Appena tornata dal Portogallo (leggi “A luta continua”…em Portugal) con la netta visione della vita sociale, della cultura e dell’arte di questo luogo che fa da punta estrema a sud ovest dell’Europa. Di là l’Oceano, di qua la Spagna. Dentro, un mare di storia e di cultura. Un po’ di me l’ho lasciato a Lisbona nel visitare la Fondazione dedicata a Josè Saramago e l’immensa opera letteraria di questo intellettuale portoghese. La curiosità di leggere le sue opere, che solo superficialmente mi era già capitato di conoscere e di leggere, l’ho riportata a casa. Mi inducono ad approfondire i suoi scritti e il suo pensiero anche i racconti di una compagna portoghese che ha conosciuto e frequentato a lungo Josè e soprattutto mi è rimasta impressa nella mente una sua affermazione convinta: “Io di quest’uomo mi sono perdutamente innamorata” (riferendosi al valore umano dello scrittore e dell’intellettuale che è stato). E, poiché sono forse l’ultima dei romantici e le storie d’amore, quando vedono protagonisti grandi uomini d’intelletto, mi incuriosiscono e mi appassionano, mi ritrovo oggi con un saggio di Josè fra le mani.
Tempo addietro iniziai a leggerlo, ma provando una certa strana inquietudine, richiusi il libro alla ventesima pagina, abbandonandolo nel dimenticatoio. Ebbene, ora il saggio Cecità me lo sono bevuto in quattro giorni e trovo sia l’esatta fotografia della storia dell’umanità di tutti i tempi, ma anche il ritratto espresso metaforicamente di come e dove sta andando la nostra società e di quanto siamo mentalmente ciechi nel non vedere ciò che abbiamo sotto gli occhi in ogni istante della nostra vita. La storia si può definire una parabola ed è colma di allegorie di non difficilissima interpretazione. Ѐ sufficiente lasciarsi attraversare dal racconto fittissimo di eventi, apparentemente astrusi, e della molteplicità dei personaggi. Un po’ comparabile all’opera magna dantesca, in particolare all’Inferno, con annessa pena del contrappasso, privo della speranza di redenzione del purgatorio (Josè era ateo e militante del PCP) e in chiave anti-sistema. Sebbene Josè, anche per amore, tenerezza e riconoscimento verso le donne, introduca nella storia un elemento rassicurante, una figura femminile che farà da guida a coloro che via via resteranno colpiti dalla sostanza lattea che li rende improvvisamente ciechi.
La lettura, inizialmente è un po’ ostica, perché, come tutti i testi di Saramago, la punteggiatura langue e le descrizioni sono particolareggiate e molto lunghe. Il punto non arriva mai, bisogna intuirlo. E i dialoghi si riconoscono dall’improvvisa lettera maiuscola che interrompe una frase. Ecco, lì l’autore introduce la voce di un personaggio. Faticoso? No, ci si abitua leggendo, basta farsi prendere dalla storia che così ricca di significati non tarda a suscitare interesse e si resta avvinghiati alle pagine fino all’ultimo rigo. E arriva inaspettata l’illuminazione, una lezione di vita che difficilmente verrà dimenticata. Non a caso Saramago è stato insignito del Nobel per la letteratura. Non a caso era un genio, quindi unico. Non a caso era un comunista convinto. Josè Non ebbe mai paura di sventolare la bandiera rossa anche sotto la dittatura feroce e lunghissima (48 anni) di Salazar.
“En saio sobre a Cegueira” (Saggio sulla cecità) ha inizio, come tutte le storie di Saramago, in un luogo anonimo e senza tempo definito. Anche i personaggi sono anonimi, mai un nome che dia loro una precisa identità. E generalmente la storia inizia con un fatto strabiliante che introduce il racconto lasciando nel lettore un impatto forte. Cecità rappresenta tutto questo. Un uomo (uno qualsiasi, non è importante chi) blocca la sua vettura nel traffico, scende e grida “Sono cieco”. Un cieco atipico, infatti non sprofonderà nel buio, ma in una sostanza bianca lattiginosa. Viene soccorso e riaccompagnato a casa con la sua vettura da un uomo, che approfittando della situazione gli ruberà la macchina. Nel saggio è e resterà il ladro. Il virus contagerà la moglie dello sfortunato e tutte le persone che a seguire verranno a contatto con i contagiati. Vittima ne sarà il medico oculista presso cui si reca per avere diagnosi e cura. Non avrà né l’una, né l’altra, perché la causa è sconosciuta e alquanto misteriosa. E cadranno nel mare di latte che inibisce la vista i pazienti dell’oculista e tutti coloro che si sono imbattuti in queste persone divenute improvvisamente cieche. Resta immune dal male la moglie del medico, ma si fingerà cieca, per restare accanto al marito, quando si scatenerà l’inferno.
L’epidemia di cecità si diffonderà in una reazione a catena velocissima in tutta la città. Interviene il governo e ordina la quarantena per tutti i colpiti dal male, rinchiudendoli in un ex manicomio fatiscente, un edificio dismesso in cui gli appestati dovranno trascorrere il loro quotidiano da reclusi e senza alcuna assistenza (per timore di ulteriori contagi). La sopravvivenza all’interno di quel luogo infernale, ove anime senza luce e senza volto si muovono disperate come nei gironi danteschi, è talmente complessa da rasentare la follia e il ridicolo. Chi non trova il letto, chi non trova il bagno, chi i vestiti. Fra di loro si aggira, come angelo salvifico, l’unica vedente, la moglie del medico. Sarà lei a vegliare sui malati cercando di alleviare le loro sorti e di rendere la reclusione e l’handicap meno amaro. Infine il disagio di vivere in quelle condizioni li rende aggressivi e si scatena una lotta per la sopravvivenza in cui prevale la legge della giungla. Il più forte, il più astuto, o anche il più venduto avranno la meglio.
Accade soprattutto quando anche i militari addetti ai rifornimenti alimentari verranno colpiti anch’essi dalla cecità bianca e i rifornimenti scarseggeranno. Intanto in città anche gli unici superstiti, i politici, verranno contagiati dalla strana malattia. All’interno del manicomio si formeranno gruppi di ciechi malvagi che tenteranno di appropriarsi di tutte le scorte alimentari per esercitare il massimo potere sugli altri, usando la sopravvivenza come forme di ricatto sui gruppi più deboli e per rendiconti personali, arrivando a stuprare le donne. Saranno queste infine a ribellarsi e ad appiccare il fuoco a quel diabolico luogo, trasformandolo effettivamente in vero inferno. Nel rogo periranno molti di loro. Il gruppo che ha dato inizio all’epidemia riuscirà a salvarsi, ma trovano la città in estremo degrado fra immondizia, morti e malfattori ciechi che si aggirano indisturbati, senza più remore e leggi, nelle case ormai deserte, rubando tutto quello che trovano. Bande di ciechi rivali si aggrediscono per poter rubare più degli altri. La moglie del medico riesce a salvare il suo gruppo da quell’abominio collettivo organizzando una nuova vita dignitosa, basta sull’amicizia e la collaborazione. Infine tutti i ciechi superstiti riacquistano la vista improvvisamente, così come l’avevano persa. Saramago vuole che sia l’oculista a porre il the end alla storia con questa affermazione: “Perché siamo diventati ciechi, non lo so. Forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione…secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono, ciechi che pur vedendo non vedono”.
Saramago, un genio generoso che ha avuto, tramite la scrittura e l’impegno politico (ha sempre militato nel PCP) una missione importante nel suo percorso terreno, quella di offrirci, con la sua visione dell’umanità e dei gruppi sociali superiore alla mera vista fisica, il dono della vista, quella vera, quella che fa vedere la realtà e arriva a svelare la verità su inganni e responsabilità. Con il suo immenso campo visivo possiamo distinguere nettamente il profilo degli umani, il nostro profilo. Siamo ciechi di fronte al male, il nostro e quello che ci torna indietro dagli altri. Con Cecità Josè ci invita a fare i conti con le nostre contraddizioni vedo/non vedo, a non arrenderci all’omologazione che toglie la vista a tutti ed a lottare per un mondo non più succube delle oligarchie e delle dittature, dominato dalla brutalità e dall’egoismo dei pochi che detengono il potere. Ricordando anche che siamo già di fronte ad un‘epidemia di cecità collettiva e quindi “…può succedere che ci troviamo in una situazione politica prefascista senza rendercene conto. E che improvvisamente il fascismo torni a governare E noi continueremo a non rendercene conto Perché la facciata si mantiene e la facciata è l’illusione democratica” (J. Saramago – 26 marzo 2007).