Valentini, Hegel e Weil

Proseguiamo nella recensione analitica di Soluzioni hegeliane, opera essenziale di Francesco Valentini, uno dei massimi interpreti del pensiero hegeliano.


Valentini, Hegel e Weil Credits: https://netivist.org/debate/most-influential-kant-or-hegel

Segue da “La virtù e il corso del mondo

Nella parte conclusiva di Soluzioni hegeliane Valentini si occupa in particolare della Logica della filosofia [Logique de la philosophie] di Erich Weil. Valentini si concentra sull’analisi critica delle ultime categorie della Logique, in cui è implicita una critica al sistema hegeliano. Valentini coglie nella critica di Weil una ripresa della posizione kantiana. Inoltre per Valentini le categorie che nella Logique de la philosophie dovrebbero superare l’assoluto hegeliano, in realtà non ne sono in grado, dato che o ne costituiscono un momento o ne sono semplicemente una ripresa. Ciò di cui non sembra tener conto Valentini è che la sua interpretazione della filosofia hegeliana si nutre proprio di quelle categorie post-hegeliane, analizzate nel testo di Weil.

Valentini coglie nella concezione di Weil una critica di origine kantiana a Hegel. Il sapere assoluto coglierebbe ciò che è wirklich [reale-razionale], ma non il Dasein [l’essere nella sua determinatezza, ovvero l’esserci]. In tal modo, la sfera dell’essere appare in qualche modo preclusa, ma questo per Weil come per Kant non costituisce un motivo di sconforto esistenzialista, ma apre alla possibilità di abbandonare la sfera dell’essere in direzione della soggettivista filosofia del senso, su cui si fonda la libertà dell’autocoscienza. È la strada intrapresa, ma non raggiunta, da Kant, dalla quale Hegel – dopo il fallimento del nobile tentativo di Fichte di portarla alle estreme conseguenze – sarebbe tornato a parere di Weil al sentiero più rassicurante dell’essere, al presunto riconoscimento della necessità della cosa stessa. Hegel sarebbe ricaduto nello storicismo dell’assoluta necessità, al quale Weil oppone la concezione – a nostro parere più fichtiana e gentiliana che kantiana, come la interpreta Valentini – che la necessità è solo ostacolo e deve essere ricondotta a mezzo per la realizzazione della libertà.

Per Valentini si tratta di una sorta di tardo ripensamento, quasi di un tradimento degli assunti hegeliani della prima filosofia di Weil. Anche se poi Valentini finisce, contraddittoriamente, con il condividerne l’assunto ermeneutico e, quindi, anch’esso legato alla filosofia della riflessione, di una presunta inesauribilità del reale di fronte al razionale. Pur pretendendo di prendere le parti di Hegel di fronte a questo esito decisamente riflessivo della filosofia di Weil, Valentini sembra dimenticare che per Hegel solo il razionale è reale e, dunque, poco hegeliana è anche la sua concezione per cui il razionale, sempre storicamente condizionato, non farebbe altro che offrire interpretazioni sempre diverse del reale. In altri termini Valentini sembra perdere di vista la differenza essenziale fra esistente e reale. O meglio inesauribile è forse, in senso hegeliano, lo sviluppo storico, lo sviluppo del concetto – che può portare con sé la necessità di rimettere a punto l’analisi del materiale storico, dell’oggetto – ma non è certo inesauribile l’oggetto in sé e per sé, almeno non lo è per Hegel. Si potrebbe dire che inesauribile è l’interpretazione e non l’oggetto, o meglio che l’oggetto di Hegel, la cosa stessa, non è altro che l’interpretazione e non una supposta cosa in sé.

D’altra parte Valentini prova a rispondere, dal punto di vista della sua interpretazione di Hegel, alle critiche di Weil. Il nodo centrale di queste critiche è ancora una volta il sapere assoluto, considerato da Weil un impaccio, anche per Hegel, per l’analisi del concreto. Per Valentini si tratta di un’incomprensione del sapere assoluto hegeliano, che non nega affatto l’inesauribilità del concreto, in quanto non sarebbe altro che una sua determinata – innanzitutto dal punto di vista storico – interpretazione. “Il contenuto di questo sapere è (…) una cultura, quella cultura che Hegel prende in esame in quanto formatrice dell'uomo moderno e che chiama ‘spirito’” [1]. Questo sviluppo ha segnato il processo di liberazione dell’uomo dall’altro da sé, il suo essere di casa nel mondo, un processo che una volta compiutosi permetterebbe a Hegel di arrestare, per così dire, il flusso temporale e tracciarne la filosofia della storia. È il punto di vista del presente che dà quel senso determinato, assoluto in quanto interpreta i momenti precedenti come necessariamente rivolti alla produzione di quell’esito. Del resto è proprio la circolarità del percorso a precluderne qualsiasi esito definitivo, qualsiasi interpretazione ultima e indiscutibile del temporale.

Anche l’accusa rivolta da Weil a Hegel di aver accentuato la necessità a discapito della libertà è rigettata da Valentini. Evidentemente la necessità di Hegel non è affatto un cieco destino, “si tratta di una necessità posta a partire da un determinato presente, si tratta della storia che viene pensata come necessità e fatta come libertà” (258). La necessità è dunque, diremo noi, un presupposto del concetto, che non ne nega affatto la libertà di interpretazione, ovvero di presupporre un determinato ordine e tipo di eventi piuttosto che un altro. Ciò che manca nell’interpretazione di Valentini è la misura oggettiva che permette di distinguere un’interpretazione da un’altra, che consente di esprimere il giudizio del concetto che evita di cadere nella differenza indifferente delle interpretazioni semplicemente storiche. Ciò non toglie che Valentini abbia pienamente ragione nella sua critica al Weil di Philosophie et Réalité che perde di vista, nel fare di Hegel un filosofo dell’essere, il fatto che la Logica hegeliana abbia il suo culmine nella, eminentemente soggettiva, dottrina del concetto.

Da ciò nasce il tentativo di Valentini di mostrare come le categorie della Logique de la philosophie, che seguono a quella hegeliana dell’assoluto non comportino degli oggettivi sviluppi, almeno dal punto di vista logico. Per Valentini, in effetti, con l’assoluto si chiude la storia nel senso che è possibile filosofare, comprendere razionalmente solo ciò che è già stato, mentre il futuro resta necessariamente indeterminato dal punto di vista strettamente conoscitivo, in quanto la sua determinazione è compito dell’azione, che da questo punto di vista non può essere ricompresa nella logica. La razionalità dell’azione non è discernibile fino in fondo dal punto di vista dell’azione, ma è opera del filosofo del futuro che comprendendola ne potrà stabilire o meno la razionalità. Così è la storia, la cosa stessa, il vero e proprio soggetto, la verità come risultato dell’agire dei singoli. Per Valentini la critica a questa concezione da parte di Weil non è altro che il tentativo di salvaguardare l’indipendenza del singolo da una concezione, come quella hegeliana, che gli antepone il fatto come sua vera realizzazione.

Nel decimo e ultimo saggio, in occasione della traduzione italiana della Logique de la Philosophie di Weil (1997), Valentini propone una profonda e corposa rilettura di quest’opera. La Logica della filosofia si presenta come una vera e propria storia della filosofia condotta enucleando una serie di categorie riferite da Weil, più o meno direttamente, a un autore o a una scuola filosofica. Ogni categoria enuncia così un sistema, sviluppatosi in una determinata epoca storica. Ogni categoria è, così, superata dalla seguente secondo un percorso logico e non sempre cronologico. “L’insieme di queste categorie struttura la nostra cultura, è la grammatica del nostro discorso, in sostanza costituisce la nostra Ragione” (272). Ogni categoria presuppone una particolare attitudine, un determinato modo di vivere, portato di una certa epoca storica, ma anche in grado di trascenderla. Ciò non toglie che la categoria è essenzialmente la presa di coscienza di un mondo storico. Certo storicamente la categoria non si è enucleata in questa purezza ed è, anzi, compito della logica della filosofia distinguere in un’epoca storica gli aspetti legati a una semplice categoria del passato – utilizzata per interpretare le nuove attitudini – e gli aspetti che caratterizzano il sorgere di una nuova categoria. Ogni categoria poi mira non semplicemente a restituire la propria epoca storica, ma ripensando attraverso questa le epoche passate, ricerca la verità e prova a esporla in un sistema universale. La sua particolarizzazione, la sua storicizzazione è dunque compito dell’epoca storica o, meglio ancora, della categoria seguente.

La prima categoria, la Verità, è ineffabile, è il presupposto semplice di ogni discorso, è la disposizione, diremo noi, a scegliere il discorso anziché la violenza propria dell’agire irriflessivo. La seconda categoria è quella del Non-senso, dei discepoli di Parmenide padre della prima categoria, che indicano l’impossibilità di dire il molteplice preso nel vortice del divenire e non possono che tacere di fronte all’ineffabilità dell’uno. Queste due categorie, quindi, come le prime due della Logica hegeliana, sono prive di sviluppo ed è la riflessione posteriore che gli ha dato la parola, poiché di per sé la prima rappresenta il silenzio e la seconda il rifiuto di parlare. Tuttavia, a differenza del nulla hegeliano il non-senso di Weil non è un superamento, una negazione dell’essere. Ora per Valentini queste prime due categorie hanno una precisa corrispondenza con le prime due della Logica hegeliana, sebbene Weil lo neghi, pretendendo che nel non-senso della seconda categoria vi sarebbe uno sviluppo rispetto alla verità della prima categoria. Per Valentini, tuttavia. solo con la terza categoria, in cui per mezzo della identità-differenza con la seconda la prima ritorna in sé, si ha un reale svolgimento. Tanto più che non vi è attraverso questa presunta negazione, cui fa riferimento Weil, uno sviluppo dialettico che porti alla terza e alla quarta categoria, il vero e il falso e la certezza, ma, come nel passaggio hegeliano all’essere determinato, vi è piuttosto un precipitare, un atto volontaristico che sceglie il discorso come determinazione. In questo modo Valentini crede di poter rintracciare nelle prime categorie di Weil la stessa polemica hegeliana contro la pretesa di un essere superiore alla determinazione, di un ineffabile superiore alla sfera del discorso.

A queste categorie seguono quella di Civiltà, categoria formale, propria del discorso dei sofisti e di Socrate e quella ontologica dell’Oggetto di Platone e Aristotele, in cui la ragione dal mondo degli uomini si trasferisce nel cosmo. “Dunque – commenta Valentini – assoluto primato della ragione oggettiva e uomo intrinseco al mondo” (287). A questa segue la categoria dell'Io riscontrabile in Epicuro e negli stoici, che mira a riporre l’uomo come universale a fondamento della filosofia e, tuttavia, finisce per incorrere nella contraddizione tra la dimensione individuale dell'Io e quella dell’universale. Questo dualismo si prova successivamente a risolverlo, proiettandolo rappresentativamente nella categoria di Dio, una sorta di super-io che sana la scissione di universale e singolare. Così, commenta Valentini – che in questa categoria vede l’entificazione del concetto – “l’uomo si comprende in un trascendente che è il suo profondo io, che è la sua essenza: si ha lo sdoppiamento riflessivo anche se ricorrendo a un’ipostasi” (292-93).

Si passa, infine, alla categoria illuministica e positivistica della Condizione, in cui la filosofia diviene spirito scientifico, misurabilità di tutte le cose. Per Weil questa categoria è indice di un’attitudine muta che sottrae il discorso al soggetto per darlo a una scienza che è solo denotativa e non comprensiva. Valentini, invece, si sforza di indicare, al di là di Weil, come con questa categoria non si debba necessariamente rinunciare al senso e al fine umano, in quanto la ricerca scientifica ha come scopo il progresso del mondo umano e, al suo interno, ha una sua necessità logica e, quindi, un senso.


Note:

[1] Francesco Valentini, Soluzioni hegeliane, Guerini e associati, Napoli 2001, p. 255. D’ora in avanti inseriremo direttamente nel testo, in parentesi tonda, il rinvio alla pagina di questo testo da cui la citazione è desunta.

04/04/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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