Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi.
Il papa polacco e il crollo della democrazia popolare in Polonia
Nel crollo del blocco sovietico ha svolto un ruolo di indubbio rilievo il papa Giovanni Paolo II, rappresentante della chiesa polacca da sempre principale spina del fianco di quello che era certamente l’anello debole del sistema di Stati socialisti: la Polonia. Qui la chiesa, galvanizzata dal sostegno del nuovo papa e dell’opinione pubblica cattolica, diviene il principale sostegno al sindacato Solidarnosc che catalizza intorno a sé l’opposizione anticomunista, in Polonia rafforzata dal nazionalismo da sempre ostile all’egemonia russa. I dirigenti comunisti tentano invano di resistere con concessioni ai lavoratori, calo ulteriore della produttività e aumento a ritmi incontrollabili del debito quale sostegno ai consumi e, quando lo scontro trascende, ricorrendo alla repressione. Infine finiscono per cedere visto che il sostegno sovietico, se anche ci fosse stato, sarebbe risultato controproducente e cedere senza combattere gli avrebbe consentito di riciclarsi nella nuova situazione che si sarebbe creata, mirando magari a sfruttare le successive liberalizzazioni per arricchirsi. Si concedono così elezioni multipartitiche che, in quelle condizioni, con il sostegno economico e politico del mondo occidentale e cattolico, vedono prevalere le forze di Solidarnosc.
La sconfitta del tentativo di transizione al socialismo delle democrazie popolari
Ciò provoca una reazione a catena in altri paesi socialisti a cominciare dall’altro anello debole: l’Ungheria. Qui si arriva a consentire il libero passaggio alle frontiere con l’Austria, che apre la strada al mondo capitalista, presto imboccata da moltissimi tedeschi orientali che passano in occidente in quella situazione drammatica. Del resto i governi della Repubblica democratica tedesca e della Cecoslovacchia, che avrebbero voluto salvare il salvabile, non solo non ottengono nessun sostegno dall’Urss, ma anzi si trovano contro la stessa dirigenza gorbacioviana e finiscono con il cedere.
La caduta del muro di Berlino
Così l’aspirazione al consumismo occidentale, che aveva fatto breccia in diversi casi, grazie ai potenti mezzi di comunicazione anche fra gli strati popolari, favorisce il passaggio più brusco da un socialismo che aveva garantito la piena occupazione e i servizi sociali a tutti, ma con consumi limitati a poco più del necessario, a società liberiste in cui i pochi fortunati si arricchiscono enormemente e molti sfortunati sono costretti a cercare lavoro all’estero. In tal modo, la divisione dell’Europa viene meno, come dimostra nel modo più eclatante la riunificazione della Germania e in particolare della città di Berlino con l’abbattimento del muro. Presumibilmente su iniziativa dei dirigenti della Sed (Hans Modrow), per rilanciare la prospettiva socialista dopo il crollo dell’Urss.
L’annessione della Ddr
La spinta alla riunificazione diviene inarrestabile nel momento in cui il gruppo dirigente comunista non pare più in grado di rispondere alla grave crisi che si è aperta. Inoltre, a sostegno della riunificazione, non agiva solo l’aspirazione di molti tedeschi orientali a livelli di consumi maggiormente elevati, ma anche la spinta alla riunificazione del paese, che sarebbe divenuto così con la Russia la massima potenza europea, liberando la Germania orientale dall’incombenza di sostenere la crescita dei più arretrati paesi del blocco socialista e dei movimenti di liberazione internazionali. In ultimo la promessa dell’ovest di grandi investimenti di capitali all’est, in cambio di una resa incondizionata al sistema economico e politico occidentale, finisce per fare breccia, anche perché la dirigenza comunista dinanzi al totale abbandono da parte di Gorbaciov preferisce salvare il salvabile fondando un partito del socialismo democratico (Pds), capace di mantenere un consenso intorno al 25% nell’ex Ddr. Così il 3 ottobre la Ddr è annessa alla Repubblica federale.
Pro e contra dell’unificazione tedesca
La Germania torna a essere una superpotenza politico-economica, chiudendo la fase di relativa debolezza dovuta alla sconfitta nelle due guerre mondiali. Anche se dal punto di vista economico la scelta di smantellare il sistema produttivo socialista, che garantiva la piena occupazione, con un sistema capitalistico ha comportato un consistente aumento della disoccupazione, un rilevante aumento dei prezzi prima sottoposti al controllo statale e la diminuzione dei servizi sociali gratuiti. In cambio gli ex cittadini della Ddr. hanno la possibilità teorica di arricchirsi molto oltre i limiti consentiti dal vecchio sistema e di potersi muovere liberamente ed emigrare nell’intero paese.
La casa comune europea
Infine la riunificazione tedesca ha fatto crescere enormemente il timore in tutti i paesi confinanti, in primis nella Francia che, per cercare di evitare un risorgere delle mire espansionistiche tedesche, ha acconsentito all’annessione della Ddr in cambio dell’assicurazione di un’accelerazione del processo di unificazione dell’Europa centro-occidentale sull’asse franco-tedesco.
Gli anni Novanta
Gli anni Novanta si aprono su di un panorama mondiale completamente trasformato. La guerra fredda, che ha segnato l’intero secondo dopoguerra, può dirsi in massima parte conclusa, mentre si aprono nuovi conflitti che vedono spesso il mondo capitalista fronteggiare la parte più radicale del mondo arabo che, da parte sua, contrasta quello che considera il colonialismo sionista, mentre si affaccia il pericolo di una nuova guerra fredda dell’occidente capitalistico contro il nuovo grande competitore internazionale la Repubblica Popolare Cinese e la Russia che hanno finito per riavvicinarsi. Più in generale si afferma la tendenza delle grandi potenze a favorire cambi di governo o secessioni nei paesi poco propensi ad accettarne l’egemonia.
La dissoluzione dell’Urss
Gli anni Novanta si aprono con il trionfo delle forze controrivoluzionarie in Urss, che riscattano la loro sconfitta del 1917 e riprendono il controllo completo della situazione dopo che il tentativo in extremis di destituzione di Gorbaciov e di salvataggio dell’Urss fallisce per l’incapacità di mobilitare le masse popolari in difesa del socialismo, dopo che per anni erano state passivizzate dalla stessa dirigenza. Ciò permette alle forze della restaurazione capitalista di sbarazzarsi della parte residua del gruppo dirigente, che non accetta lo smantellamento del modo di produzione socialista, e dello stesso idealista Gorbaciov, sostituito con Boris Eltsin nel 1991, che agisce con energia e violenza per portare a termine la transizione. Il partito comunista sovietico è messo fuori legge, nonostante la vittoria netta nel referendum per il mantenimento dell’unione, l’Urss è sciolta ed Eltsin non esita a far cannoneggiare nel 1993 il parlamento in cui prevalevano le forze che si opponevano alla sua linea, e a governare senza parlamento per quasi un decennio. Ciò consente la rapidissima cessione ai privati, spesso stranieri, del patrimonio pubblico, in primo luogo industrie e banche.
I costi sociali della transizione al capitalismo
Sono così aumentate enormemente le disuguaglianze sociali, con un ristretto numero di oligarchi che hanno rapidamente raggiunto nei consumi di lusso i loro omologhi occidentali. Inoltre lo smantellamento in tempi rapidissimi dell’enorme patrimonio statale ha finito con il favorire non solo gli esponenti legati al potere politico, ma anche il risorgere della criminalità organizzata, che ha assunto il controllo di interi settori economici. Inoltre la rapidissima svalutazione del rublo, lo smantellamento delle strutture di assistenza dello Stato socialista, il risorgere della disoccupazione di massa, ha creato un forte impoverimento di operai e contadini spesso costretti a emigrare. Ciò ha consentito la rinascita del partito comunista russo, che si è attestato intorno al 30%, divenendo la seconda forza politica del paese.
L’indipendenza dei paesi ex sovietici
Dalla dissoluzione dell’Urss, sono sorti nuovi stati a partire dalle repubbliche del Baltico: Lettonia, Lituania ed Estonia, in cui più forti erano le forze anticomuniste e antirusse. In seguito hanno scelto la strada dell’indipendenza l’Ucraina, in cui si è aperto un duro conflitto interno fra le regioni occidentali radicalmente anticomuniste e antirusse e le forze orientali russofone, e la Biellorussia, in cui hanno presto ripreso il sopravvento le forze contrarie alla restaurazione del capitalismo, capeggiate da Aljaksandr Lukashenko, che è riuscito a preservare una parte significativa del precedente modo di produzione socialista, a partire dalle tutele sociali. Ciò ha provocato rapporti estremamente tesi con il mondo capitalista occidentale e un’appendice di guerra fredda che dura fino ai nostri giorni.
L’indipendenza delle repubbliche asiatiche ex sovietiche
Indipendenti sono anche divenute le Repubbliche asiatiche del Kazakistan, rimasto legato alla Russia, dell’Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan che oscillano fra buoni rapporti con i russi e accordi con gli Usa, fino ad avvicinarsi negli ultimi anni alla Rpc. L’Azerbaigian mussulmano ha invece operato una radicale rottura con la Russia, a causa del duro conflitto che nel 1992 lo ha contrapposto alla cristiana Armenia per il controllo della regione di confine del Nagorno-Karabakh. In generale in tutti questi Stati asiatici ex sovietici la fine dell’unità ideologica e politica dello Stato socialista ha consentito l’esplosione di fanatismo religiosi, generalmente finanziati da Arabia Saudita e Turchia, e di intolleranza etnica e separatismi. Ciò vale in particolare per l’area del Caucaso, in cui ha raggiunto l’indipendenza la Georgia, da cui si sono separate due regioni russofone (Abcasia e Ossezia del sud), che intendono rimanere legate alla Russia. Ciò ha provocato conflitti latenti e una vera e propria guerra in cui la Georgia, con il supporto degli Usa., ha cercato nel 2008 di riprendere il controllo dell’Ossezia del Sud, risultando però sconfitta dal rapido intervento a favore di quest’ultima da parte dei russi. Nel frattempo dalle basi in territorio georgiano le forze fondamentaliste islamiche, sostenute da Turchia e Arabia Saudita, si sono battute militarmente per l’indipendenza dalla Russia della Cecenia, portando avanti una tattica terrorista, che ha raggiunto il suo apice con l’assalto alla scuola di Beslan nel 2004. La Russia è intervenuta militarmente per restaurare il proprio controllo nel 1994-96, I guerra cecena, e nel 1999-2009 con la II guerra cecena. Dopo scontri violentissimi i russi sono riusciti a impedire la secessione grazie all’accordo raggiunto con la componente meno fondamentalista dei ribelli ceceni, che hanno lasciato il controllo della regione in cambio dell’abbandono delle mire secessioniste.