The Boys è una serie televisiva statunitense ideata da Eric Kripke per Amazon, basata sull’omonimo fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson. La prima stagione di 8 episodi è andata in onda nel 2019, voto 7,5. Al solito l’episodio pilota promette molto bene: sembra finalmente di assistere non più a una autocritica tutta interna al mondo dei supereroi, ossia una sorta di rivoluzione passiva mediante cui, con alcune concessioni dall’alto, si rilancia tale prodotto fra i più venduti dell’industria culturale. Al contrario, nel primo episodio, vi è una profonda critica di come i supereroi sono gestiti da una multinazionale che mira unicamente a fare profitti. I supereroi partecipano dei profitti della multinazionale e dietro le apparenze di eroi senza macchia e senza paura, ultramoralisti e bigotti religiosi, danno completo sfogo da veri superuomini alla loro lurida volontà di potenza. Anche il Patriota – l’unico che difende fra i supereroi criminali quanto meno le apparenze – si rivela uno spietato assassino.
Resta, però, il dubbio sull’alternativa, in grado di contrastare la multinazionale e i supereroi, dal momento che ricorda, al solito, la sporca dozzina, ossia uomini pronti a tutto, capaci delle peggiori nefandezze per far fronte al nuovo impero del male. Si riaffaccia, così, la solita soluzione fascistoide ai mali della società capitalista, per cui l’alternativa alla multinazionale sarebbero collaboratori privati della stessa Cia, talmente scorretti da dover agire in proprio. Così la sacrosanta denuncia della corruzione delle multinazionali della lotta al crimine diviene funzionale a restituire credibilità a una alternativa fascistoide e apertamente brutale. Alle grandi imprese corrotte e attente al politically correct si contrappone il mito della sana piccola impresa che non le manda a dire e non rispetta – spudoratamente – nessuna regola, pur di tenere il passo della concorrenza.
Il secondo episodio, come di consueto, mostra l’altra faccia di queste serie americane, ossia l’essere merci dell’industria culturale, efficaci strumenti di distrazione di massa e di egemonia della classe dominante. Certo rimane una significativa critica dei supereroi-superuomini, della grande multinazionale che li sfrutta per i propri profitti e degli stessi membri del congresso facilmente ricattabili. Resta, d’altra parte, il pessimo processo di formazione del protagonista che – da essere un subalterno pronto a subire più o meno tutto – per spirito di vendetta personale e volontà di potenza, si trasforma rapidamente in un criminale, pronto a entrare a far parte del famigerato gruppo dei Boys.
Nel terzo episodio convince la caratterizzazione estremamente negativa del supereroe più fascistoide, il Patriota, che svela il vero volto oscuro di Captain America. Mentre decisamente inquietante è l’involuzione del protagonista bonaccione in un esponente a tutti gli effetti della sporca dozzina. Colpisce inoltre la rappresentazione delle masse prive di coscienza di classe, ridotte a facili pedine d’azione delle operazioni più sporche delle multinazionali, che le egemonizzano, e la totale assenza di un qualsiasi personaggio positivo, espediente per normalizzare il fascismo quotidiano.
Nel quarto episodio assistiamo a un altro modello esemplare di mistificazione della realtà, da parte del Patriota che, dopo esser intervenuto su direttiva del general manager, per far passare l’inserimento dei supereoi nell’esercito, nasconde il fatto di essere stato la causa efficiente del disastro aereo, dando a credere che i passeggeri si sarebbero salvati se fossero stati liberi di agire all’interno delle forze armate. Emerge anche quanto sia pericoloso quest’ultimo progetto, in quanto darebbe agli Stati Uniti un potenziale micidiale e incontrollabile che potrebbe provocare, per esempio, una strage di cinesi. Resta il problema, non minimamente preso in considerazione, che ad affrontare i supereroi sia un gruppo egualmente disposto a tutto, guidato da un losco individuo soprannominato “il macellaio”, che agisce sovvenzionato segretamente dalla Cia, per puri motivi di vendetta personale. Dunque i “buoni” sono in realtà, al di là della mistificazione ideologica dell’industria culturale, di fatto speculari ai cattivi che combattono. Lasciando lo spettatore con un briciolo di autonomia di pensiero nell’impossibile scelta fra peste e colera, dal momento che la possibilità stessa di un’alternativa reale non pare contemplata.
Il quinto episodio segna un netto salto di qualità della serie, soprattutto per la critica davvero radicale ai fondamentalisti religiosi cristiani, base di massa del trumpismo. Vediamo, innanzitutto, la profonda ipocrisia dei vertici che, con la scusa di attività caritatevoli, coprono i traffici più sporchi. Inoltre, pur essendo omosessuali decisamente pervertiti, sostengono che tutti i rapporti non finalizzati alla riproduzione sarebbero peccaminosi. Naturalmente, in tale ambiente ultrareazionario, ha grandissimo successo il più cinico, spietato e fascistoide superuomo-supereroe: il Patriota. Quest’ultimo arriva a non pronunciare il discorso bipartisan della multinazionale da cui dipende, per pronunciarne un altro decisamente più reazionario che unisce l’aggressività a livello internazionale dell’amministrazione Bush Junior con le posizioni di destra radicale del trumpismo. Mentre si scopre che i supereroi sono in realtà dei super-dopati dalla nascita, vediamo finalmente una maturazione in senso progressista della protagonista femminile, che si congeda dal mondo fondamentalista in cui è cresciuta, comprendendone tutta l’ipocrisia, e lo denuncia pubblicamente. A dimostrazione che anche chi ricopre i ruoli più nefasti all’interno della società imperialista ha ancora una sua libertà, che in alcuni casi, per quanto rari, può essere utilizzata a fin di bene.
Nel sesto episodio riemergono i consueti assurdi paradossi del cinema e forse, più in generale, della cultura, statunitense, ovvero una totale incoscienza di classe che porta a non essere in grado nemmeno di distinguere le forze del progresso da quelle della reazione. Per cui, insieme a un’ottima denuncia della società dello spettacolo e di come la grande impresa rafforzi persino le organizzazioni terroriste, per assumere il controllo dell’apparato militare, vediamo che chi mira a contrastare tali tendenze coltiva come massima ambizione l’essere internalizzato dalla Cia.
Nel settimo episodio la serie comincia a divenire più complessa. Presumibilmente si sarà dimostrato necessario preparare la strada a una nuova stagione. Il cattivo assoluto, il Patriota, non sembra l’autore dello stupro della moglie del “macellaio” e non sembra proprio essere il responsabile della sua morte. Indagando viene a sapere che la sua cattiveria è legata al modo nazista in cui è stato fatto crescere. Tanto più che il medico che lo ha allevato in laboratorio sembra proprio uno degli scienziati nazisti arruolati dagli Stati Uniti in funzione antisovietica. Peraltro il macellaio, in teoria il capo dei buoni, si comporta in modo irrazionalmente brutale ed emerge anche come la sua fissazione personale contro il Patriota abbia impedito la collaborazione con la Cia. Quest’ultima non vuole eliminare i supereroi, ma semplicemente intende evitare che la multinazionale che li gestisce si inserisca nell’esercito. D’altra parte, avendo la multinazionale creato supereroi anche fra i terroristi, anche i piani della Cia rischiano di sfumare.
La prima stagione si chiude a regola d’arte rimettendo, almeno in parte, in questione i punti fissi e criticabili della prima serie. Innanzitutto viene meno l’opzione di una Cia buona e di una multinazionale cattiva, in realtà sono essenzialmente due facce della stessa medaglia, vi è concorrenza, ma sono fratelli nemici, ossia pronti a far blocco contro il comune nemico: in primo luogo il terrorismo internazionale. Questo al solito è l’unico punto fermo e indubitabile, ossia la difesa assolutamente bipartisan della politica di grande potenza statunitense. Mentre i ruoli del buono e del cattivo si dialettizzano, acquistano sfumature, divengono più complessi. Allo stesso modo viene finalmente colto il lato oscuro della vendetta, che sembrava giustificare tutto.
Malvagi di Dan Berk e Robert Olsen, commedia, drammatico e thriller, Usa 2019, voto: 6; film senza grandi pretese fatto con un budget decisamente limitato, Malvagi dimostra – ancora una volta – la grande abilità dei lavoratori del cinema statunitense. Anche perché i loro film non hanno generalmente quegli aspetti decadenti, grotteschi e postmoderni così caratteristici del cinema europeo. Il film è costruito molto bene, vi sono diversi colpi di scena. Si tratta di un filmetto godibile, che riprende adeguatamente la struttura tragica, rimanendo comunque brillante. Contiene anche elementi sostanziali, come la efficace critica della brutalità del ceto medio statunitense dell’interno del paese, che cela dietro il proprio perbenismo puritano dei veri e propri scheletri negli armadi. Così, riescono decisamente più umani i due giovani scapestrati rapinatori, che hanno una morale decisamente superiore all’etica della middle class Wasp. Peccato che resti questa sostanziale apologia, tipicamente piccolo-borghese, del piccolo criminale, un po’ anarcoide, che ancora crede al sogno americano e non riesce a immaginarsi niente altro che una vita da piccolo imprenditore dal volto umano.
Lovecraft Country – La terra dei demoni, serie televisiva statunitense (2020) creata da Misha Green, prima stagione, dieci episodi, voto 6-: l’episodio pilota, Tramonto, è come di consueto piuttosto intrigante, sebbene se si tratta di una serie di genere horror, dedicata a uno scrittore razzista e fascistoide. In modo innovativo e spiazzante gli eroi sono afroamericani istruiti e, in particolare, il protagonista è appassionato di fantascienza e di Lovecraft. Il primo episodio mostra un significativo quadro del razzismo strutturare negli Stati Uniti ancora negli anni Cinquanta, dove i linciaggi degli afrodiscendenti erano in talune zone pratica comune da parte della stessa polizia. Peraltro il protagonista, per potersi virtualmente emancipare, ha dovuto servire, contro la saggia volontà del padre, nell’esercito imperialista statunitense, impegnato nell’aggressione alla Corea.
Come prevedibile, il secondo episodio segna una netta caduta di tono. Gli elementi sostanziali, legati alla storia razzista degli Stati Uniti, passano del tutto in secondo piano per dare vita a una assurda storia horror, una cattiva arma di distrazione di massa, ossia un mediocre prodotto dell’industria culturale a stelle e strisce.
Con il terzo episodio la serie riprende quota anche in quanto l’in sé intollerabile genere horror è posto al servizio della questione sostanziale della lotta contro il razzismo, ancora spaventosamente dominante negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, anni in cui Arendt pubblicava il suo Le origini del totalitarismo senza fare un cenno alle attitudini totalitarie degli Usa nei confronti degli afrodiscendenti. Anzi Arendt rimarrà una acritica apologeta degli Stati Uniti, mentre considererà totalitaria l’Urss nell’epoca di Stalin, dimenticando l’imprescindibile supporto dato da quest’ultima ai movimenti anticoloniali e antimperialisti e alla sconfitta del nazifascismo.
Purtroppo con il quarto episodio prende completamente il sopravvento il film commerciale d’avventura, un mero e tardo epigono dei Predatori dell’arca perduta. La questione sostanziale dell’emancipazione degli afroamericani resta troppo sullo sfondo e la serie diviene noiosissima. Visto l’andazzo, ossia il fatto che, per trovare spunti interessanti bisogna sobbarcarsi interminabili storie di mostri e d’avventura che solo un bambino riuscirebbe a sopportare, consigliamo di seguire il nostro esempio e di non proseguire la visione della serie.