Fahrenheit 451, un romanzo di fantapolitica che parla di noi adesso

L’opera scritta da Ray Bradbury nel 1953 sembra una inquietante fotografia del presente


Fahrenheit 451, un romanzo di fantapolitica che parla di noi adesso

Una società cinica, priva di qualsiasi tipo di empatia per il prossimo, dove i libri sono proibiti, ma vi è un alto livello di consumi (tra i privilegiati). Si passa il tempo a guardare pareti interattive dove i conduttori intrattengono le persone con spettacoli semipersonalizzati e demenziali, basati sull’assoluta assenza di ragionamenti: solo luci e colori. Un mondo dove (tra i privilegiati) c’è un’alta diffusione di suicidi e depressioni, ma vengono tollerate come strumento di rilassamento le folli corse notturne con auto potentissime dove può capitare di uccidere poveri animali, qualche passante o se stessi, indifferentemente. Non sembrerebbe un romanzo di fantapolitica, ma una scheda riassuntiva della media dei contenuti dei tg dell’anno in corso.

È questo il segno del genio sociale di Ray Bradbury perché il romanzo in questione esiste, si intitola “Fahrenheit 451” ed è stato pubblicato nel 1953.

La lettura di un romanzo come questo nel 2019 provoca un brivido lungo la schiena perfino in questi giorni caldissimi d’estate. La capacità predittiva e descrittiva dell’autore (che pure non è un intellettuale marxista) è impressionante anche per un osservatore sociale che viveva nella più avanzata società capitalistica del tempo. Sì, perché al netto della cultura marxista non erano in molti all’epoca quelli che immaginavano un futuro così oscuro e disumano nel cuore degli Stati Uniti. C’era stato nel passato il grido isolato di Nietzsche sul “deserto che avanza”, l’analisi di Max Weber sui effetti crescenti della razionalizzazione strumentale nelle società industriali, ci saranno le denunce di Pasolini sugli effetti distruttivi e criminogeni del consumismo, ma qui siamo al centro della metropoli capitalistica e siamo ancora nel pieno dello sviluppo indotto dalla ricostruzione dell’Occidente dopo la seconda guerra mondiale, tutto sommato immersi nella fase ascendente del “sogno americano”.

Non il solito romanzo di fantapolitica distopica.

Bradbury è un grande narratore. Possiede una singolare capacità lirica di descrizione della natura che si abbina a una fotografia in chiaroscuro degli spaccati sociali della vita urbana. Le pagine di questo romanzo rimbalzano continuamente e impercettibilmente dagli scenari notturni di stelle, di prati e foglie ai drammi interiori dei protagonisti, ai paesaggi aridi della metropoli. Ma quello che qui incuriosisce è la penetrazione profonda dello sguardo dell’autore nei gangli della società americana, del suo futuro e a questo punto ormai del nostro futuro.

“Fahrenheit 451” è molto diverso da altri romanzi di fantapolitica come il famoso “1984” di Orwell, ad esempio. Quest’ultimo era una chiara denuncia del totalitarismo politico e guardava soprattutto ad est, ai paesi del cosiddetto socialismo reale. Nell’opera di Bradbury la sovrastruttura politica non è in primo piano, lo è invece l’assetto della società: un conglomerato che ha come unico obiettivo il livello dei consumi e, in fondo, l’assenza di qualsiasi scelta politica. Tutt’al più la politica è un prodotto di consumo come gli altri. Il totalitarismo se esiste non ha (apparentemente) un’ideologia, se non quella della lotta alle ideologie critiche del consumismo. Fahrenheit parla di noi, di più: parla di noi adesso. Non è pertanto un’opera di polemica ideologica come “1984”, ma di profezia sociale.

Marxismo e fantascienza: un piccolo confronto e un’inquietudine di “mezza estate”

Marx diceva che non amava scrivere “ricette per l’osteria del futuro”, ma parlava della società comunista a venire. Chissà se avrebbe apprezzato il romanzo di Bradbury. Forse sì, perché ha richiesto un’attenta analisi delle tendenze già in atto nella società americana. Certo, Fahrenheit non è un romanzo marxista. Il suo punto di vista non è centrato sull’analisi di classe, sui rapporti tra le classi. L’attenzione dell’autore va, come accade sempre negli autori liberal, ai valori umani genericamenti intesi o, per dirla meglio, ai valori che si sono affermati nella fase in cui la borghesia era in ascesa ed era ancora una classe con una funzione progressiva nella storia.

Tuttavia, un’inquietudine di “mezza estate” coglie anche noi inguaribili marxisti. È sufficiente prendere la metro in un’ora di punta con un libro in mano… un libro di carta eh, non un e-book e vi sarà facile notare la propria solitudine, un certo imbarazzo e pure una qualche punta di ostilità. Se a questo aggiungiamo lo stato miserando in cui versano i rapporti umani in generale, l’uso massiccio e solitario dei social network per scopi “ludici”, sarà difficile respingere una nota di preoccupazione “antropologica” sui destini dell’umanità.

Si tratta di un filone di ricerca avanzato sul degrado culturale e mentale indotto dal capitalismo dei nostri giorni negli individui. Su questo terreno occorre confrontarsi con scienze quali la cibernetica, la psicologia (soprattutto quella dell’età evolutiva), la pedagogia. Se franasse il terreno comune della capacità umana di apprendere ed elaborare informazioni sarebbe difficile pensare a una rivoluzione socialista internazionale. Dobbiamo, pertanto, essere grati allo sguardo penetrante di Bradbury… anche per l’inquietudine...

03/08/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Stefano Paterna

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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