Sono in ballo montagne di soldi e colossali giri d’affari, ammontano a oltre 41 miliardi di euro le esportazioni di sistemi militari italiani solo negli ultimi 5 anni, un commercio che cresce anno dopo anno.
La legge 185 inseriva dei paletti alla vendita di armi, ma quei paletti a partire dal 2008 sono stati rimossi a conferma del fatto che dalla crisi economica il nostro paese è uscito anche attraverso le esportazioni militari senza guardare ai destinatari di queste commesse, facendo finta che si tratti di un normale export.
Nei viaggi all’estero promossi dal governo Italiano per commercializzare i prodotti del made in Italy le imprese militari hanno sempre un posto privilegiato soprattutto con i governi Renzi, Gentiloni e Conte sotto i quali l’export di armi è cresciuto verso paesi che non solo violano diritti umani e civili ma sono direttamente impegnati nelle guerre.
In pochi ricorderanno che prima del governo Conte 1 il Movimento 5 Stelle si era impegnato a rivedere le regole dell'export militare salvo poi dimenticarsene all’indomani della nomina di ministri e sottosegretari del Movimento. E oltre a Leonardo, un’azienda pubblica come Finmeccanica, il cui principale azionista è il ministero dell'Economia e finanze, fa la parte del leone nel mercato bellico verso paesi che violano sistematicamente i diritti civili/umani o sono direttamente impegnate negli scenari di guerre locali e regionali.
Poco conta che l’export violi leggi e principi sanciti dalle stesse Nazioni Unite: Qatar, Pakistan, Turchia ed Egitto sono tra i principali acquirenti delle armi italiane.
Sui balconi di tanti comuni italiani, governati dal centrosinistra o dal centrodestra, scorgiamo ancora gli striscioni per Giulio Regeni, affissi dagli stessi politici che oggi tacciono sulla vendita di armi a un paese, l’Egitto i cui governanti sono responsabili della morte del giovane ricercatore. Torturato e poi ucciso da agenti dei servizi segreti, anni di insabbiamenti, di mancate collaborazioni del governo egiziano con la Procura italiana. Pochi giorni prima di Natale, in sordina, la notizia della consegna di una fregata costruita in Italia. Nel silenzio dei media, hanno fatto di tutto per tenere occultata la notizia della consegna all’Egitto della multiruolo prodotta da Fincantieri nei cantieri del Muggiano a La Spezia.
Un accordo commerciale, da tempo esistente e mai rimesso in discussione anche dopo la morte di Regeni, include la vendita di due fregate Fremm all’Egitto, paese che senza motivo ha incarcerato da quasi un anno lo studente Patrick Zaki insieme a migliaia di altri oppositori politici, decine dei quali sono stati uccisi o condannati a morte. La vendita di armi continua imperterrita nonostante il caso Regeni e la risoluzione del Parlamento europeo che condanna le esecuzioni in Egitto, il ricorso alla pena capitale per decine di oppositori nonché il sistematico ricorso a ogni palese violazione dei diritti umani e civili.
La lista delle commesse egiziane all’Italia è ben più grande e include altre fregate, pattugliatori e caccia da guerra, la presenza di militari italiani nel ruolo di addestratori dell’esercito egiziano.
Cosa possiamo aspettarci allora da chi baratta i diritti umani con il commercio di armi? Sono gli stessi che in nome dell’etica e della morale profetizzano la democrazia del libero mercato, di quel liberismo che vede l’aumento della produzione di armi uno dei suoi baluardi.