Red Joan

Dietro le epiche vicende storiche si cela il non esplicitato rapporto fra verità storica, interpretazioni soggettive e interessate di essa e la censura e l’auto-censura imposta dalla classe dominante


Red Joan

Red Joan di Trevor Nunn (Gran Bretagna 2018) è un film basato su una storia quanto mai interessante, avvincente e rivoluzionaria. Al suo centro vi sono alcuni dei più brillanti studenti inglesi che si politicizzano al tempo della Guerra civile spagnola prendendo nettamente posizione, al contrario del proprio governo, a favore del Fronte popolare e delle Brigate internazionali impegnate in un’epica quanto impari guerra contro il nazi-fascismo internazionale. Dal momento che l’Unione sovietica è l’unico paese che si impegna fattivamente a difesa della Repubblica spagnola aggredita dalla belva nazi-fascista, diversi di questi giovani diverranno membri del Partito comunista, perseguitato e ridotto a uno stadio di semi clandestinità nella terra natale del liberalismo, nonostante l’alleanza tattica dell’Impero britannico con l’Unione sovietica nel corso della Seconda guerra mondiale. Anche per questo i giovani aderenti al partito operano in modo semi clandestino, celando la loro adesione, per sfruttare al meglio le possibilità che gli offrono le loro eccelse capacità di fare carriera in posti chiave delle istituzioni del proprio Stato imperialista. Al punto di poter avere accesso a decisive informazioni – nonostante la giovanissima età e l’essere donna, che discrimina ulteriormente la protagonista – sia nel ministero degli esteri, che nei laboratori scientifici, finanziati dallo Stato per la realizzazione di ordigni di distruzione di massa, di una potenzialità mai neanche immaginata come le armi nucleari.

La costruzione di ordigni tanto micidiali veniva giustificata dagli anglo-americani e fatta accettare agli scienziati, che altrimenti vi si sarebbero in parte significativa opposti, per le loro convinzioni etico-politiche, con la giustificazione che bisognava realizzarli prima del regime nazista, per poterne aver ragione. Ben presto appare evidente che le potenze imperialiste, a partire dalla più avanzata in tale ambito, gli Stati uniti intendono in realtà farne uno strumento della loro volontà di potenza sul piano geopolitico. Inoltre i governi statunitensi, britannico e degli altri paese in guerra con la Germania nazista non intendono condividere in nessun modo le loro ricerche e scoperte in tal campo con gli alleati sovietici, nonostante i trattati e le solenni promesse di cooperazione su tutti i piani necessari a battere il comune nemico. Da tale punto di vista, quindi, ancora prima della costruzione della prima bomba atomica, la sua stessa realizzazione era pensata in funzione della futura guerra fredda, ovvero del conflitto che presto si aprirà palesemente fra i sostenitori del modello capitalista e imperialista e i sostenitori del socialismo e del comunismo.

Ecco che, allora, i nostri intrepidi giovani eroi si impegnano per raccogliere il maggior numero possibile di informazioni da condividere con l’Unione sovietica, nonostante si vivesse allora uno dei momenti più difficili della tragica vicenda di questo paese, con le grandi purghe dell’epoca staliniana, che finiranno per avere ripercussioni drammatiche sullo stesso drappello di valorosi comunisti britannici.

Ciò nonostante questi giovani intellettuali – che hanno gli strumenti scientifici e ideologici per poter prevedere, entro certi limiti come è necessario, gli scenari futuri – comprendono resta comunque decisivo, per la sopravvivenza stessa del genere umano, dinanzi alla furia della guerra imperialista, condividere tali micidiali armi di distruzione di massa con l’Urss. A tali conclusioni, giungono indipendentemente anche gli scienziati canadesi – con cui i britannici collaboravano per aggirare il tentativo statunitense di avere il monopolio sulle armi nucleari – che rivelano le preziose informazioni in loro possesso ai sovietici. A ulteriore dimostrazione di come in quella drammatica epoca diversi grandi intellettuali degli stessi paesi imperialisti simpatizzassero con l’Unione sovietica, nonostante le tragiche vicissitudini attraversate da questo Stato dopo la morte di Lenin.

Il contenuto altamente rivoluzionario della vicenda storica reale su cui si fonda il film ha dovuto necessariamente fare i conti – per poter essere realizzato e trovare una distribuzione all’altezza – con l’industria culturale britannica che lo doveva finanziare, ovvero con uno degli strumenti più potenti utilizzato dall’imperialismo britannico per portare avanti la lotta di classe al livello delle sovrastrutture contro il comunismo. Questa inaggirabile contradictio in adiecto viene, per quanto possibile, ricomposta mediante la censura e l’autocensura necessaria a rendere un plot così rivoluzionario adattabile per essere diffuso da uno dei più significativi strumenti di propaganda e di egemonia sulla società civile nazionale e internazionale dell’ultra conservatore imperialismo britannico.

Non poteva che venirne fuori un gran pasticcio, un gran calderone in cui gli elementi oggettivamente rivoluzionari sono costantemente mescolati a elementi controrivoluzionari, apertamente revisionisti e rovescisti. Il difficile e contraddittorio compromesso raggiunto fra la sacrosanta esigenza di far conoscere degli aspetti importanti e significativi della verità storica – rimasti per evidenti motivi sottotraccia – e la “necessità” del loro parziale occultamento e stravolgimento ideologico da parte dell’industria culturale non ha potuto che pesare profondamente sul risultato dell’opera che, per poter essere davvero artistica, avrebbe dovuto necessariamente essere maggiormente libera dal pesantissimo condizionamento dei finanziatori, anche se ciò – considerati gli attuali rapporti di forza fra le classi sociali – non era in realtà possibile. Ne risulta per tale motivo una soluzione di compromesso, una sintesi impossibile fra due istanze inconciliabili, per cui si è isolata una singola protagonista di questa necessariamente collettiva impresa, per farne l’eroina individualista, idealista e ingenua – cara all’industria culturale – che, pur rischiando di farsi costantemente strumentalizzare degli infidi agenti sovietici, avrebbe comunque realizzato l’opera di condivisione dei segreti atomici necessaria a preservare la pace nel mondo dinanzi ai rischi di una terza guerra mondiale.

Tale impossibile e del tutto inverosimile sintesi fra le opposte esigenze del film finisce per reggersi sul fatto che gli eventi narrati, in modo “oggettivo” nel film, sono in realtà la versione soggettiva e interessata offerta in tribunale dall’ormai anziana comunista, che ha passato informazioni militari di grande importanza e riservatissime all’Unione sovietica, la quale deve difendersi da pesantissime incriminazioni dopo che, con il crollo del blocco sovietico, un ex agente dell’Urss ha tradito, rivelando tutti i risvolti da lui conosciuti dell’intera vicenda narrata dal film ai servizi britannici. Quindi l’“oggettiva verità storica” è in realtà filtrata da una serie di interpretazioni soggettive e interessate, a partire da quella dell’agente traditore, interessato a dare il massimo rilevo alle informazioni da lui rilevate, a quelle degli agenti di uno Stato imperialista interessati a usarle in chiave anticomunista, ma anche per difendere l’attendibilità e credibilità delle proprie istituzioni, passando per la versione funzionale al committente, ossia l’industria culturale, per arrivare infine alla versione tendente a occultare le proprie responsabilità politiche e a mettere in luce i soli aspetti etico-morali della protagonista reale del film.

È evidente, infatti, che la pluri-inquisita per altro tradimento non poteva che riuscire a salvarsi, dalle pesantissime accuse a lei rivolte, se non utilizzando l’astuto stratagemma già sperimentato con successo dal grandissimo artista leninista Bertolt Brecht, chiamato a testimoniare davanti alla Commissione per le attività antiamericane, strumento decisivo della vera e propria caccia alle streghe portata avanti dai conservatori statunitensi contro l’intellighenzia di sinistra attiva negli Usa, accusata di essere una quinta colonna del comunismo internazionale. Come dovrebbe essere noto, Brecht riuscì a venirne fuori facendo il finto tonto, il finto ingenuo e il finto anziano rintontito ormai incapace di ricordare con esattezza eventi spacciati come estremamente remoti ovvero, nel caso specifico, la sua iscrizione al Partito comunista tedesco.

Il problema principale del film resta il fatto che tutta questa dialettica fra le interpretazioni soggettive, necessariamente interessate, dell’esperienza storica, e la verità “oggettiva” che se ne può ricavare, rimane completamente sottaciuta, a causa dell’esigenza dell’industria culturale di produrre una merce vendibile al grande pubblico, da decenni narcotizzato dagli strumenti di egemonia della classe dominante. Per tale motivo il personaggio principale è costruito e interpretato in modo tale che il pubblico possa impersonarvisi completamente, dando credito alla sua versione necessariamente interessata dei fatti, anche quando non può che apparire, ai pochi che sono in grado di mantenere vivi gli strumenti della critica, poco attendibile e verosimile.

D’altra parte tale versione finisce per fare comodo anche all’industria culturale e, più in generale, all’imperialismo britannico in quanto utilizza tale legittima difesa in senso revisionista e rovescista, tanto da far apparire l’eroina non una comunista, ma un’idealista pacifista, che sarebbe riuscita a resistere stoicamente ai tentativi di strumentalizzazione dei diabolici agenti sovietici, impegnati per altro principalmente a farsi le scarpe fra di loro. In tal modo la verità storica, proprio perché in quanto tale è rivoluzionaria, finisce per essere quasi del tutto occultata e distorta dagli abilissimi strumenti narcotizzanti dell’industria culturale.

Affinché il contenuto rivoluzionario dell’opera potesse affermarsi sarebbe stata necessaria una forma altrettanto rivoluzionaria, in altri termini l’esatto contrario di quella imposta dall’industria culturale per farne una merce, ovvero un prodotto il più possibile gastronomico. La forma adeguata al contenuto dirompente dell’opera sarebbe stata, senza dubbio, l’effetto di straniamento teorizzato e sperimentato dal grande drammaturgo Brecht. Questa forma è necessaria a sviluppare la comprensione critica della realtà da parte dello spettatore, a portarlo ad andare al di là del mondo fenomenico, delle parvenze della realtà, per coglierla in tutta la sua contraddittoria complessità. A tale scopo, in primo luogo la protagonista avrebbe dovuto mostrare come la violenza dell’accusa e i rapporti di forza completamente sfavorevoli la costringessero a recitare la parte dell’ingenua idealista, piuttosto che della materialista militante rivoluzionaria. Ma, evidentemente, per avere un capolavoro artistico, come ad esempio quelli realizzati da Brecht, ci vorrebbe una società in cui le forze che si battono per l’emancipazione del genere umano non fossero state messe alla corda da chi opera in funzione della de-emancipazione.

29/06/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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