Libere, disobbedienti, innamorate

Un bel film palestinese contro il patriarcato e i pregiudizi di una visione del mondo religiosa.


Libere, disobbedienti, innamorate Credits: http://www.kinodromo.org/2017/03/29/libere-disobbedienti-innamorate-in-between-di-maysaloun-hamoud-martedi-4-aprile/

LIBERE DISOBBEDIENTI INNAMORATE IN BETWEEN di Maysaloun Hamoud Palestina, Israele, Francia, 2016, valutazione: 7,5

La complessità e la poliedricità del concetto di lotta di classe, vero e proprio fondamento del materialismo storico, appare in modo evidente in In Between. Al centro di questo film emozionante, interessante e originale vi sono tre giovani lavoratrici palestinesi che rappresentano, in modo esemplare, la lotta contro l’oppressione di classe nei sui diversi aspetti, di cui subiscono in prima persona le nefaste conseguenze. Abbiamo in primo luogo la forma più diretta e immediata di lotta di classe, che contrappone i proletari, che dispongono unicamente della propria forza-lavoro e i capitalisti, che monopolizzano i mezzi di produzione e di riproduzione del lavoratore salariato. Questa contraddizione fondamentale è ben rappresentata dalla protagonista del film, una giovane palestinese abilitata all’insegnamento e costretta, per sopravvivere in modo indipendente dalla schiavitù domestica, a svendere la propria forza-lavoro in occupazioni precarie, dequalificanti e ad alto tasso di sfruttamento. Nonostante subisca sulla sua pelle diverse forme di oppressione, funzionali alla massimizzazione dello sfruttamento, si batte con coraggio contro di esse, in primo luogo dal punto di vista economico e sociale, sia in modo diretto, sul proprio posto di lavoro, sia in modo universale dichiarandosi apertamente comunista.

Questa giovane tenace, coraggiosa e piena di dignità rappresenta in modo plastico le diverse forme di subalternità sociale e di discriminazione storicamente utilizzate per salvaguardare la struttura gerarchica della società. In effetti, oltre a subire la discriminazione propria del proletario, costretto a vendere la propria forza lavoro nelle peggiori condizioni possibili, non disponendo di altro per poter sopravvivere in maniera indipendente, subisce le discriminazioni proprie dei giovani lavoratori salariati che, non avendo esperienza, hanno particolari difficoltà nel far valere gli anni di formazione necessari a dotarsi di una forza lavoro specializzata. Si vedono così costretti a svendere la propria capacità di lavoro per “lavoretti” dequalificanti. Inoltre la protagonista subisce le discriminazioni proprie dei salariati in un’epoca come la nostra di restaurazione liberista, in cui le conquiste prodotte dalle lotte sociali del movimento operaio del passato sono state ormai, in buona parte, spazzate via da una lotta di classe condotta in modo unilaterale dall’alto. Inoltre, essendo tra le poche lavoratrici ancora dotate di una coscienza di classe, che la porta a definirsi comunista, vive una condizione di ulteriori discriminazione e isolamento, tanto che persino la sua migliore amica, per quanto anch’essa libera e disobbediente, non la capisce, considerando il comunismo qualcosa di ormai morto e da nessuno rimpianto. A tale pregiudizio la protagonista contrappone la sua indipendenza dall’ideologia dominante, che le consente di dichiararsi serenamente comunista, superando quella autofobia, figlia della sconfitta storica, che porta tanti filocomuisti a nascondere o quanto meno a doversi quasi scusare per aver mantenuto la coscienza di classe e la determinazione a lottare per una società più giusta e razionale.

D’altra parte la protagonista condivide, con le sue due coinquiline – che nonostante le grandi differenze culturali, religiose e caratteriali finiranno per divenire compagne nella lotta comune contro le diverse forme di oppressione che subiscono – il fatto di essere costretta a vivere nella propria terra sotto il dominio di una potenza coloniale. Infatti, le tre protagoniste vivono sotto il giogo del sionismo, una forma di sciovinismo che ritiene gli ebrei l’unico popolo eletto da dio e, quindi, destinati a dominare su quella terra che testi da loro considerati sacri gli avrebbero assegnato per sempre. Essi sarebbero stati perciò destinati dalla divina provvidenza a strapparla ai popoli autoctoni, con i quali dovrebbero evitare, per quanto possibile, di stabilire contatti profondi. Così, sulla base di tali pregiudizi di ordine religioso, la popolazione autoctona palestinese è costretta a vivere come uno straniero nel proprio paese, del quale si sono in larga parte appropriati, con la violenza, uomini giunti dalle più diverse parti del mondo con la pretesa di riappropriasi di quella terra che il loro dio avrebbe promesso al “popolo eletto”. In tal modo, sebbene siano per molti aspetti simili ai loro coetanei ebrei – dal momento che la globalizzazione del mercato e il pensiero unico dominante tendono a uniformare attitudini, costumi e modi di vita – sono costretti a vivere in una situazione di costante emarginazione sociale, per diversi aspetti analoga a quella degli indios in America, dei pellerossa o degli afro-americani negli Stati Uniti o a quella vissuta dalla popolazione autoctona nei paesi dove dominava l’apartheid. Così non vengono rispettate e riconosciute nemmeno quando si presentano in un esercizio commerciale come clienti, nonostante la concezione neoliberista imporrebbe che quest’ultimo abbia sempre ragione, in quanto le stesse commesse, convinte di far parte del popolo eletto, dimostrano apertamente tutto il loro disappunto nel dover “servire” degli esseri inferiori. Tale forma di oppressione religiosa, nei fatti intrisa dei pregiudizi tipici del razzismo, finisce per opprimere gli stessi individui del popolo eletto, che sono nei fatti, spesso, impossibilitati a innamorarsi di una palestinese, in quanto questo legame non sarebbe mai accettato dalla propria famiglia e più in generale da tutti gli altri sionisti convinti di far parte del “popolo eletto”. Infine le protagoniste vivono la condizione di oppressione propria di chi è costretto a subire l’egemonia di una potenza occupante che, controllando i mezzi di comunicazione di massa, fa sempre passare chi si batte contro questo stato di oppressione e di dominio coloniale come un pericoloso eversore dell’ordine costituito. Ecco che la vittima, nel momento in cui non accetta supinamente questo stato di oppressione, viene presentata come il carnefice, in quanto si contrappone alle forze di occupazione.

Le tre coinquiline finiscono per superare le differenze, che tenderebbero a contrapporle, e a solidarizzare fra loro in quanto diverranno coscienti, subendone le conseguenze sulla propria pelle, di vivere in una società profondamente maschilista e patriarcale. Tale oppressione non riguarda unicamente la giovane proveniente da una famiglia e un contesto sociale ancora soggetto al tradizionalismo e, quindi, dominato da una concezione arcaica e fondamentalista della religione – nella quale l’uomo non ha ancora nemmeno il presentimento di aver alienato nella divinità tutte le qualità generiche alle quali partecipa in quanto essere umano. Perciò gli individui sono ancora del tutto asserviti alla volontà del proprio dio, ovvero a costumi arcaici ed estremamente oppressivi che consentono ancora agli “uomini di dio” di dominare sul resto della società, considerando la donna un essere inferiore, da destinare alla schiavitù domestica.

Tale tipo di oppressione colpisce, in forma diversa, anche la protagonista principale del film, che pure proviene da un contesto familiare e sociale più emancipato. Sebbene nella religione cristiana l’uomo non abbia più quella sudditanza completa al proprio dio, caratteristico delle forme di religione più arcaiche, ne deve comunque seguire le leggi, ovvero è costretto a sottomettersi ai costumi tradizionali patriarcali, per cui è inaccettabile per gli stessi genitori la prospettiva di una donna che possa vivere libera e indipendente da un uomo. Perciò vediamo come, sebbene con modi meno diretti e coercitivi, i genitori della protagonista cerchino di imporgli la scelta di un uomo a loro gradito, nella logica che la donna può ascendere socialmente solo accettando di assoggettarsi a un uomo di un ceto sociale più benestante. Dinanzi ai ripetuti dinieghi della figlia di accettare i mariti selezionati dalla famiglia e di fronte alla scoperta che ha tendenze omosessuali o almeno bisessuali, i genitori abbandonano i modi più civili e tolleranti rispetto ai fondamentalisti islamici e fanno emergere apertamente quanto siano anch’essi subordinati ai pregiudizi tradizionalisti, propri di una visione del mondo religiosa. Per cui appare loro evidente che una donna, che osa amare un’altra donna, deve essere insana e rappresentare una vergogna per la famiglia. Deve, quindi, essere coercitivamente ricondotta sulla retta via, dal momento che è dio stesso che ha creato la donna e l’uomo per farli unire in un rapporto diseguale – fondato in effetti sulla logica arcaica della relazione fra servo e padrone – finalizzato alla riproduzione della specie.

Anche la terza protagonista, sebbene abbia da tempo rotto con la società tradizionalista e si sia emancipata pienamente da ogni forma di pregiudizio religioso – da ogni subordinazione a norme etiche arcaiche volte a eternizzare una società gerarchica e patriarcale – finisce per incontrare enormi difficoltà nella convivenza con un uomo. In effetti, la maggior parte dei maschi non riesce ad accettare la possibilità di vivere con una donna completamente libera ed emancipata, pronta a opporsi apertamente alle norme etiche tradizionali sessiste e maschiliste. Così, anche quando finisce per innamorarsi, stabilendo finalmente una relazione stabile, con un uomo emancipato – che sembra condividere il suo stile di vita moderno, epicureo – è infine costretta a dover chiudere anche tale rapporto, in quanto il partner non è comunque disponibile, per amore, ad accettare che la propria compagna manifesti apertamente la propria disobbedienza alle norme tradizionali – che impongono alla donna tutta una serie di tabù per mantenerla in una condizione di subalternità.

Nonostante il film faccia riflettere lo spettatore, spingendolo a prendere posizione, su tutte queste forme di oppressione e vada, dunque, decisamente contro corrente rispetto all’ideologia dominante, In Between non riesce a emanciparsi sino in fondo da essa. La sua coraggiosa presa di posizione critica verso l’ordine costituito e l’ideologia su cui si fonda si sviluppa in un’ottica più riformista che rivoluzionaria, in quanto non è in grado di distinguere le contraddizioni fondamentali da quelle secondarie. Anzi, incapace di emanciparsi sino in fondo dall’egemonia dell’ideologia dominante finisce con il confondere le seconde con le prime. Così, nel film non sono – sulla base di una visione del mondo scientifica, materalistica e dialettica – gli elementi strutturali, economici e sociali, a determinare – per quanto in ultima istanza – gli aspetti sovrastrutturali, ma appaiono questi ultimi, secondo una concezione del mondo idealistica e metafisica, nel senso deteriore del termine, a determinare i primi. Così la contraddizione fondamentale ovvero l’aspetto fondante della lotta di classe – che necessariamente vede contrapposti, in un a società classista, sfruttati e sfruttatori, classi dominanti e subalterne – resta sullo sfondo. Allo stesso modo sullo sfondo resta la questione immediatamente dopo dirimente dell’occupazione colonialista della Palestina e della situazione di sostanziale apartheid in cui sono costretti a vivere gli autoctoni non provenienti da una famiglia, tradizionalmente, di religione ebraica. Al contrario centrale appare la contraddizione fra una visione del mondo religiosa – da cui viene fatta dipendere in ultima istanza l’oppressione della donna e l’omofobia – e una concezione del mondo non tanto scientifico-filosofica, ma epicurea.

17/06/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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