La situazione italiana

Intervento a nome dell’Università popolare Antonio Gramsci.


La situazione italiana

Nell’uso del linguaggio comune e dominante, accreditato e ampiamente sperimentato con termini generici e vuoti di contenuto, si nasconde la modifica dell’intelligenza generale non solo dei passaggi di fase del sistema di capitale operante all’interno dell’attuale mondializzazione del mercato, ma anche di quelli culturali, ideologici e politici intercorsi in Italia almeno dagli anni ‘60 a oggi. L’importanza di questa opacità critica, scientemente indotta dai governi succedutisi con tutti i canali informativi a disposizione, ma anche recepita dalle strutture sindacali e politiche che avrebbero dovuto formare e mantenere viva la coscienza delle classi subalterne, è stata quella, nei fatti, di tradurre in una resa economico-politica queste ultime, disorientate dalla deriva neo-corporativa delle istituzioni democratiche di questo paese.

La disinformazione, rafforzata dai numerosi diversivi offerti a sostituzione della comprensione della realtà quotidiana, ha così adeguatamente accompagnato il susseguirsi di leggi sul lavoro volte all’eliminazione progressiva dei diritti sociali, sapientemente emanate in tappe distanziate e pertanto inavvertite rispetto a capacità difensive indebolite, così erose sia sul piano teorico sia su quello pratico. Resa frantumata e imbelle una sinistra cultural-politica – estromessa dalle istituzioni democratiche mediante un concordato suicidio quale riconoscimento subalterno della propria impotenza, con il risultato di incassare una dimostrata connivenza con le finalità legali e illegali dello stato asservito agli interessi padronali – è stato facile dare seguito alle regressioni in senso sempre più autoritario di governi approntati per la realizzazione di obiettivi dispotici, come la crisi di capitale esige ormai in tutto il mondo impegnato nella lotta per l’egemonia, non certo per la convivenza pacifica.

La caduta dell’internazionalismo proletario e lo sviluppo progressivo di forme della “globalizzazione” (termine che mistifica un’economia parimenti integrata, al posto di mondializzazione o “mercato mondiale” in cui è implicita invece una gerarchia che attua lo sfruttamento dei paesi o zone più povere e/o politicamente dipendenti) dell’economia capitalistica hanno anche determinato la perdita degli obiettivi legati al processo di transizione, di democratizzazione effettiva della società e dello stato da realizzare entro un’articolazione tra istituti di democrazia “formale” e di democrazia “sostanziale”. Sia nel corso reale di quest’ultimo mezzo secolo sia nelle forme ideologiche che l’hanno accompagnato è risultato assolutamente dominante il cosiddetto stato di diritto – identificabile con un sistema di regole – di cui è stata continuamente occultata la natura autoritaria propria dello stato liberale così consegnatoci dalla tradizione, legata ora anche alla subordinazione alla Nato, ovvero agli Usa, al Vaticano e alle forze tutte della conservazione più reazionaria. Il permanere e approfondirsi della crisi strutturale da sovrapproduzione fa emergere ormai l’aspetto distruttivo: e del tessuto sociale, eminentemente nella precarizzazione lavorativa con aumento dei tassi di impoverimento assoluto e relativo, e dell’impatto ambientale, consegnato alla casualità indifferente in quanto unicamente valutato come risparmio di costi.

In tal senso va considerato anche l’apporto contraddittorio delle mafie, originarie di alcune regioni italiane, ma ormai diffusesi a livello internazionale e inserite in numerosi settori dell’economia cosiddetta legale e nei gangli sociali, politici e nelle istituzioni. Per avere solo una misura dell’entità del problema, l’Unodc, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, stima i flussi di denaro riciclato intorno al 2/5% del Pil globale, circa 1.000-2.000 miliardi di dollari. La distruttività che la loro esistenza comporta nei confronti del territorio, dell’ambiente, dello sfruttamento sul lavoro, sta a mostrare l’indelebile persistenza dellacosiddetta accumulazione originaria” di marxiana memoria, in cui sopraffazione, violenza, arbitrio, rapina, truffa, ecc., sono elementi costitutivi e non solo presupposti nel sistema di capitale. Ciò attualmente trova ampi spazi per il sostegno che il denaro proveniente dal narcotraffico o corruzione in genere, saccheggio delle risorse pubbliche dello Stato, ecc. fornisce ai mercati, anche finanziari, all’economia, alle banche per lo più disponibili al riciclaggio. Calcolo, comodità, ricatto, interesse, ignoranza, debolezza istituzionale, ecc. operano nelle carenze normative e nella clandestinità, quindi al riparo da una lotta sociale privata di analisi reale relegata invece ai soli eroici sforzi di pochi magistrati in perenne pericolo di vita.

Il diritto borghese, che nello stato asservito regola il mantenimento dell’ineguaglianza delle classi fondata sul potere di accumulazione privata, ha ultimamente prodotto un ulteriore salto di qualità rispetto all’innalzamento dispotico della legislazione, attraverso la decretazione governativa di un esecutivo allenato all’esautoramento reiterato della funzione parlamentare. Per citarne solo l’ultimo, in ordine di tempo, quello su Immigrazione e sicurezza presenta elementi di incostituzionalità nello smantellamento dei diritti dei rifugiati, quali categorie più vulnerabili, oltre che nella revoca della cittadinanza a ex-stranieri, nella sospensione del diritto d’asilo, nella preventivata ghettizzazione, nella riduzione a ordine pubblico di manifestazioni politiche o di disobbedienza e dissenso sociale, nella dotazione di armi a impulsi elettrici a polizia e vigilanza municipale, ecc., secondo il modello scontato delle attuali misure di respingimento dei poveri messe in atto da Trump, quali la negazione del diritto di cittadinanza ai nati negli Usa da immigrati recenti.

Con questo decreto in Italia si usa la legalità borghese nell’inasprimento dei rapporti di classe di cui si teme l’innalzamento conflittuale, prevenendo così con strumenti coercitivi propri del diritto e della repressione poliziesca il possibile controllo e/o contenimento. La sicurezza cui si fa riferimento è infatti quella unicamente rivolta alla difesa della proprietà privata che, nell’uso preventivato dei flussi migratori per mantenere o rafforzare il comando sul lavoro, teme che questi le si possano ritorcere contro se non si dota in tempo di normative il cui consenso è conseguito col dominio sulla paura sociale inculcata. La centralizzazione neoliberista o liberista senz’altro e il populismo, gretto e non autenticamente storico, oggi al governo, sono due lati della stessa medaglia: la conservazione dell’ordine sociale mediante una identità nazionale contraddittoria con la stessa fase internazionale del capitale, riaffermata sui vecchi arnesi dei confini, della patria, dell’etnia o razza, per fomentare la divisione razzista, della religione, ecc. a sostituzione dell’incapacità di questo sistema a soddisfare i bisogni aumentati dell’umanità.

L’oggettiva rarefazione della classe media (piccoli industriali, rentiers, commercianti, ecc.) pilotata verso un’inarrestabile proletarizzazione, lo spostamento politico di un’aristocrazia operaia verso forme di reazione, la destabilizzazione sociale dovuta all’aumento della miseria, corredo dialettico dell’accumulazione di capitale ormai in perenne crisi, hanno richiesto, e tuttora impongono, un depistaggio coscienziale nutrito appunto di razzismo, “terrorismo”, immigrazione come minaccia sociale, ecc. L’incremento della concorrenza tra lavoratori, confinati tra precariato e “disoccupazione”, ovvero esercito di riserva stagnante internazionale a chiamata, si avvale della gestione da parte di numerosi modelli di capi politici a nome Trump, Le Pen, Farage, Orban, Erdogan, Bolsonaro ora anche Salvini-Di Maio, con dovute differenze, ecc. La precedente alternanza destra/sinistra politica lascia ora il posto alla fase destra/dispotismo della legge dell’accumulazione di fronte alla contraddittorietà della mondializzazione del mercato delle merci – ivi compreso quello della forza-lavoro – con la restaurazione dei confini statuali, dei muri, del filo spinato, quali difficile o inadeguato argine o al massimo filtro per il respingimento di forza-lavoro senza valore (perché non ancora venduta!), visibile invece come l’inevitabile identificazione di persone umane alla conquista della propria vita già destinata alla morte. Di questo caso ne aveva già parlato G.W.F. Hegel nell’800, come il “diritto del bisogno estremo”, il diritto alla vita, di per sé eticamente e politicamente legittimato alla rivoluzione politica.

La storia mostra le sue regressioni determinate e perciò differenti, o ripetizioni in forma di farsa: se di questo si tratta, il nuovo “fascismo” del III millennio sarà anche forse più duro per le classi subalterne - in quanto più compattato sul piano internazionale e più sostenuto dalla legalità dell’arbitrio, (solo apparentemente un ossimoro), più o meno legittimato dal consenso popolare coatto -, ma va riconosciuto nelle sue forme diversificate, non in quelle di immediata e superficiale similitudine. Sembra si stia realizzando un’inversione temporale tra “sottomissione formale” e “sottomissione reale” del capitale, nel senso che lo sviluppo in atto delle forze produttive (robotica unita a lavoro umano più o meno dipendente, ovvero sistema automatico di nuove macchine del capitale fisso), non può essere pienamente utilizzato per l’inadeguatezza dell’organizzazione sociale, anche a causa di un non sufficiente controllo sociale. In altre parole, lo sviluppo delle forze produttive procede a spron battuto, rispetto all’organizzazione dei rapporti sociali. Tale resistenza al cambiamento è un segnale sia di forza che di debolezza del sistema.

È in questa debolezza che dobbiamo indagare per aumentarne la portata con il concorso più ampio possibile di forze sociali, coscienti o compagni di strada, respingendo ogni forma di settarismo. All’aumento di innovazione da immettere nel processo produttivo corrisponde pertanto una minore accumulazione, che richiede alle sovrastrutture politiche un freno e una cristallizzazione strutturale. Il problema quindi non è solo italiano, cioè nazionale, ma va inquadrato nelle leggi di mal-funzionamento del sistema economico di cui gli stati sono ora gli organizzatori non più sovrani, ma oltre-sovranizzati dalle istituzioni internazionali come Fmi, Banca Mondiale, Wto, UE. Tutto ciò richiede un approfondimento rigoroso della lotta teorica – che al momento non appare essenziale alla coscienza comunista – di cui si sono dispersi perfino gli strumenti o peggio le capacità mentali e i riferimenti culturali. La persistenza però di elementi ancora memori della lotta di classe maturata nei due secoli precedenti e la presenza di giovani capaci di reagire alle fanfare dell’omologazione al ribasso della disumanizzazione imperante, induce a mantenere l’impegno per riconquistare una lotta teorica, iniziata dai nostri padri politici, che porti alla realizzazione di un programma minimo di resistenza e rivalorizzazione della forza-lavoro, in questo prossimo futuro della classe mondiale.

28/04/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Carla Filosa

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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