La centralità della politica in Losurdo e Hegel

Proseguiamo nella recensione analitica di questo gioiello nascosto di Losurdo: L’ipocondria dell’impolitico


La centralità della politica in Losurdo e Hegel Credits: https://restaurars.altervista.org/dentro-lopera-la-morte-di-marat-di-jacques-louis-david/ La morte di Marat di Jacques-Louis David

Segue da “Losurdo, Hegel e l’apologia della vita attiva” uscito sull’ultimo numero di questo giornale

Il quinto capitolo dell’Ipocondria dell’impolitico, intitolato da Domenico Losurdo: “la fine del periodo estetico”, è dedicato all’analisi del rapporto tra intellettuali e d’impegno politico in Germania dalla Rivoluzione francese al 1848. Losurdo parte riportando il giudizio del critico liberale Rudolf Haym – dominante introno alla fine degli anni cinquanta dell’ottocento, almeno in ambito nazional-liberale – sul periodo prequarantottesco, considerato come un’epoca estetica e letteraria rispetto al predominate interesse politico dell’epoca seguente. Losurdo smentisce questa opinione ricostruendo come nel periodo seguente alla Rivoluzione francese si era scatenato un interesse per l’attualità politica quasi maniacale, tanto che il tentativo di Friedrich Schiller con la sua rivista “Die Horen”di riportare l’attenzione su questioni estetiche aveva suscitato un generale malcontento, al di fuori dei circoli reazionari. Questo entusiasmo si protrae anche per tutto il periodo della lotta per la liberazione nazionale tedesca dalle truppe francesi. Tale entusiasmo per i giornali e la partecipazione attiva alla vita politica sembra spegnersi con la restaurazione per riaccendersi improvvisamente con la Rivoluzione di Luglio. In questa ripresa della passione politica giocarono un ruolo decisivo gli intellettuali della scuola hegeliana. Tale nuovo entusiasmo culmina nel 1848. Ora, si chiede Losurdo, cosa poteva spingere un attento conoscitore dei fatti storici come Haym a un giudizio così lontano dalla realtà dei fatti?

Il giudizio di Haym interessa Losurdo perché coinvolge quello sulla filosofia hegeliana. Anche questa, infatti, era considerata da Haym e dal suo ambiente politico-intellettuale come una stramba speculazione lontana dalla concretezza dell’agire politico. Anche il questo caso ben diversa era la percezione dei fatti negli anni trenta e quaranta del IXX secolo, in cui la filosofia hegeliana era considerata “un formidabile strumento per prendere coscienza della mondanità e politicità dell’uomo e per partecipare in modo attivo e consapevole agli avvenimenti del tempo” [1]. Questa opinione era generalmente diffusa in tutta la scuola hegeliana superando anche i confini tra destra e sinistra. Parte della scuola hegeliana, poi, diviene elemento trainante della politicizzazione di vasti strati intellettuali e della borghesia del tempo. Nel movimento politico rivoluzionario Vormärtz è dunque proprio lo hegelismo il fattore trainante dell’ideologia liberal-democratica e democratica. Il sorgere della categoria dell’intellettuale politicamente impegnato “data proprio dalla diffusione dell’hegelismo” (175).

Il realtà il tema della fine del periodo estetico e dell’inizio del periodo politico non risale ad Haym, ma a diversi intellettuali nell’epoca immediatamente precedente e seguente alla Rivoluzione del luglio 1830. Si pone qui la cesura tra l’epoca precedente del disimpegno estetizzante rappresentata dalla figura di Goethe e quella nuova filosofico-politica che ha le sue origini nella Rivoluzione francese e nell’Idealismo tedesco, in particolare nella concezione della storia di Hegel. L’attacco è diretto oltre che al romanticismo al culto dell’anima bella che avrebbe il suo modello nel Werther di Goethe. Del resto Hegel stesso “condanna con forza l’ideologia intimistica dell’evasione dal mondo etico e politico” (181).

Per Losurdo la stessa concezione della fine del periodo estetico utilizzata da Haym per bollare Hegel e la sua epoca è in realtà di derivazione hegeliana. La discutibile tesi dell’autore è che la tanto dibattuta questione della morte dell’arte può essere intesa come fine del periodo artistico. Certo è evidente che la critica hegeliana all’arte romantica ha anche un più profondo significato filosofico-politico, ma non crediamo che sia possibile ridurre la complessità di una tesi – che ha le sue radici nella crisi della polis greca e nell’emergere della soggettività assoluta tramite il cristianesimo – alle esigenze immediate dello scontro ideologico. Ciò non toglie che, di fronte all’estetismo romantico, una tesi come quella della morte dell’arte, pur avendo un’altra origine sia dal punto di vista storico che sistematico, potesse essere considerata da Hegel e ancora di più dai suoi discepoli come un’arma ideologica.

Per Haym, al contrario, la denuncia del periodo estetico coincide con la denuncia della metafisica, ovvero di quel cattivo idealismo che aveva guardato con favore alle idee della Rivoluzione francese e che aveva favorito la conquista della Germania da parte delle truppe napoleoniche. Colpevole di questa fuga estetizzante dalla realtà è anche la concezione dello Stato di Hegel, l’eticità colpevole a parere di Haym di sostituire all’impegno pratico nella drammatica situazione tedesca del tempo la costruzione di una utopia fantapolitica. In tal modo Haym riprende la critica del Vormärz al periodo estetico, ma le muta radicalmente di segno. Essa coincide con la critica dell’astrattezza e di mancanza di senso storico rivolta da Burke alla Rivoluzione francese. Tuttavia, mentre i francesi si sarebbero serviti di questi vaghi ideali come arma ideologica per le loro guerre di conquista, la mancanza di senso politico, di Realpolitik, da parte degli intellettuali tedeschi, imbevuti del mito estetico ed apolide dell’ellenismo avrebbe favorito la conquista da parte dello straniero. Dunque, non erano più come nell’analisi di Hegel o della Giovane Germania le condizioni feudali tedesche a favorirne la capitolazione di fronte alla più sviluppata Francia, ma le astratte idee della Rivoluzione francese che, proprio contro il feudalesimo, si erano battute. La lotta all’idealismo e la lotta alle ideologie è stata condotta sempre più decisamente da Haym e dai nazional-liberali tedeschi via via che si accodavano alla politica di potenza, alla politica “positiva” del cancelliere di ferro Otto von Bismark.

Su questa strada si muovono sempre più decisamente dopo il 1848 coloro che Losurdo definisce i transfughi dell’hegelismo. Anche i più radicali esaltatori dell’idealismo come Bruno Bauer finiscono sempre più per accodarsi al nuovo clima ideologico condito di Realpolitik dietro cui si cela la politica di potenza e il positivismo che porta con sé l’esaltazione della scienza e della tecnica contrapposti ai falsi miti della democrazia, dell’idealismo e della filosofia stessa. Il modello non è più la Francia con i suoi ideali universalistici, ma la priva di scrupoli politica di potenza della Russia zarista.

Il capitolo sesto è dedicato da Losurdo ad un’analisi della “destra” e della “sinistra” hegeliana dal punto di vista del rapporto istaurato tra il piano logico-metafisico e quello propriamente politico della questione sociale. Losurdo punta l’attenzione sul superamento da parte della filosofia dello spirito hegeliana del dualismo tra al di là e al di qua, in nome dell’assoluta presenzialità e mondanità dello spirito. In questa prospettiva si sono incontrati tanto i critici reazionari di Hegel, quanto gli esponenti rivoluzionari della Giovane Germania. La critica ad ogni via di fuga religiosa o “spiritualistica” in direzione di un consolatorio al di là, implica la necessità dell’intervento politico nel mondano in vista della sua conciliazione.

Una prima divisone tra “destra” e “sinistra” si ha nella diversa valutazione del rapporto fra spirito oggettivo e spirito assoluto. Per gli esponenti della “sinistra” il superamento dello spirito oggettivo è criticato come una sorta di evasione dai compiti della politica. Negli esponenti più radicali il rifiuto dell’orizzonte ultramondano e consolatorio della religione si verrà legando con una presa di coscienza sempre più forte della questione sociale. Tuttavia più che nel rapporto tra le due presunte scuole hegeliane la differenza emerge più nettamente mettendo in confronto le posizioni del Vormärz e quelle posteriori al 1848, in cui emerge con sempre maggiore forza la tensione a ricercare la conciliazione e la consolazione nella sfera superiore, intesa come sovrastorica, dello spirito assoluto.

Nel Vormärz la “sinistra” porrà l’accento sulla dialettica, come forza sovversiva, come quel costante processo di trasformazione che pone costantemente in discussione l’esistente. L’accento posto sulla forza del negativo, sulla contraddizione implica anche il riconoscimento dell’importanza dei salti qualitativi nello sviluppo storico, contro ogni teoria del gradualismo. A queste categorie, dopo il 1848, Rosenkranz opporrà la categoria della misura come sostegno all’essere di fronte agli assalti del divenire e del negativo. Altro decisivo punto di contrasto è dato dal concetto di Aufhebung, in cui la “sinistra” tende a dare maggior peso al negativo, mentre la destra alla conservazione. Da ciò deriva anche il diverso peso dato al metodo dialettico in relazione al sistema. Ugualmente rilevante è l’accento posto dalla sinistra hegeliana sulla categoria di libertà positiva, che si lega a quella di diritto positivo come esigenza di una regolamentazione statale della sfera economica della società civile, della proprietà privata.

Alla libertà positiva è strettamente connessa l’interpretazione politico-sociale della categoria di universalità, che già in Hegel, come universalità dei diritti, è elemento caratterizzante tanto della Rivoluzione americana, quanto della Rivoluzione francese. L’universalità gioca, inoltre, un ruolo importante contro il particolarismo feudale e contro la tendenza della società borghese a sottrarsi al ruolo di controllo da parte dello Stato. Al contrario molti degli intellettuali che, prima del 1848, esaltavano il ruolo dell’universale, nel periodo posteriore vi contrapporranno in misura crescente la concretezza del singolo. Da qui il passo alla condanna diretta di Hegel è piuttosto breve, dato che nella sua filosofia l’individuo è pensabile solo in riferimento alla categoria di universalità.

Nel settimo capitolo Losurdo ritorna sulle riserve di Rosenkranz nei confronti dei concetti di salto qualitativo e contraddizione oggettiva. A parere di Losurdo Rosenkranz sarebbe stato sempre molto attento alle implicazioni politiche della logica hegeliana. Così le sue riserve rispetto ad alcune categorie o possibili interpretazioni tendono ad aumentare con la generalizzata svolta a destra seguita al 1848. Da una parte vi è la critica a una logica che sembra togliere spazio alla religione, dall’altra vi è il sospetto verso lo stesso metodo dialettico, divenuto un’arma nella battaglia ideologica. Si tratta dunque di tenere a bada, ad esempio, il concetto  di salto qualitativo, riportando il mutamento di qualcosa all’interno del suo limite, contrapponendo sempre più al rivolgimento la misura. Così nel moderato Rosenkranz “la dialettica rappresenta il giusto mezzo rispetto agli estremi della pura negazione e della cieca conservazione” (245). Così alla dialettica viene assegnata la funzione di mediazione dei conflitti politico-sociali.

Da qui anche la reinterpretazione della contraddizione, in cui va smussato il ruolo predominante del negativo. Il negativo, in sé nullo, diviene strumento della conciliazione. Il mutamento può avvenire in due sensi, attraverso l’equilibrato e graduale sviluppo che valorizza il positivo presente nella fase precedente o mediante la furia del negativo che finisce per portare allo stesso risultato passando, però, attraverso la furia della negazione. Rosenkranz nella sua profonda revisione della filosofia hegeliana, per contrastarne l’interpretazione rivoluzionaria che ne davano alcuni esponenti della sinistra hegeliana, arriva addirittura a considerare il negativo come “un episodio ritardante”, del necessario e naturale affermarsi del positivo.

Segue sul prossimo numero di questo giornale

Note:

[1] Domenico Losurdo, L’ipocondria dell’impolitico, Milella Edizioni, Lecce 2001, p. 172. D’ora in avanti inseriremo direttamente nel testo, in parentesi tonde, i rinvii alle pagine di quest’opera.

16/08/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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