ricordare il già dimenticato Il Rapporto Lugano. La salvaguardia del capitalismo nel XXI secolo, pubblicato in italiano nel 2000, in cui l’autrice, la nota economista Susan George, illustra i terribili mezzi con i quali i potenti garantiscono la loro supremazia sacrificando i deboli, ossia la maggioranza della popolazione mondiale, facendo in modo così che il capitalismo superi le sue stesse contraddizioni e sopravviva almeno fino alla prossima crisi.
Purtroppo la George aveva tristemente ragione se pensiamo, per esempio, ad un film giapponese recente del regista Chie Hayakawa, intitolato Plan 75, nel quale si presume che in un mondo futuribile il governo giapponese, per risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione e della crisi demografica, decida di implementare un programma, che prevede l’eutanasia gratuita per le persone che abbiano superato i 75 anni e che “non abbiano nessuna ragione per continuare a vivere” (e chi lo dice?). Il film, presentato al festival di Cannes del 2022, si sforza di suscitare negli spettatori una grande pietà per le vittime designate, ma non denuncia la logica mortifera dello stesso sistema, quasi che nell’attuale situazione economica tali decisioni siano inevitabili. Per incentivare questa pratica il piano prevede anche il dono di 100.000 yen, equivalenti a circa 633 euro (quanto valiamo poco!) ai superstiti e la presenza di un suo propagandatore nelle mense per i senzatetto. Il film si muove tutto sul filo delle psicologie dei personaggi che si trovano incastrati in questo assurdo ingranaggio e non si chiede mai perché il sistema capitalistico sia ormai giunto a questi estremi. Del resto, non imprevedibili se si pensa per esempio che ognuno di noi rappresenta un costo per lo Stato, che le assicurazioni non forniscono prestazioni a chi ha poche speranze di vita e che quindi non potrà garantir loro nessun guadagno, che i nostri organi sono vendibili (si legge che i soldati ucraini deceduti in battaglia siano sottoposti all’immediato espianto), che l’utero si possa affittare etc.
La prospettiva del guadagno ad ogni costo, fondata sulla necessità del possesso, trasforma tutto in cosa, in oggetto, di cui si può godere a proprio piacimento e indipendentemente dai voleri altrui, anzi generalmente contro di essi. Ovviamente qui il rimando non può che essere al celebre libro di Erich Fromm Avere o Essere? (1976), ma anche allo stupro inteso semplicisticamente come manifestazione di residui patriarcali, che galvanizzano il maschio attraverso il possesso della femmina.
A mio parere, come ho sostenuto in più occasioni, nelle società a capitalismo avanzato la famiglia patriarcale è inesistente ed è in fase di disgregazione da molti decenni ormai (il 30% delle famiglie è composta da un solo individuo); fatto che ha ampiamente rimesso in discussione i ruoli tradizionali dell’uomo e della donna e ha lasciato i figli senza un adeguato sostegno affettivo e morale, facendo di essi esseri ingovernabili preda dei loro desideri più immediati, indipendentemente dalla loro natura. Vedrei piuttosto nello stupro e nella violenza contro le donne la riaffermazione della logica del possesso di matrice capitalistica e neoliberale, nutrita dalla mercificazione generale e dal conseguente edonismo a buon mercato, nelle forme più brutali, da conseguire senza limiti, che – come si diceva in precedenza – trasforma gli esseri umani in bestie. Del resto, la trasformazione della donna in cosa – parallela a quella del lavoro umano in strumento per il profitto – non rappresenta solo l’obiettivo di qualche maschio inferocito e frustrato, magari in aumento numerico, ma costituisce uno dei motivi dominanti della cosiddetta cultura di massa, che si appella ai nostri sentimenti meno nobili per sollecitare la ricerca dell’effimera soddisfazione nell’appropriazione delle molteplici e inconsistenti offerte mercantili. Inoltre, parlare di patriarcato è assai utile a chi vuole occultare la sempre più profonda cosificazione dell’essere umano, le cui più elementari esigenze vengono sistematicamente violate in nome di un’astratta libertà, di cui si avvantaggiano soltanto i più forti socialmente e politicamente. Come ricorda Luciano Canfora, in questo marchiano errore non caddero i membri della Convenzione, soprattutto i giacobini, che al terzo articolo della Costituzione del 1792, mai entrata in vigore, ponevano come primo diritto l’uguaglianza, seguito dalla libertà, dalla sicurezza e dalla proprietà, dato che senza uguaglianza sostanziale non può esservi libertà. L’articolo 21 della Costituzione, approvata da un referendum popolare, inoltre, recita: “I soccorsi pubblici sono un debito sacro. La società deve la sussistenza ai cittadini disgraziati, sia procurando loro del lavoro, sia assicurando i mezzi di esistenza a quelli che non sono in età di poter lavorare”.
Certo questa preoccupazione non può esser colta nelle recenti parole del dottor Anthony Fauci, ex direttore dell’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive, che in un’intervista alla BBC ha dichiarato che gli anziani, i malati e i disabili “cadranno nel dimenticatoio” nell’attuale impennata del COVID-19, quando verranno infettati, ricoverati in ospedale e alcuni di loro moriranno. Fauci ha presentato come inevitabile questo tragico evento, probabilmente per giustificare la politica di inerzia e di insabbiamento dell’amministrazione Biden di fronte a una nuova ondata di malattia.
I commenti di Fauci ribadiscono la dichiarazione del gennaio 2022 del direttore dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), Rochelle Walensky, secondo la quale il fatto che il COVID-19 uccida prevalentemente persone che "non stanno bene fin dall'inizio" sarebbe "una notizia incoraggiante". Le dichiarazioni sia di Walensky che di Fauci implicano evidentemente che la vita dei vecchi, malati cronici e dei disabili ha meno valore di quella degli esseri sani.
Eppure il Dr. Fauci dovrebbe sapere che più del 50% dei cittadini statunitensi rientra nella categoria naturalizzata di “vulnerabili”, perché affetta da almeno una delle comorbidità considerate fattori di rischio, tra le quali ricordo l’obesità che affligge i poveri per il tipo di dieta di cui debbono accontentarsi.
Già negli anni 70, scossi dalle precedenti rivoluzioni sessantottine, c’era chi aveva previsto che si stava passando ad un’altra fase capitalistica (tardo capitalismo o neoliberismo) e chi descriveva il nuovo tipo antropologico adeguato a quest’ultima. In un bel libro intitolato La cultura del narcisismo Christofer Lasch delinea un tipo umano nuovo e multiforme, che scalza il vecchio homo oeconomicus legato al liberalismo, caratterizzato da ansietà, insicurezza, e prigioniero di un inesauribile senso di insoddisfazione. Disfattosi della tradizionale etica del lavoro e di ogni disciplina, che prevede progetti e programmazione, obsoleti per chi vive solo nel presente, egli pone se stesso al centro del mondo, si infuria se scopre dei limiti, guarda solo alla sua persona e ai suoi desideri mutanti, che lo condannano ad un sempre più triste e ristretto isolamento.
Sempre indulgente con se stesso, si fa trascinare da leader cosiddetti carismatici. Vittima del declino delle istituzioni culturali è diventato addirittura supponente e si ritiene in grado di parlare di tutto da esperto come le sue controparti massmedediatiche.
Un altro interessante segno che illumina le pulsioni di morte di questo sistema è documentato da una pubblicità tedesca, che rappresenta una mamma con due bambini, sui quali ci si interroga se saranno dei futuri assassini climatici. Gli autori di detta pubblicità hanno smentito che intendevano spingere le donne a non fare figli perché i futuri esseri umani sicuramente avranno impatto sulla critica situazione ecologica del pianeta. Hanno aggiunto che avevano messo a confronto donne con opinioni diverse. Basterebbe chieder loro perché non si sono interrogati sugli esercizi militari ora in atto in varie parti del mondo e sul loro impatto climatico.
Se questa è effettivamente la linea di tendenza soggiacente che percorre tutta la civiltà occidentale, popolata quasi esclusivamente da vecchi, penseranno davvero i grandi signori di lasciare morire solo la “zavorra umana” e loro di salvarsi magari emigrando su Marte, mostrando così tutta la loro straordinaria generosità di filantropi.
Note
[1] La masturbazione è il segno esteriore di un profondo isolamento interiore, la forma per eccellenza della vita sessuale della persona isolata (Viktor Emil Frankl).