Pride racconta il fronte unito che ha unito le lotte per i diritti civili e le lotte sociali contro la Thatcher. Il film tratta con brio e grazia un argomento tragico, la disperata lotta dei minatori costretti a cedere dopo un anno di sciopero e sacrifici, tanto da far sorridere fra le lacrime e prendere coscienza senza mai annoiare. Il tutto condito da un’avvincente colonna sonora, un cast che rappresenta una gradita sorpresa per lo spettatore italiano, una sceneggiatura che sa coniugare la giusta dose di leggerezza e profondità e la regia scaltra, ma mai banale di Matthew Warchus.
di Renato Caputo e Rosalinda Renda
Dopo trent’anni arriva infine sul grande schermo la divertente, commovente ed esaltante storia del comunista omosessuale Mark Ashton e del suo mitico gruppo di militanti: LGSM ossia Gay e lesbiche sostengono i minatori, allora impegnati in un durissimo sciopero contro le politiche liberiste della Thatcher che ha coinvolto quasi duecentomila lavoratori con le rispettive famiglie lungo ben 51 settimane intorno alla metà dei funesti anni Ottanta, il cui tragico epilogo è ben rappresentato dall’incombente e oscura minaccia di una nuova spaventosa epidemia prodotta dal virus Hiv.
Su questo drammatico sfondo storico di un asprissimo e disperato scontro di classe è ambientato questo frizzante film, che racconta del lavoro estremamente difficile, ma estremamente produttivo, di un giovane comunista per unire due lotte che fino a quel momento avevano proceduto parallelamente, a causa di pregiudizi frutto del pensiero dominante perbenista e borghese: la lotta di lesbiche e gay contro le discriminazioni e le violenze che subivano e la lotta dei minatori per difendere la propria comunità e il proprio posto di lavoro dinanzi al capitalismo britannico intento ad aggirare la crisi di sovrapproduzione e a frantumare la resistenza operaia smantellando il settore produttivo a vantaggio del capitale finanziario e speculativo.
La complessa e ardua lotta per il riconoscimento, che si innesca fra due mondi apparentemente inavvicinabili, i londinesi militanti LGBT e i minatori in sciopero, nelle desolate lande del Galles, si trasforma in una presa di coscienza e liberazione reciproca, descritta con garbo e intelligenza dal regista. La formazione stessa del collettivo «Lesbians and Gays Support Miners» permette a ciascuno degli omosessuali che in esso si impegnano, di trovare un proprio equilibrio, dando anche un senso più profondo alla propria esistenza attraverso un’idea di giustizia sociale per cui battersi. I minatori trovano nel gruppo di militanti omosessuali non solo un prezioso aiuto materiale e morale, che gli consente di rompere l’isolamento, ma anche l’impulso a superare i propri preconcetti e il proprio provincialismo. Sia i colti ma più corrotti cittadini, che gli ingenui, rozzi, ma anche più genuini minatori colgono attraverso lo sguardo straniante dell’altro da sé i propri rispettivi limiti, imparando allo stesso modo a relativizzare le proprie convinzioni e a riconoscere la validità di un punto di visto così lontano, ma anche così vicino.
I militanti omosessuali devono superare nella loro lotta difficoltà enormi, a partire dai pregiudizi presenti fra gli attivisti omosessuali poco propensi a legare la lotta interclassista per la difesa dei diritti civili alla lotta di classe in cui erano impegnati i minatori. Tanto più che inizialmente gli stessi minatori, resi duri e diffidenti da una condizione di estremo sfruttamento, nonostante le gravi difficoltà prodotte da uno sciopero a oltranza e la violentissima repressione della polizia sono restii, se non contrari, ad accettare lo stesso sostegno offerto dallo LGSM. Essendo il pensiero dominante il pensiero della classe dominante, infatti, sia gli omosessuali sia i minatori sono pieni di pregiudizi gli uni nei confronti degli altri, pregiudizi funzionali al dominio borghese.
Sarà paradossalmente proprio la consapevolezza di essere entrambi vittime della medesima classe dominante e dei suoi violenti apparati repressivi a far emergere la consapevolezza della necessità della solidarietà fra gli oppressi, grazie al tenace lavoro del settore più avanzato del movimento, rappresentato esemplarmente dal giovane comunista omosessuale Mark Ashton, per giunta irlandese. Come spesso avviene, i subalterni in rivolta sono considerati dalla classe dominante e dai suoi sgherri reazionari come il nemico assoluto, dei pericolosi terroristi, per di più pervertiti. Ariete della campagna volta a demonizzare qualsiasi forma di solidarietà fra gli oppressi furono, come al solito, i mezzi di comunicazione di massa, fra tutti il diffusissimo giornale «Sun» proprietà del magnate Rupert Murdoch.
Con notevole duttilità e capacità di utilizzare per i propri scopi anche le più infamanti definizioni affibbiate loro dai media borghesi, i militanti omosessuali si servono dell’osceno gioco di parole utilizzato dalla stampa per infamarli, Pits and perverts, difficilmente traducibile in italiano, come logo per una grande iniziativa di denuncia e per raccogliere fondi.
Al grande concerto organizzato per sostenere il fronte comune partecipano fra gli altri i Bronski Beat, il cui cantante Jimmy Somerville avrebbe in seguito registrato con i Communards “For A Friend”, in memoria del compagno Mark Ashton, vittima giovanissima dell’Aids. Tanto più che, sottolineando lo sviluppo contraddittorio del rapporto di riconoscimento reciproco fra due comunità in un primo momento aliene, la musica svolge una funzione semantica essenziale in questo film, profondamente segnata, dal punk al folk al pop, dai motivi degli anni Ottanta, il decennio del riflusso e del disimpegno, che contribuisce a rovesciare tutti i consueti luoghi comuni degli eterosessuali sui gay e dei raffinati londinesi sui poveri minatori di una remota provincia del Galles.
Fra i pochi nei di questo film, certamente fra i pochi da non perdere usciti nel 2014, vi è quello di non esplicitare la posizione politica del protagonista, dirigente di spicco della Lega dei giovani comunisti, che viene definito comunista solo una volta da qualcuno che usa questo termine come un insulto, proprio come nel film dedicato da Spike Lee a Malcom X.
Ancora una volta a dimostrazione del fatto che le più pesanti discriminazioni non colpiscono né gli omosessuali o gli immigrati, ma chi si batte contro la società borghese, in una crisi che precipita il mondo nella barbarie, per una società socialista. Tuttavia nel film Ashton è comunista nei fatti, incarnando la componente più avanzata e radicale di un fronte di lotta ampio contro il governo imperialista della Thatcher.
Del resto è certamente preferibile mettere in scena un vero comunista, senza dirlo in modo troppo esplicito, piuttosto che rappresentare dei personaggi che si autodefiniscono comunisti senza poi dimostrarlo nei fatti.
È proprio il ruolo di avanguardia volta a costruire un fronte ampio anticapitalista del comunista Ashton a consentire dapprima a un gruppo di gay e lesbiche di impegnarsi per la lotta contro ogni forma di oppressione, in primis quella dei lavoratori salariati da parte del capitale e a convincere i minatori a superare le loro posizioni, indotte alla omofobia dal filisteismo dell’ideologia dominante, a battersi per far introdurre nel programma del Labur Party britannico l’impegno a battersi contro ogni forma di discriminazione contro gli omosessuali. Tale lotta unitaria riuscirà ad aver ragione anche delle forze volte a fare del Gay pride una pura sfilata ostentatrice delle proprie preferenze sessuali, facendone un momento di lotta congiunto contro un governo imperialista, al punto che l’edizione londinese del 1985 viene aperta da un folto spezzone che vede manifestare fianco a fianco minatori e omosessuali anticapitalisti.
Tanto che come ricorda il giornalista Peter Frost, in un ottimo articolo del britannico «Morning Star» [1], di cui abbiamo fatto tesoro, anche tre anni dopo, in occasione della morte di Ashton, «bandiere rosse, rosa e arcobaleno e striscioni delle unions dei minatori sventolavano tutte insieme al suo impressionante funerale».
In tal modo il film conferma plasticamente la profonda verità della celebre massima del comandante Ernesto Guevara, seconda la quale l’unica lotta davvero persa è quelle che non si è combattuta. Infatti, il regista mostra come anche da una battaglia disperata e condannata a una terribile sconfitta, i suoi protagonisti ne sono usciti non solo a testa alta, ma rafforzati dalla consapevolezza, per dirla con Bertolt Brecht, di sapere in cosa consista la forza di noi classi subalterne: la solidarietà!
Bibliografia
1 «Morning Star» [Online]. Available: http://www.morningstaronline.co.uk/a-772e-Pits-and-perverts-the-legacy-of-communist-Mark-Ashton/a-772e-Pits-and-perverts-the-legacy-of-communist-Mark- Ashton#.VKH8-sD_Q