I paesi in transizione al socialismo negli anni Sessanta

Il conflitto con l’Unione sovietica s’inasprisce e la Repubblica Popolare Cinese accentua sempre più le sue critiche al revisionismo sovietico, che in seguito alla destalinizzazione avrebbe rinunciato all’avanzamento della transizione sino al comunismo.


I paesi in transizione al socialismo negli anni Sessanta

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi

  1. L’Unione sovietica da Kruscev a Breznev

All'inizio degli anni sessanta il potere di Kruscev appare saldamente costituito; in realtà ha gravi punti deboli: la rottura con la Repubblica Popolare cinese, l’economia che non cresce al ritmo impetuoso preventivato, il montante dissenso di intellettuali e paesi dell’est Europa non attenuato, ma accresciuto dalle libertà ottenute. Nel 1964 Kruscev, che ha centralizzato il potere nelle sue mani, è destituito in nome di una nuova direzione collegiale. Il partito è diretto da Breznev, lo Stato da Kossighin. Le aperture di Kruscev considerate eccessive sono limitate, a partire dal diritto di critica agli intellettuali e dalla demonizzazione di Stalin. In campo economico si produce una relativa autonomizzazione delle aziende statali.

Il cambiamento di direzione non risolve le difficoltà

Il cambiamento di direzione non risolse le difficoltà nel campo socialista, il conflitto con la Cina non si attenua e anche le spinte autonomiste dell’est europeo non rientrano, anzi nel 1968 conoscono una nuova escalation che produce una crisi grave simile a quella del 1956.

  1. La “primavera cecoslovacca” e la repressione sovietica

In Cecoslovacchia, uno dei paesi dell’est in cui più forti e radicali sono i comunisti, la destalinizzazione non ha prodotto cambiamenti rilevanti. Ciò ha consentito al partito comunista cecoslovacco di non procedere per strappi e rotture traumatiche con il passato, ma allo stesso tempo il continuismo non ha favorito un reale sviluppo, in primo luogo economico.

La via cecoslovacca al socialismo di Dubcek

Sotto la direzione di Novotny vi è nel 1967 un significativo tentativo di modernizzare l’economia, a cui corrisponde un irrigidimento ideologico, favorito dalla sconfitta di Kruscev in Urss. Ciò però crea crescenti attriti con una componente del movimento studentesco, che Novotny pensa di tacitare con la repressione. Tale politica unilaterale ne segna la sconfitta e Novotny è sostituito alla guida del partito da Dubcek, capofila dell’ala meno ortodossa del partito, che definisce nel 1968 una via cecoslovacca al socialismo, che implica un profondo e spregiudicato rinnovamento del socialismo, a partire da una grande attenzione al consenso dal basso per le decisioni politico-economiche. 

L’intervento militare del Patto di Varsavia

Tale significativa riforma del socialismo, nota come primavera cecoslovacca, mette in allarme i sovietici e diversi loro alleati, a cominciare dalla Repubblica democratica tedesca, che temono di lasciare così aperto un pericoloso spazio alla nuova politica della Germania Federale di Willy Brandt alla ricerca di consensi ed egemonia in quell’est che non potendo riconquistare militarmente, intende controllare economicamente. Temendo per la stessa tenuta del patto di Varsavia, Urss:, Ddr, Polonia, Ungheria e Bulgaria intervengono militarmente senza incontrare resistenze, anche perché il gruppo di Dubcek opta per una resistenza passiva. Il partito cecoslovacco è così epurato dall’ala meno ortodossa.

Tale azione provoca una rottura nell’unità d’azione fra partiti comunisti

Tale forzatura però favorisce il disgregarsi del campo socialista, non solo la Repubblica popolare cinese denuncia un’invasione da parte del socialimperialismo, ma anche Jugoslavia e Ungheria a est, e i Partiti comunisti di Italia e Francia, i più grandi a ovest, protestano animatamente, iniziando una progressiva fuoriuscita dall’orbita dell’Urss.

  1. La rivoluzione culturale in Cina

Immediatamente dopo la destituzione di Kruscev i cinesi fanno scoppiare la prima bomba atomica e nel 1967 la prima bomba all’idrogeno. È uno straordinario successo, che mostra come la Repubblica popolare cinese, unico fra i paesi liberatosi dal colonialismo, è ormai entrata nel novero delle grandi potenze. Il conflitto con l’Unione sovietica s’inasprisce e la Repubblica Popolare Cinese accentua sempre più le sue critiche al revisionismo sovietico, che in seguito alla destalinizzazione avrebbe rinunciato all’avanzamento della transizione sino al comunismo.

Il fallimento del grande balzo in avanti favorisce l’ala destra del partito

In Cina, dopo il fallimento del grande balzo in avanti, prevalgono le componenti più di destra del partito che, al livello industriale, legano la retribuzione al rendimento individuale, ma la deideologizzazione del lavoro segna la fine dell’entusiasmo e la maggior parte degli operai preferisce lavorare non troppo, a ritmi moderati, limitandosi a un salario modesto. 

La critica di revisionismo rivolta ai sovietici investe anche l’ala destra del Partito comunista cinese

Anche nelle campagne riprende a svilupparsi in alcune aree la proprietà privata. Tali liberalizzazione fanno nuovamente cresce la divisione fra lavoratori manuali e intellettuali, con il sorgere di un nuovo ceto di privilegiati. A tale direzione si oppone l’ala sinistra del partito che, forte della accusa di revisionismo all’Unione sovietica, estende tale critica anche all’ala di centro-destra del Partito comunista cinese alla guida del paese.

La Rivoluzione culturale

Nel 1965 la sinistra del partito esce allo scoperto denunciando pubblicamente le autorità che si sono incamminate “sulla via capitalista”. Si apre uno scontro durato fino al 1971 fra la sinistra guidata da Mao Tse Tung e l’ala revisionista, denominato dai maoisti Rivoluzione culturale, in quanto per sconfiggere i fautori della linea nepista si considerava indispensabile rinnovare completamente le sovrastrutture e l’atteggiamento spirituale dell’uomo dinanzi alla produzione, contrastando la linea economicista e tecnicista della destra. 

Le guardie rosse criticano la direzione revisionista del Partito comunista

La sinistra comincia con un attacco agli intellettuali che hanno abbandonato il marxismo-leninismo e, perciò, sono epurati dal partito. L’attacco si sposta contro i dirigenti del partito che intendono affievolire la dittatura del proletariato. A sostegno della linea sinistra intervengono gli studenti che attaccano prima con tazebao, manifesti murari e poi organizzandosi in guardie rosse, i vertici della scuola e dell’università giudicati burocratici e non rivoluzionari. Alla testa di tale movimento si pone Mao stesso insieme a Lin Piao, che fanno appello direttamente alle masse contro i burocrati imborghesiti del partito. La mobilitazione di massa delle guardie rosse trova la sua bibbia nel libretto rosso con le citazioni di Mao curato da Lin Piao. 

La spaccatura interna al gruppo dirigente maoista

La rivoluzione culturale si diffonde in tutto l’enorme paese e il gruppo dirigente maoista si divide in un’ala più moderata guidata da Chou En-Lai, attenta a non far degenerare la protesta facendo prevalere una linea estremista che ostacoli l’economia e indebolisca lo Stato, e un’ala ultrasinistra guidata da Ch’en Po-Ta che considera possibile procedere a tappe forzate sulla linea del comunismo cominciando a smantellare lo stesso Stato. 

Dopo la sconfitta della destra, Mao con le forze armate blocca il movimento delle guardie rosse

Dopo che Mao approfitta della situazione per mettere fuori gioco la destra del partito, che aveva tentato di emarginarlo dopo l’insuccesso del Grande balzo in avanti, nel 1967 si decide ad arrestare le guardie rosse che si sono lanciate in tutto il paese in una repressione di tutti i quadri e intellettuali giudicati non rivoluzionari, creando una crescente tensione con i vertici delle forze armate che, per difendere la loro posizione, mirano a ristabilire l’ordine. Sconfitta la destra del partito, Mao passa all’attacco dell’estrema sinistra, sostenendo le posizioni delle forze armate e difendendo dalle epurazioni i quadri tecnici e amministrativi necessari allo sviluppo del paese. 

La normalizzazione della Rivoluzione culturale e la scomparsa di Lin Piao

Fra il 1968 e il 1969 la situazione si normalizza, le guardie rosse perdono di importanza, la destra e l’estrema sinistra del partito sono emarginate; Mao riprende nelle sue mani il potere, insieme a Lin Piao che avrebbe dovuto succedergli. Tuttavia nel 1971 l’ala più moderata di Chou En-lai si impone ai danni dell’ala sinistra di Lin Piao, che scompare in circostanze oscure. 

  1. L’inasprimento del conflitto sino-sovietico

Nel frattempo, anche il conflitto con l’Unione sovietica si è accentuato a partire dal 1963 quando la RPC rivendica una parte significativa dell’Urss asiatica, sostenendo che sia stata separata dalla Cina dallo violenza degli zar, che hanno imposto al paese dei trattati ineguali. La situazione degenera al culmine della Rivoluzione culturale nel 1969 quando si arriva a un vero e proprio scontro militare sul confine segnato dal fiumi Ussuri, in cui i sovietici sconfiggono le velleità cinesi di riconquistare i territori contesi perduti nei secoli precedenti. 

La Repubblica popolare cinese cerca sostegno nei paesi socialisti più autonomi dall’Unione Sovietica

Sconfitta sul piano militare, la Cina in seguito cerca di stringere accordi con i paesi dell’est che più desiderano mantenersi autonomi dall’Urss a partire dalla Romania e dalla Federazione socialista di Jugoslavia. Tale politica è resa possibile dall’epurazione dell’ala sinistra di Lin Biao.

La spregiudicata politica estera cinese

Ancora più spregiudicata è stata la politica estera cinese nei confronti dei paesi non allineati e persino dei paesi capitalisti, pur di isolare il nemico sovietico. Una politica simile la Repubblica popolare ha portato avanti nei confronti dell’altro grande vicino: l’India, sostenendo i suoi nemici a cominciare dal Pakistan. La Cina stringe invece ottimi rapporti commerciali con il Giappone, mentre deve rinunciare agli ottimi rapporti con l’Indonesia, dove l’ala più conservatrice dell’esercito, con il sostegno degli Usa, preoccupata delle crescenti aperture del governo democratico di Sukarno ai comunisti filocinesi, lancia un golpe militare, operando un vero e proprio massacro, che porta all’assassinio di un milione di persone di sinistra. 

La Repubblica popolare si riavvicina agli Stati Uniti d’America in funzione antisovietica

Infine, dopo aver sostenuto il movimento di liberazione nazionale vietnamita guidato dai comunisti, che infligge una memorabile sconfitta agli Usa, la spregiudicatezza diplomatica dei due grandi nemici, Stati Uniti e Repubblica popolare, ne favorisce un progressivo riavvicinamento per combattere insieme il comune nemico sovietico.

01/10/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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