Il contributo di Engels allo sviluppo del socialismo scientifico

La ricorrenza del centoventesimo anno dalla sua morte, può essere una significativa occasione per sottolineare il deciso ruolo svolto da Friedrich Engels (1820-1895) nello sviluppo, nella diffusione del marxismo e nell’ascesa del movimento dei lavoratori. 


Il contributo di Engels allo sviluppo del socialismo scientifico

Troppo spesso sottovalutato dallo stesso marxismo occidentale, è giunto il momento, a 120 anni dalla sua morte, di fare un bilancio storico-filosofico dell’opera di Friedrich Engels. Cofondatore del socialismo scientifico, coautore di opere decisive per lo sviluppo del materialismo storico, principale curatore dell’enorme lascito marxiano, infaticabile divulgatore del marxismo e organizzatore del movimento dei lavoratori, Engels ha contribuito anche autonomamente allo sviluppo della filosofia della prassi.  

di Renato Caputo

La ricorrenza del centoventesimo anno dalla sua morte, può essere una significativa occasione per sottolineare il deciso ruolo svolto da Friedrich Engels (1820-1895) nello sviluppo, nella diffusione del marxismo e nell’ascesa del movimento dei lavoratori. Paradossalmente l’essere stato insieme a Marx il fondatore del socialismo scientifico, termine per altro coniato dallo stesso Engels, non ha favorito il riconoscimento del suo apporto, per quanto decisivo, al suo sviluppo. In modo altrettanto paradossale la battaglia condotta da Engels per far affermare il marxismo nel movimento dei lavoratori e il suo eccezionale contributo alla diffusione della riflessione di Marx hanno finito per far dimenticare il suo contributo specifico. A ciò ha contribuito anche l’eccessiva modestia di Engels, che ha preferito apparire come un fedele collaboratore di Karl Marx e non come il cofondatore del socialismo scientifico.

Come è noto, e proprio perciò spesso sottovalutato, Engels è stato coautore con Marx di opere decisive per lo sviluppo del materialismo storico come L’ideologia tedesca e Il manifesto del partito comunista. Dopo la morte nel 1883 del fraterno amico e compagno di lotte, Engels è stato il curatore del lascito intellettuale marxiano, consentendo di rendere pubbliche, nel decennio successivo, numerose opere incompiute di Marx, in primis il II° e III° libro de Il Capitale.  

In questo decennio, Engels è stato determinante, con il suo instancabile lavoro, per la eccezionale diffusione del marxismo, che ha influenzato profondamente le organizzazioni dei lavoratori e un crescente numero di intellettuali in tutta Europa, tanto da divenire il punto di riferimento teorico della Seconda internazionale (1889-1914), decisivo strumento di divulgazione del marxismo a livello di massa.  

Engels non si è certo limitato a divulgare il pensiero di Marx, ma ne ha influenzato profondamente la ricezione, chiarendone luoghi controversi e confutandone volgarizzazioni, in primis del rapporto dialettico fra struttura socio-economica e sovrastruttura culturale [1]. Difatti, sulla base di alcune pagine di Marx, decontestualizzate dal complesso del suo pensiero, molti avevano creduto che per il marxismo la struttura economica determinasse in modo univoco le sovrastrutture, al punto da ritenere queste ultime, se non mere mistificazioni, comprensibili solo in riferimento al fondamento economico [2]. Engels da un lato non nasconde l’unilateralità di alcune prese di posizione giovanili sue e di Marx, volte a colpire la concezione idealista allora dominante fra gli intellettuali di sinistra, che snobbava l’aspetto socio-economico; dall’altro mostra come il rapporto fra struttura e sovrastrutture non debba essere inteso in modo unilaterale e semplicistico come una relazione fra causa ed effetto, ma come un rapporto di azione reciproca. Né si può trascurare, accanto al contenuto storico, legato al determinato modo di produzione e al rapporto fra le classi sociali in cui sorgono, l’altrettanto decisivo aspetto formale, ovvero la logica specifica mediante la quale le rappresentazioni culturali si vengono costituendo.  

Per quanto riguarda il contributo dato in modo autonomo da Engels allo sviluppo del socialismo scientifico, oltre al pionieristico studio su La situazione della classe operaia in Inghilterra (1843) – cui Marx fa risalire il proprio interesse per l’economia politica – occorre ricordare La scienza sovvertita dal signor Dühring (1878), opera in seguito nota come Anti-Dühring. In tale libro, molto apprezzato da Marx, Engels critica il metodo positivista che l’accademico tedesco Eugen Dühring contrapponeva alla dialettica marxista [3]. Dühring riteneva l’oggetto epistemico delle scienze sociali dotato di una realtà indipendente dal soggetto storico che lo indaga e che lo determina con la propria azione e, perciò, considerava i risultati dell’indagine sociologica dotati di una validità non storicamente condizionata. Tale concezione della scienza è dovuta, a parere di Engels, alla crescente divisione del lavoro, che dà l’impressione allo scienziato che il suo operare sia avulso dal contesto storico e sociale. Perciò il positivismo tende, secondo Engels, ad assolutizzare l’esistente, assumendo una posizione conservatrice dell’ordine costituito e non si distacca essenzialmente dalla metafisica che intende criticare. A esso Engels contrappone il pensiero dialettico, erede della rivoluzione scientifica in quanto emancipa il sapere da ogni verità sovratemporale e metafisica. Secondo Engels il conoscere è in costante trasformazione poiché muta storicamente insieme al proprio oggetto e pone in questione la razionalità dell’esistente sulla base della sua capacità o meno di soddisfare bisogni umani, che conoscono a loro volta uno sviluppo storico [4].

Nell’opuscolo L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza (1878), in cui è ripubblicata autonomamente la terza parte dell’Anti-Dühring, Engels traccia una netta linea di demarcazione fra il socialismo premarxista considerato utopista rispetto alla elaborazione scientifica che ha avuto in seguito alla rottura epistemologica operata da Marx e da lui stesso. Engels ritiene il marxismo non in contrapposizione, ma quale compimento della moderna filosofia razionale [5].  

Nell’Origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato (1884), tesaurizzando le scoperte etnologiche dell’epoca, (soprattutto l’opera di L. H. Morgan), Engels intende sviluppare la teoria marxista dello stato. Mettendo alla prova il materialismo storico nello studio delle società primitive, Engels mostra come il concetto stesso di stato sia sorto solo a un certo livello di sviluppo storico, in seguito alla scissione dell’insieme sociale in classi fra loro antagoniste. La conformazione dello stato è, dunque, strettamente connessa all’esigenza del gruppo dominante di esercitare il proprio potere sui gruppi subalterni. La forma dello stato muta, perciò, con il mutare del dominio della classe possidente e dello sfruttamento dei subalterni nei diversi modi di produzione che attraversa la storia del mondo: dall’antico in cui è funzionale al dominio sulla schiavitù, al feudale in cui è strumento di controllo sui servi della gleba, al capitalistico in cui favorisce lo sfruttamento del lavoro salariato. Nella società socialista, venendo progressivamente meno la divisione in classi, tenderà a estinguersi la stessa macchina statale, le cui funzioni separate dalla società civile saranno progressivamente riassorbite in essa.  

In questi stessi anni Engels si occupa di filosofia della natura; dei suoi studi ci restano una serie di appunti che hanno avuto una certa influenza nel dibattito epistemeologico dopo la loro pubblicazione in Urss nel 1925 con il titolo di Dialettica della natura (1873-1886). Engels accentua in tali opere il legame del marxismo con la filosofia hegeliana, in aperta polemica con il positivismo allora dominante all’interno dello stesso movimento operaio, che finiva inconsapevolmente con il fondare una nuova metafisica sulla base di una concezione astorica della scienza naturale. Engels intendeva mostrare la validità del materialismo dialettico, quale sviluppo della dialettica hegeliana nell’interpretazione non solo del mondo storico, ma anche dei fenomeni naturali [6].  

L’interesse di Engels per la filosofia della natura sorge con l’affermarsi della teoria dell’evoluzione di Darwin, cui Marx aveva voluto dedicare il II° libro de Il Capitale [7]. A parere di Engels la teoria darwiniana dimostra l’unità dello sviluppo del mondo organico dalle forme meno complesse all’uomo, confermando l’idea hegeliana di una spiegazione dinamica, storico-dialettica della natura. Engels ritiene che gli enormi avanzamenti delle differenti scienze rendano urgente la riorganizzazione in un quadro unitario dell’intero ambito d’indagine della natura [8].  

Posto tale principio unitario alla base dello sviluppo tanto del pensiero, quanto dell’essere, Engels si sforza di individuarne le leggi generali che lo regolano, a suo parere riducibili a tre princìpi universali: il reciproco trapasso di quantità e qualità, la compenetrazione degli opposti e la negazione della negazione [9]. Per l’uso improprio di queste considerazioni tratte dagli appunti di Engels, considerate nell’URSS stalinista un compendio delle leggi della dialettica materialista ed il fondamento dell’interpretazione marxista delle scienze naturali, egli è stato a torto accusato da diversi esponenti del marxismo occidentale di aver tradito, volgarizzandolo, il pensiero di Marx.  

Va infine menzionata la riflessione politica dell’ultimo Engels, volta a ripensare la concezione politica del marxismo alla luce di significativi eventi storici quali lo sviluppo del capitale monopolistico e l’impetuosa crescita del peso politico e sociale del partito socialista tedesco. Nell’introduzione alla ristampa di Le lotte di classe in Francia di Marx (1895), Engels osserva come la via insurrezionale al potere, ipotizzata da lui e Marx – sulla base delle esperienze delle Rivoluzioni del 1848 e del 1871 – mediante un unico scontro campale da condurre per le strade fra le barricate, apparisse datata in paesi a capitalismo avanzato dotati di istituzioni liberal-democratiche. Le azioni di forza di piccole organizzazioni coscienti alla testa di grandi masse incoscienti debbono dunque essere sostituite da un processo più lungo e complesso di progressiva conquista delle istituzioni politiche borghesi, in grado di coinvolgere settori di massa sempre più vasti, secondo un modello utilizzato tanto da chi ha inteso revisionare il marxismo da una teoria rivoluzionaria a una socialdemocratica, quanto da chi, come Gramsci, ha studiato la specificità della questione della conquista del potere in occidente, in presenza di società civili complesse.  

Note 

[1] A tale proposito, particolarmente significative sono alcune lettere degli anni 1890-1894 indirizzate ai principali esponenti del movimento operaio internazionale in cui Engels si sforza di delucidare il pensiero di Marx e di evitarne le semplificazioni. Tale opera ermeneutica non può essere sottovalutata data la rapida ed estesa diffusione di un pensiero ricco, complesso e a tratti anche contraddittorio come quello di Marx in ambienti privi dei mezzi intellettuali indispensabili a decifrarlo e comprenderlo senza ridurlo a formule astratte. Del resto proprio perché consapevole dei rischi di una mistificazione dottrinaria dello spirito critico e dialettico del suo pensiero, lo stesso Marx aveva provocatoriamente affermato di non essere marxista. In effetti, Marx temeva che la sua teoria potesse essere ridotta a un insieme di categorie dogmatiche, a una metafisica da applicare senza tener conto della dinamica concreta del reale e dei diversi contesti storici e geografici.

[2] Si riteneva perciò, che sarebbe di secondaria importanza per un marxista occuparsi delle scienze umane, dal momento che il confronto delle idee in quest’ambito sarebbe immediatamente determinato dal rapporto fra le classi sociali sul piano economico. La tesi di un fondamento materialistico di cui le sovrastrutture sarebbero mere manifestazioni ideologiche si coniugava bene con la vulgata positivista allora dominante. A farne le spese era in modo particolare la filosofia, tanto più che Marx nella sua undicesima Tesi su Feuerbach (1845) era parso contrapporre la necessità pratica di trasformare il mondo all’atteggiamento teoretico dei filosofi che si erano occupati unicamente di interpretarlo.  

[3] Dühring, che con il suo tentativo di sintetizzare positivismo e socialismo aveva avuto una discreta influenza sul partito socialdemocratico tedesco, aveva aspramente criticato la dialettica hegeliana e il suo influsso sul pensiero di Marx.

[4] Del resto il concetto di materialismo storico indica con il secondo termine la storicità di ogni conoscenza, mentre il primo termine sottolinea l’oggettività di tale conoscenza, in quanto l’unica possibile e concreta, al di fuori del quale non vi è nulla di oggettivo ovvero di razionale. Perciò dal punto di vista gnoseologico il marxismo è materialista, in quanto mira ad una conoscenza concreta del proprio oggetto e dialettico in quanto mostra la storicità di ogni verità.

[5] La stessa contrapposizione fra materialismo ed idealismo è posta in discussione da Engels, che ritiene il materialismo storico il naturale erede della dialettica hegeliana, da lui intesa quale teoria della storicità del reale, secondo una concezione che sarà sviluppata da Lukács e Gramsci.

[6] Intendendo la dialettica quale fondamento del movimento del reale, essa è considerata da Engels la logica dello sviluppo della natura, del mondo storico e del pensiero, sulla base della hegeliana identità di reale e razionale. In tal modo Engels recupera i fondamenti logico-metodologici della filosofia hegeliana anche per quanto concerne la filosofia della natura, rinvenendo delle significative analogie fra l’evoluzione del mondo naturale e quella del mondo storico. Gli appunti di Engels segnano, dunque, il primo tentativo marxista, al di là di sparsi spunti presenti nell’opera di Marx, di individuare il movimento dialettico non solo nella storia e nella società umana, ma negli stessi fenomeni naturali.

[7] Marx aveva visto nelle teorie darwiniane un’ulteriore conferma delle proprie idee, in quanto esse mostravano l’unità dello sviluppo dell’intero mondo organico e naturale dalle sue forme più elementari all’uomo, mediante una processualità delle varie forme naturali che appariva analoga alla dialettica.

[8] Strumento indispensabile a tale scopo è la dialettica, che Engels considera il termine medio fra razionale e reale, in quanto sarebbe il fondamento tanto della logica della scienza, quanto del processo di sviluppo della materia, essendo rinvenibile in tutte le sue manifestazioni.

[9] Il primo di questi princìpi stabilisce che la trasformazione quantitativa di una determinata materia non può che incidere, dopo un certo intervallo, anche sulla sua struttura qualitativa e, di conseguenza, per mutare qualitativamente una data sostanza è necessario modificarne la quantità di materia o di energia motoria che la caratterizza. Sulla base della seconda legge, data una totalità i suoi elementi potranno esserle disgiunti solo mediante un’astrazione. La terza legge definisce la dialettica come una successione di negazioni, in cui mediante la negazione della negazione si conserva come superato ogni momento del processo.  

08/08/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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